Detenuto morto a San Vittore

 

"Sniffa" il gas dalla bomboletta: muore detenuto

 

Il Giorno, 26 ottobre 2003

 

È un gioco estremo diffuso tra i detenuti di tutte le carceri: sniffare gas dalle bombolette che si usano in cella per cucinare. Uno "sballo" artigianale, un "viaggio" di euforia artificiale che stanotte, a San Vittore, è costato la vita a un detenuto di 20 anni, Maurizio Pintabona, diciotto mesi da scontare per rapina nel sesto raggio, quello dei "protetti". Sarebbe dovuto uscire nell'aprile del 2004, ma non ha fatto in tempo. Un embolo provocato dal gas inalato lo ha stroncato nel giro di pochi minuti. Inutili i tentativi di soccorso dei suoi stessi compagni di cella, che hanno tentato la respirazione artificiale e quelli del personale sanitario del carcere subito accorsi. Nemmeno il tempo di trasportarlo a braccia al pronto soccorso e il giovane detenuto era già morto. Piove sul bagnato a San Vittore. Dopo le voci su una rimozione del direttore Luigi Pagano e le accese polemiche ad esse seguite, arriva questa tragedia ad agitare ancora più le acque. La Procura ha già aperto un'inchiesta sull'accaduto, ma dai primi elementi raccolti appare difficile attribuire responsabilità a chi doveva sorvegliare. Maurizio Pintabona non era un tossicodipendente, né accusava problemi psichici.

E tantomeno aveva timori o preoccupazioni. L'altro ieri mattina aveva perfino avuto un colloquio con lo psichiatra, passandolo regolarmente. In caso contrario, non avrebbe avuto l'autorizzazione a tenere la bomboletta del gas. Infatti a tutti i tossici del carcere e alla sezione femminile, dove ci sono i trans, sono state da tempo tolte le bombolette e fornite piastre elettriche per cucinare. E presto, quando saranno ultimati i lavori di rifacimento del quadro elettrico generale, questa disposizione dovrebbe essere estesa a tutto il penitenziario. Anche la cella di Pintabona era considerata tranquilla. Il giovane era recluso insieme ad altri cinque detenuti, un paio dei quali extracomunitari, nel sesto raggio del carcere, quello che comprende donne, pedofili, transessuali, detenuti che fanno pulizie e che attendono di essere interrogati. Insomma tutti quelli che hanno necessità di essere in isolamento. Pure lui, piccolo rapinatore, aveva chiesto di stare nel braccio "protetto" e anche se non ce n'era particolare motivo, era stato accontentato. Ed è qui che, la notte scorsa, ha trovato la morte. Una morte che va ricercata nell'alienazione del carcere, nel bisogno di evadere, almeno psicologicamente, dall'angoscia delle sbarre. E per trovare un po' di euforia artificiale è ricorso alla droga che più va di moda tra i detenuti: lo "sniffo" del gas. Lo ha fatto insieme ai suoi compagni di cella, durante una cena allegra. Un'annusata via l'altra, finché non lo hanno trovato riverso in bagno, che faticava a respirare. Gli altri detenuti, sconvolti per quello che stava accadendo, hanno tentato di rianimarlo, ma tutto è stato inutile. Un embolo aveva già fermato il suo cuore.

 

Una pratica diffusa, nei guai due guardie

 

Si può chiamare in tanti modi: la droga dei poveri, lo "sballetto" delle carceri, la piccola "neve". Ma sta di fatto che sniffare gas dalle bombolette è un fenomeno così diffuso nelle carceri italiane che il Ministero della Giustizia ha invitato tutte le direzioni delle carceri a sottoporre i detenuti ad attenta vigilanza e a ritirare o vietare le bombolette nelle celle nel caso in cui sia accertato il rischio di un utilizzo improprio. Non devono, però, essere stati molto ligi agli ordini i due agenti di custodia del carcere di Vigevano per i quali, giorni fa, il pm ha chiesto il rinvio a giudizio per omicidio colposo. Sarebbe, infatti, a causa della loro negligenza se un detenuto è morto sniffando gas da una bomboletta. Eppure lo stesso detenuto, un mese prima, era finito in infermeria per lo stesso motivo, da cui il divieto tassativo del direttore del carcere di non rimandarlo nella stessa cella. Una disposizione che, però, non sarebbe stata rispettata e da qui la richiesta di processo per i due agenti. Ma di casi di "sniffi" mortali in cella ce ne sono altri.

Uno riguarda Giancarlo Speroni, detenuto nel carcere di Busto Arsizio, anche se il motivo vero della sua morte lo si scoprì solo lo scorso 25 settembre. Mesi prima, infatti, Speroni venne trovato cadavere nel piccolo bagno annesso alla sua cella. In piena notte era caduto per terra, picchiando la testa e morendo qualche ora più tardi. Questa, almeno, fu la versione ufficiale. E invece la successiva autopsia disposta dal sostituto procuratore Roberto Craveia accertò che Speroni aveva tracce consistenti di butano negli organi e nel sangue. Emerse così che il detenuto, già tossicodipendente prima di finire in manette, dietro le sbarre si dopava col gas.

Pare comunque che nelle carceri le bombolette del gas non vengano usate solo come stupefacenti artigianali. A volte vengono anche fatte esplodere come delle vere bombe di Capodanno. Il sistema è semplice: i detenuti avvolgono le bombolette con stracci intrisi di olio e poi gli danno fuoco: il botto che ne segue è tremendo. E tornando agli stupefacenti artigianali, un'altra droga molto in voga è lo "sniffo" dei medicinali. Sono molti, soprattutto tra i detenuti tossicodipendenti, che marcano visita per ottenere farmaci che poi usano per doparsi. Naturalmente il controllo è stretto e i medici, prima di concedere un farmaco, ci pensano due volte. Ma a volte i detenuti riescono lo stesso nel loro intento e i farmaci ottenuti finiscono così per divenire un'ottima occasione di sballo.

 

 

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