Processo ad Ascoli

 

 Il processo per le presunte violenze nel carcere di Marino

"Giuliano prima di morire raccontò le botte della guardia"

 

Il Messaggero, 9 ottobre 2002

 

Udienza "calda" ieri davanti al Tribunale di Ascoli dove si celebra il processo per il presunto pestaggio subito da un detenuto del carcere di Marino del Tronto, Giuliano Costantini, da parte di un agente di custodia, Salvatore Pezzella, accusato di lesioni. Secondo il sostituto procuratore Umberto Monti, la guardia carceraria nel settembre del 2000 avrebbe "punito" Costantini ritenendolo responsabile di aver rotto un tubo di un lavandino.

L’agente, abusando della sua posizione, avrebbe costretto il fermano ad uscire dalla cella dove si trovava insieme ad altri detenuti; l’avrebbe quindi accompagnato in una stanza appartata e lontana da sguardi indiscreti e qui l’avrebbe colpito in varie parti del corpo con calci, pugni e schiaffi. Al termine della "punizione" l’avrebbe poi ricondotto, dolorante, nella sua cella. Successivamente Giuliano Costantini si sentì male: ricoverato dopo alcuni giorni in ospedale morì nonostante un lungo intervento chirurgico.

L’autopsia però non ha individuato nelle presunte percosse subìte la causa della morte, dovuta piuttosto ad una infezione, mal curata. La storia venne a galla poiché, durante le indagini sulla morte di Costantini, gli investigatori trovarono nella sua cella un bigliettino in cui raccontava di un pestaggio subìto dalla guardia carceraria. Ieri ha testimoniato un compagno di cella di Costantini, Roy Fantasia. Ha riferito al giudice Pier Luigi Vecchiotti che Costantini il 18 settembre del 2000 ruppe inavvertitamente il tubo del lavandino della cella, autoaccusandosi davanti agli agenti di custodia che lo accompagnarono in un’altra stanza. «Dopo venti minuti tornò: era dolorante allo stomaco, era rosso sulla fronte ed aveva escoriazioni su un ginocchio. Ci disse che lo aveva picchiato il brigadiere» ha detto il teste indicando l’imputato presente in aula. Riconoscimento che fece anche a suo tempo quando, nel corso dell’inchiesta dell’amministrazione penitenziaria, gli fu mostrata una foto di Pezzella.

«Se non le fece il nome come fa a dire che si trattava del brigadiere Pezzella?» lo ha incalzato l’avvocato Nazario Agostini che difende l’agente di custodia. «Perché era l’unico brigadiere presente quando Costantini fu portato fuori dalla cella» ha risposto il testimone che proprio nei giorni scorsi ha finito di scontare la sua pena. Fantasia, che ha rivelato che anche nel luglio 2000 Costantini sarebbe stato pestato, ha riferito di un altro episodio avvenuto la mattina dopo. «Alla conta dissi al brigadiere perché si era permesso di picchiare Giuliano: l’agente chiese con voce minacciosa a Costantini di dire chi l’avesse picchiato. Giuliano, impaurito, disse "nessuno" e allora il brigadiere mi colpì con uno schiaffo».

Secondo quanto ha riferito il teste, da quel giorno Costantini, descritto «un po’ fuori di testa perché scherzava sempre, ma non faceva male a una mosca», non si alzò più dal letto fin quando non fu portato prima in infermeria e quindi all’ospedale, dove poi morì. «Gli faceva male la testa e lo stomaco». Sul banco dei testimoni anche un altro detenuto, Vincenzo Sperante che ha detto di aver sentito dire quel giorno a Costantini «m’hanno menato»; non vide però fra le guardie che lo riaccompagnavano in cella il Pezzella.

 

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