Il "caso" di Marcello Lonzi

 

Rassegna stampa sul "caso" di Marcello Lonzi

 

A quattro anni dalla scomparsa la madre chiede giustizia (Il Tirreno, 11 luglio 2007)

Livorno: il caso di Marcello Lonzi, riesumata la salma (Il Tirreno, 31 ottobre 2006)

Riaperto il caso Lonzi, dopo tre anni di lotta della madre (Ansa, 28 agosto 2006)

Caso Lonzi: raccolti 5mila euro per riaprire il processo (Il Tirreno, 8 agosto 2006)

Maria Ciuffi: incaricato riapertura caso lo stesso Pm (Il Tirreno, 27 luglio 2006)

Caso Lonzi: archiviata la denuncia contro il pm Pennisi (Il Tirreno, 29 gennaio 2006)

Morte di Marcello Lonzi: il testo della contro perizia medico-legale (Gennaio 2006)

Lonzi: 10 giorni per conoscere la decisione del gip (Ansa, 13 gennaio 2006)

Lonzi: il 12 gennaio l’udienza per riaprire o archiviare il caso (Ansa, 9 gennaio 2006)

Marcello Lonzi: non accolta la richiesta di archiviazione (Ansa, 26 novembre 2005)

Riaperta l’inchiesta sulla morte di Marcello Lonzi (Il Manifesto, 31 ottobre 2005)

Caso Lonzi: il muro di gomma comincia a scricchiolare (Avvocato Trupiano, 3 gennaio 2005)

Inchiesta: la vita e la morte nel carcere di Livorno (Il Manifesto, 14 dicembre 2004)

Accolta richiesta archiviazione; la mamma: "hanno insabbiato" (La Nazione, 11 dicembre 2004)

Livorno: "archiviata" la morte di Marcello Lonzi (Il Manifesto, 11 dicembre 2004)

Livorno: caso Lonzi, parla l’avvocato Trupiano (Avvocato Trupiano, 11 dicembre 2004)

Archiviato caso Lonzi, muro di gomma alle Sughere (Avvocato Trupiano, 10.12.2004)

Caso Lonzi: siamo a 2 giorni dalla camera di consiglio (Avvocato Trupiano, 8.12.2004)

Lonzi: "morte per cause naturali", le foto della vergogna (Avvocato Trupiano, 9.11.2004)

Trupiano: nuove prove a sostegno della tesi dell’omicidio (Il Tirreno, 28.09.2004)

Sughere, i detenuti scrivono: "siamo tutti sotto choc" (Il Tirreno, 23.09.2004)

Livorno: interrogazione di Paolo Cento sul "caso Sughere" (Il Tirreno, 23.09.2004)

Il Provveditore regionale: fare chiarezza su queste "celle lisce" (Il Tirreno, 22.09.2004)

Striscione esposto in stadio: "Marcello Lonzi, morto di stress" (Il Tirreno, 20.09.2004)

L’inferno delle Sughere, il carcere dei suicidi (Il Manifesto, 17.09.2004)

Livorno: una fiaccolata per il disagio dietro le sbarre (Il Tirreno, 15.09.2004)

Livorno: morte di Marcello Lonzi, no all’archiviazione (Il Tirreno, 13.09.2004)

Livorno: la questione delle Sughere approda in Comune (Il Tirreno, 10.09.2004)

L’avvocato Trupiano: "un piccolo passo verso la verità" (Il Tirreno, 9.09.2004)

Caso Lonzi: respinta la richiesta archiviazione del Pm (Avvocato Trupiano, 7.09.2004)

Carenze, denunce e troppi detenuti in attesa di giudizio (Il Tirreno, 2.09.2004)

Caso Lonzi alla Corte europea. Trupiano: "è stato torturato" (Il Tirreno, 12.08.2004)

La madre di Marcello Lonzi è stata ricoverata (Il Tirreno, 6 agosto 2004)

Il caso Lonzi alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (Avvocato Trupiano, 5.08.2004)

Trupiano chiede nuove indagini e la riesumazione di Lonzi (Il Tirreno, 30.07.2004

Caso Lonzi: depositata ieri l’opposizione all’archiviazione (Il Tirreno, 30.07.2004)

Caso Lonzi: il 31 luglio opposizione all’archiviazione (Il Tirreno, 29.07.2004)

Marcello Lonzi: intimidazioni contro la madre (Indymedia, 29.07.2004)

Marcello è stato ucciso: queste fotografie lo dimostrano (Il Tirreno, 29.07.2004)

Spuntano foto che avallano l’ipotesi di omicidio (Il Tirreno, 29.07. 2004)

"Marcello è stato ucciso, queste fotografie lo dimostrano" (Il Tirreno, 24.07.2004)

20 fotografie mai viste. La difesa si oppone all’archiviazione (La Nazione, 24.07.2004)

Spuntano alcune foto, avallano ipotesi di omicidio (Gazzetta del Sud, 24.07.2004)

"Marcellino fu ucciso", articolo di Tommaso Tintori (Il Manifesto, 10.07.2004)

Maria Cioffi espone striscione: "Secondini, la verità vi fa paura" (Il Tirreno, 5.07.2004)

Livorno: morì in carcere, chiesta archiviazione per caso Lonzi (Il Tirreno, 3.07.2004)

Verso l’archiviazione il caso Lonzi (La Nazione, 2.07.2004)

Il corpo di Marcello Lonzi sarà riesumato? (Il Tirreno, 14.06.2004)

Indagini per chiarire le cause del decesso di Marcello Lonzi (La Nazione, 12.06.2004)

L’avvocato Trupiano: nuove indagini e la riesumazione di Lonzi (Il Tirreno, 12.06.2004)

Esposto della madre del giovane morto nel carcere di Livorno (La Nazione, 18.10.2003)

Marcello Lonzi: verità per la morte di un detenuto (L’Unità, 25.10.2003)

Maurizio Turco e Sergio D’Elia visitano sezione dov’è morto Marcello (Ansa, 12.10.2003)

Detenuto morto a Livorno, madre lancia appello a Ciampi (Ansa, 2.10.2003)

Il sindaco di Livorno tende la mano a mamma Cioffi (La Nazione, 24.09.2003)

Mamma Cioffi cerca aiuto in consiglio comunale (La Nazione, 23.09.2003)

Mamma Cioffi cerca aiuto in consiglio comunale

 

La Nazione, 23 settembre 2003

 

La madre di Marcello Lonzi, il detenuto trovato morto l’11 luglio scorso all’interno alle "Sughere" si è presentata ieri in consiglio comunale. Lo ha fatto per chiedere ai capigruppo dell’assemblea il loro appoggio e il loro aiuto per fare luce sulle cause del decesso di Marcello. Ufficialmente si è trattato di un caso di suicidio. Ma la donna è convinta che il figlio sia stato percosso all’interno del carcere così duramente da perdere la vita.

"Sul suo corpo sono state trovate infatti numerose ecchimosi sospette - ha raccontato Maria Cioffi al capogruppo di Livorno Insieme Massimo Bianchi, al capogruppo dello Sdi Luciano Tizzoni e ad Enrico Bianchi della Margherita - che mi fanno temere che sia stato ucciso. Non credo alla storia del suicidio. Mio figlio non era tipo da volerla fare finita".

Tutti i capigruppo interpellati dalla donna si sono così impegnati a darle una mano cercando di fare pressione sulle autorità competenti affinché su questa travagliata e oscura vicenda sia fatta chiarezza al più presto.

 

Il sindaco di Livorno tende la mano a mamma Cioffi

 

La Nazione, 24 settembre 2003

 

Maria Cioffi, madre di Marcello Lonzi morto per infarto nel carcere Le Sughere a luglio, ha vinto la sua prima battaglia a favore della verità sulle reali cause che hanno portato al decesso del figlio. Sul suo corpo erano state trovate ecchimosi e ferite di dubbia origine.

Il sindaco Gianfranco Lamberti ha così accolto la sua richiesta, e anche quella dei consiglieri Marco Solimano (Ds), Luciano Vizzoni (Sdi), Paolo Gangemi (Pdrc) e Massimo Bianchi (Livorno Insieme), a promuovere "un’iniziativa mirata - così ha annunciato il sindaco ieri in consiglio - nei confronti della casa circondariale Le Sughere e della magistratura affinché si faccia luce su questo caso".

Nella sua comunicazione Solimano ha ricordato che sulla morte di Marcello "la madre ha presentato un esposto alla magistratura che sta indagando per appurare se è stato commesso il resto di omicidio, visto anche l’esito dell’autopsia". E Gangemi: "L’onorevole Pisapia presenterà un’interrogazione al ministro Castelli".

 

Detenuto morto a Livorno, madre lancia appello a Ciampi

 

Ansa, 2 ottobre 2003

 

Un aiuto per impedire che "prevalga la volontà di nascondere la verità": è quanto chiede, in una lettera a Ciampi, la madre di un detenuto morto a Livorno. L’autopsia compiuta sul corpo di Marcello Lonzi, 29 anni, in carcere per scontare una pena a 8 mesi di reclusione per tentato furto e in attesa di usufruire dell’indultino, aveva attribuito la morte a un infarto fulminante. Ma la madre, Maria Cioffi, è convinta che il figlio sia stato ucciso in carcere.

 

Maurizio Turco e Sergio D’Elia visitano la sezione dove è morto Marcello Lonzi

 

Ansa, 12 novembre 2003

 

Maurizio Turco, presidente dei deputati europei radicali, ha visitato oggi pomeriggio il carcere livornese delle "Sughere" insieme a Sergio D’Elia, segretario nazionale dell’associazione "Nessuno tocchi Caino".

"Abbiamo visitato la sezione dove era rinchiuso Marcello Lonzi - ha spiegato D’Elia - il giovane detenuto livornese morto in carcere lo scorso 11 luglio e sulla cui morte non è ancora stata fatta piena luce. Abbiamo cercato di capire quale fosse la condizione di questo carcere. Lo Stato deve garantire giustizia a tutti e quello che è successo a Lonzi è una condizione ordinaria dell’amministrazione della vita dei reclusi".

 

Marcello Lonzi: verità per la morte di un detenuto, articolo di Luigi Manconi

 

L’Unità, 25 novembre 2003

 

Marcello Lonzi morto tra le 19.50 e le 20.14 dell’11 luglio 2003, nel carcere delle Sughere di Livorno. Era detenuto per tentato furto (4 mesi di reclusione ancora da scontare). È stato trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non hanno dato alcun esito. I familiari sono stati avvertiti 12 ore dopo il decesso. Nel frattempo, sul corpo di Marcello Lonzi, erano stati effettuati i primi esami autoptici. L’esito di queste analisi ha indicato in un’aritmia maligna la causa più probabile della morte. Ma ci sono troppe cose che non tornano, in questa vicenda. Sul volto del giovane l’autopsia ha riscontrato tre gravi ferite, prodottesi con tutta probabilità "simultaneamente".

Sul suo torace, una strana escoriazione a forma di "V". La relazione di consulenza tecnica medico legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputa le ferite al viso alla dinamica del decesso: Marcello Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o contro lo stipite della porta. Alla stessa origine viene ricondotta l’escoriazione sul torace, mentre altri "fatti traumatici" vengono attribuiti ai tentativi di rianimazione (come la frattura della seconda costola di sinistra in sede iuxta - cartilaginea).

Tutto regolare, dunque; tutto spiegabile, in apparenza, secondo le indagini sin qui svolte. Ma, in verità, qualcosa non torna. Sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso, nel quale è la determinazione della madre, Maria Cioffi, a giocare un ruolo fondamentale.

Fin dal primo istante, la donna non ha creduto all’ipotesi della morte per esclusive cause naturali; e fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che circolano all’interno del carcere, e che adombrano un’altra ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte.

Lonzi era un ragazzo sano e di costituzione robusta; le uniche alterazioni riscontrate nella sua fisiologia e giudicate, dall’autopsia del tribunale, "relativamente modeste", sono a carico dell’apparato cardiaco (riduzione del calibro di un ramo coronario); ma non sono state rilevate occlusioni che potessero portare all’infarto del miocardio.

L’ipertrofia ventricolare è, ad oggi, la causa di morte più accreditata, semplicemente perché non lascia tracce nell’organismo; semplicemente perché, non potendosi dimostrare alcuna altra patologia, se ne ipotizza una che non ha bisogno di "prove". Quanto alle ferite rinvenute sul cadavere, è la loro entità a sollevare dubbi. Una raggiunge l’osso sottostante, un’altra penetra profondamente fino a comunicare con il vestibolo. Per queste ragioni, l’avvocato della famiglia chiede se sia "compatibile la gravità e profondità di simili lesioni con una mera caduta da fermo"; e se non sia necessaria una ulteriore spinta o pressione per produrre tali conseguenze".

Nel frattempo, Maria Cioffi ha ricevuto numerose telefonate anonime, da qualcuno che - considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari - potrebbe essere una fonte bene informata.

Le è stato detto che suo figlio, durante l’isolamento, è stato ripetutamente picchiato; e le è stato riferito di scontri con altri detenuti e con il personale penitenziario. È probabile che Marcello Lonzi non sia stato ucciso dai traumi conseguenti a questi fatti, se questi fatti si sono effettivamente verificati. Ma la stessa aritmia maligna sin qui ipotizzata potrebbe essere insorta - è un’ipotesi medica plausibile - come reazione alle eventuali percosse.

Maria Cioffi ha scritto al Ministro della Giustizia, si è rivolta ad alcuni parlamentari e allo stesso capo dello Stato: vuole la verità. E che sia convincente. C’è un giudice a Livorno? (C’è: e ha aperto un fascicolo). C’è un parlamentare che voglia andare fino in fondo?

 

Nuovo esposto della madre del giovane morto nel carcere di Livorno

 

La Nazione, 18 novembre 2003

 

Prosegue la battaglia di Maria Cioffi, che abita nella nostra città, la madre di Marcello Lonzi, il giovane morto a 29 anni l’11 luglio mentre era detenuto alle Sughere. La morte secondo l’autopsia, disposta dal Pm Roberto Pennisi, è avvenuta per cause naturali. Ma la donna ritiene che la morte sia conseguente ad pestaggio. Per questo ha presentato una denuncia e il pubblico ministero Roberto Pennisi ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio.

Nei giorni scorsi la donna dopo aver parlato ancora con il magistrato ha deciso con il suo legale di fiducia, l’avvocato Fabrizio Bianchi di Pisa, di presentare alla sezione di polizia giudiziaria della Procura un altro esposto contro gli agenti di polizia penitenziaria in servizio l’11 luglio dalle 14 nel settore dove c’era suo figlio. Maria Cioffi non si rassegna alla morte in cella del figlio e vuole andare fino in fondo, perché ritiene che il giovane sia stato ucciso. Per questo la madre di Marcello Lonzi ha anche scritto un’accorata lettera al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

Nel documento la signora Cioffi spiegava la vicenda di suo figlio e del suo tragico epilogo, per lei ancora inspiegabile. "Adesso ho paura - affermava la donna -. Paura che su questa vicenda non venga mai fatta chiarezza, ho paura che prevalga la volontà di nascondere la verità, di nascondere uno scandalo. Quelle che umilmente Le chiedo è di aiutarmi a impedire che accada tutto questo, consentendo a una madre che ha perso il suo unico figlio in un carcere dello Stato italiano di sapere come ciò sia potuto accadere, come tutto ciò sia stato possibile".

 

L’avvocato Trupiano chiede nuove indagini e la riesumazione di Lonzi

 

Il Tirreno, 12 giugno 2004

 

Ieri mattina l’avvocato Vittorio Trupiano ha preso ufficialmente la difesa della Signora Maria Cioffi, parte offesa nel procedimento a carico di ignoti per la morte di suo figlio Marcello Lonzi, avvenuta nel carcere livornese delle Sughere l’11 luglio 2003. Il legale, accompagnato dalla Cioffi, ha depositato al Pm Pennisi richiesta richiesta finalizzata a conoscere se è stata mai espletata la disposta perizia tossicologica sugli organi espianti dal cadavere del detenuto, e, in caso positivo, quale esito la stessa abbia avuto, mentre, in caso negativo, quale sia stato l’impedimento.

Nel corso di un’improvvisata conferenza stampa svoltasi all’interno del Tribunale di Livorno, Trupiano ha dichiarato ai giornalisti che, all’esito della risposta al quesito formulato, si riserva di richiedere la riesumazione della salma. Ha inoltre fatto presente di avere gli stessi poteri investigativi del p.m. e che per questi motivi svolgerà indagini a 180 gradi anche e soprattutto nell’ambito del Dap, partendo "da molto in alto". Trupiano ha concluso affermando che "si può sopportare, al momento, che si indaghi contro ignoti, ma non che si ipotizzi un decesso dovuto a cause naturali".

 

Indagini per chiarire le cause del decesso di Marcello Lonzi

 

La Nazione, 12 giugno 2004

 

Indagini difensive per chiarire le cause del decesso di Marcello Lonzi, morto in carcere a Livorno nell’ottobre scorso. Lo ha annunciato l’avvocato difensore della donna, Trupiano, che ieri ha depositato alla procura di Livorno un’istanza per chiedere se sia stata effettuata una perizia tossicologica.Secondo la madre, Maria Cioffi, il ragazzo sarebbe morto per un pestaggio e non per infarto.

Ieri mattina l’avvocato Vittorio Trupiano ha preso ufficialmente la difesa della Signora Maria Cioffi, parte offesa nel procedimento a carico di ignoti per la morte di suo figlio Marcello Lonzi, avvenuta nel carcere livornese delle Sughere l’11 luglio 2003. Il legale, accompagnato dalla Cioffi, ha depositato al p.m. Pennisi richiesta finalizzata a conoscere se è stata mai espletata la disposta perizia tossicologica sugli organi espianti dal cadavere del detenuto, e, in caso positivo, quale esito la stessa abbia avuto, mentre, in caso negativo, quale sia stato l’impedimento.

Nel corso di un’improvvisata conferenza stampa svoltasi all’interno del Tribunale di Livorno, Trupiano ha dichiarato ai giornalisti che, all’esito della risposta al quesito formulato, si riserva di richiedere la riesumazione della salma. Ha inoltre fatto presente di avere gli stessi poteri investigativi del p.m. e che per questi motivi svolgerà indagini a 180 gradi anche e soprattutto nell’ambito del Dap, partendo "da molto in alto".

Trupiano ha concluso affermando che "si può sopportare, al momento, che si indaghi contro ignoti, ma non che si ipotizzi un decesso dovuto a cause naturali".

 

Il corpo di Marcello Lonzi sarà riesumato?

 

Il Tirreno, 14 giugno 2004

 

L’avvocato Vittorio Trupiano, legale di Maria Cioffi, la madre di Marcello Lonzi deceduto l’11 luglio 2003 alle Sughere, ieri mattina ha depositato una richiesta per il magistrato Roberto Pennisi titolare dell’indagine sulla morte del giovane. L’avvocato Trupiano chiede se è stata fatta una perizia tossicologica sugli organi asportati dal cadavere di Marcello Lonzi, in caso positivo di conoscerne l’esito ed in caso negativo di conoscerne le ragioni. "Posso accettare che si proceda contro ignoti - ha spiegato Trupiano - ma non posso accettare l’ipotesi che Marcello Lonzi sia morto per cause accidentali. Per questo motivo se sarà necessario chiederò la riesumazione del cadavere e fatto tutte le indagini che oggi può fare un avvocato. Contatterò alcune persone". Dopo l’incontro con Maria Cioffi, l’avvocato Trupiano è andato in carcere per parlare con un detenuto.

 

Verso l’archiviazione il caso Lonzi

 

La Nazione, 2 luglio 2004

 

Il pubblico ministero Roberto Pennisi ha avanzato la richiesta di archiviazione del procedimento aperto contro ignoti sulla morte di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni deceduto l’11 luglio scorso nel carcere delle Sughere dove era detenuto. Una decisione duramente contestata dalla madre del ragazzo, Maria Cioffi - che ha appreso la notizia telefonando alla cancelleria del tribunale, e dal suo legale, Vittorio Trupiano. Che presenterà immediatamente ricorso - spiega - "suggerendo al giudice per le indagini preliminari di delegare il pubblico ministero alla riesumazione, che ritengo indispensabile, della salma di Lonzi".

Nei giorni scorsi l’avvocato Trupiano aveva chiesto l’effettuazione della perizia tossicologica sui resti di alcuni organi del giovane deceduto conservati - come si legge nell’autopsia - esattamente a questo scopo: "Non ho ricevuto alcuna risposta - spiega il legale - e mi chiedo come sia possibile. Soprattutto ora che vi è la richiesta di archiviazione mentre io attendo ancora l’esito della mia domanda".

"La mia battaglia - dichiara amareggiata Maria Cuffi, comincia ora. E possono stare sicuri che non mi fermerò. Ho perso un figlio e niente e nessuno potrà ridarmelo, ma oggi non sono più sola".

Sabato 10 luglio, anniversario della morte di Marcello Lonzi, dalle 15 alle 19 si terrà un presidio davanti al carcere livornese. "Stanno arrivando tante adesioni - spiega ancora la madre - perché non è solo per me e mio figlio che io cerco la verità su quanto accaduto in quella cella.

 

Livorno: morì in carcere, chiesta archiviazione per caso Lonzi

 

Il Tirreno, 3 luglio 2004

 

Il pubblico ministero Roberto Pennisi ha avanzato la richiesta di archiviazione del procedimento aperto contro ignoti sulla morte di Marcello Lonzi, il giovane di 29 anni deceduto l’11 luglio scorso nel carcere delle Sughere dove era detenuto. Una decisione duramente contestata dalla madre del ragazzo, Maria Cioffi - che ha appreso la notizia telefonando alla cancelleria del tribunale - e dal suo legale, avvocato Vittorio Trupiano. Che presenterà immediatamente ricorso - spiega - "suggerendo al giudice per le indagini preliminari di delegare il pubblico ministero alla riesumazione, che ritengo indispensabile, della salma di Lonzi".

Nei giorni scorsi l’avvocato Trupiano aveva chiesto l’effettuazione della perizia tossicologica sui resti di alcuni organi del giovane deceduto conservati - come si legge nell’autopsia - esattamente a questo scopo: "Non ho ricevuto alcuna risposta - spiega il legale - e mi chiedo come sia possibile. Soprattutto ora che vi è la richiesta di archiviazione mentre io attendo ancora l’esito della mia domanda".

"La mia battaglia - dichiara amareggiata Maria Cioffi - comincia ora. E possono stare sicuri che non mi fermerò. Ho perso un figlio e niente e nessuno potrà ridarmelo, ma oggi non sono più sola".

Sabato 10 luglio, anniversario della morte di Marcello Lonzi, dalle 15 alle 19 si terrà un presidio davanti al carcere livornese. "Stanno arrivando tante adesioni - spiega ancora la madre - perché non è solo per me e mio figlio che io cerco la verità su quanto accaduto in quella cella".

 

Maria Cioffi espone uno striscione: "Secondini, la verità vi fa paura"

 

Il Tirreno, 5 luglio 2004

 

"Secondini, la verità vi fa paura": Maria Cioffi, madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto un anno fa per arresto cardiaco nel carcere delle Sughere a Livorno, continua la sua battaglia contro l’archiviazione del caso, sintetizzando la sua rabbia e la sua delusione in una scritta affidata a un lenzuolo appeso da ieri mattina alla finestra della sua abitazione a Pisa.

Maria Cioffi ha sempre sostenuto che il figlio sarebbe morto in seguito a un pestaggio subito in cella, un fatto che sarebbe dimostrato anche dalle foto che la signora ha reso visibili a tutti attraverso Internet. Ma, a pochi giorni dal primo anniversario della morte - Lonzi è deceduto l’11 luglio 2003 - il Pm Roberto Pennisi ha ritenuto che non vi siano responsabili per quel tragico evento. A fianco della signora Cioffi, contro l’archiviazione si batte l’avvocato Vincenzo Trupiano, che ha già preannunciato la sua volontà di opporsi e di chiedere il proseguimento delle indagini. "Troppe cose strane avvengono nelle carceri italiane - dice la donna - e in particolare in quello delle Sughere dove alcuni giorni fa è morto un altro detenuto, trovato impiccato a una cintura per pantaloni. Ma si sa benissimo che in carcere non sono permesse né cinture, né altro". La Cioffi ha inviato anche una lettera al ministro Roberto Castelli chiedendo di "aprire gli occhi".

 

"Marcellino fu ucciso", articolo di Tommaso Tintori

 

Il Manifesto, 10 luglio 2004

 

Un anno fa, precisamente lo scorso 11 luglio, moriva al carcere "Le Sughere" di Livorno Marcello Lonzi, livornese di 29 anni. Fu trovato prono, vicino alle sbarre e i tentativi di rianimazione non dettero alcun esito. I familiari furono avvertiti dodici ore dopo il decesso. "Marcellino", così era conosciuto in città, era detenuto per tentato furto e avrebbe dovuto scontare altri quattro mesi di reclusione.

Gli esami autoptici indicarono in una aritmia maligna la causa più probabile della morte. Sul volto del giovane, il medico legale riscontrò anche tre gravi ferite, "prodottesi con tutta probabilità simultaneamente".

La relazione di consulenza tecnica medico - legale, predisposta dal Tribunale di Livorno, imputò le lesioni al viso alla dinamica del decesso: Lonzi sarebbe stato colto da malore e, cadendo, avrebbe violentemente picchiato il volto contro un termosifone o contro lo stipite della porta.

Alla stessa origine venne ricondotta una strana escoriazione sul torace a forma di "V", mentre altri "fatti traumatici" furono attribuiti ai tentativi di rianimazione. Le foto del cadavere, in circolazione anche sul web, mostrano il viso tumefatto e il torace segnato da profonde ferite.

Inizia ad interessarsi direttamente della vicenda la madre del giovane, Maria Cioffi. E la sua determinazione nella ricerca della verità gioca un ruolo fondamentale, tanto che sulla morte di Marcello Lonzi nasce un caso. Fin dal primo istante, la donna ha rigettato l’ipotesi del decesso per cause naturali. E fin dal primo istante ha cercato di documentare le voci, sempre più insistenti, che circolano all’interno del carcere e vedrebbero una diversa ricostruzione dei fatti e una diversa dinamica della morte.

Nel frattempo emergono le prime verità: si viene a sapere che il medico di turno non era presente la notte del decesso e che il medico legale ha compilato due relazioni completamente diverse tra loro. Maria Cioffi comincia a ricevere numerose telefonate anonime. Dall’altra parte della cornetta c’è sempre qualcuno che, considerata la precisione nel riferire dettagli e particolari, potrebbe essere una fonte bene informata. Le dicono che suo figlio, durante l’isolamento, è stato ripetutamente picchiato sia da altri detenuti, sia dal personale penitenziario.

Si impossessa dell’inchiesta il Pm livornese Roberto Pennisi. Il magistrato prende tempo, nega i confronti e gli interrogatori. Quindi chiede l’archiviazione del procedimento in quanto non ritiene vi siano responsabili per quel tragico evento. L’avvocato Vincenzo Trupiano, legale di Maria Cioffi, chiede invece il proseguimento delle indagini. "Nelle scorse settimane avevamo presentato un’istanza per avere risposte sulla perizia tossicologica - ha spiegato il legale - ma Pennisi non si è neppure degnato di risponderci.

Ora ci opporremo alla richiesta di archiviazione, perché il magistrato deve sapere che non sarà né lui né io a decidere come andrà a finire questa brutta storia, bensì un giudice che si esprimerà dopo aver preso visione degli atti".

Due detenuti vicini di cella di Lonzi avrebbero raccontato a un avvocato livornese che il decesso sarebbe dovuto a un violentissimo pestaggio operato dai secondini. Ma a testimoniare non ci andranno mai: nelle carceri l’omertà regna ancora incontrastata.

 

Invito di Maria Cioffi, madre di Marcello, al presidio davanti al carcere di Livorno

 

Invito tutte le persone che conoscevano mio figlio Marcellino e chi vuole starmi vicino a partecipare al presidio di sabato 10 luglio - ore 15 - davanti al carcere Le Sughere di Livorno ad un anno dalla sua morte avvenuta per pestaggio. Un grazie particolare agli amici de "Il Silvestre" di Pisa e del "Godzilla" di Livorno, che mi sono stati vicino e che mi hanno aiutato ad organizzare il presidio.

 

Livorno: Spuntano alcune foto che avallano l’ipotesi di omicidio

 

La Gazzetta del Sud, 24 luglio 2004

 

Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese Marcello Lonzi "ci sono almeno una ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e del tutto incompatibili con l’ipotesi della morte accidentale procurata dall’infarto e dalla conseguente caduta". Lo ha rivelato l’avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Cioffi, la madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno l’anno scorso.

Il legale ha depositato ieri mattina alla cancelleria del Gip, Rinaldo Merani, l’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini preliminari, probabilmente a settembre, a decidere se continuare a indagare o chiudere il caso. Lonzi, 29 anni, morì in seguito a un infarto e secondo la procura le cause della sua morte sarebbero state naturali, mentre la madre ha sempre sostenuto che il figlio era rimasto vittima di un pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria.

"In quelle foto - ha spiegato Trupiano - si vedono sulla parte posteriore del corpo di Marcello vistose ecchimosi provocate dalle manganellate. Noi siamo certi che sia stato vittima di un pestaggio prolungato e doloroso. Quel che è certo è che le ferite sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe e sulla schiena non sono certo compatibili con la caduta provocata dall’ infarto".

Maria Cioffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei confronti di una persona da identificare che avrebbe tentato di investirla vicino alla sua abitazione, nella zona di San Giusto a Pisa, con una "Ford K" grigia metallizzata. "In quei giorni – ha aggiunto la donna – sono stata sottoposta anche a prolungati pedinamenti". Infine, Trupiano ha manifestato l’intenzione di far trasferire gli atti del procedimento a un’altra procura "affinché si faccia piena luce sulla morte di Marcello".

 

Caso Lonzi: 20 fotografie mai viste. La difesa si oppone all’archiviazione

 

La Nazione, 24 luglio 2004

 

Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese Marcello Lonzi "ci sono almeno una ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e incompatibili con l’ipotesi della morte accidentale procurata dall’infarto e dalla conseguente caduta".

Lo ha rivelato l’avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Cioffi, la madre di Marcello Lonzi, 29 anni, morto in carcere a Livorno l’anno scorso. Il legale ha depositato ieri alla cancelleria del Gip Rinaldo Merani, l’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal Pm Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini preliminari, forse a settembre, a decidere se far continuare le indagini o chiudere il caso.

 

Maria Cioffi: "Marcello è stato ucciso, queste fotografie lo dimostrano"

 

Il Tirreno, 24 luglio 2004

 

"Vogliamo la verità su Marcello": lo striscione bianco e rosso, ben visibile, è stato appeso per tutta la mattina di ieri sull’esterno della scala del palazzo comunale. All’interno Maria Cioffi, la madre di Marcello Lonzi deceduto un anno fa, a soli 29 anni, all’interno delle Sughere dove scontava una pena di quattro mesi. E il suo avvocato, Vittorio Trupiano, arrivato a Livorno per presentare l’opposizione alla richiesta di archiviazione - avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi - del fascicolo a carico di ignoti.

Sul lato opposto della strada, un presidio per ricordare la morte in carcere di Marcello. E un opuscolo, curato da un gruppo di giovani pisani, contenente la testimonianza di un detenuto sulla situazione delle Sughere e le foto agghiaccianti del cadavere del ragazzo deceduto nel luglio scorso.
Proprio le foto di Marcello sono al centro della richiesta di un supplemento di indagini che l’opposizione all’archiviazione porta con sé. Alle immagini del cadavere già note si sono aggiunte quelle contenute nelle carte del pubblico ministero. Maria Cioffi, ieri mattina, ha avuto modo di vederle e qualcuno, in tribunale, si è preoccupato che la signora non si sentisse male.
"In quelle foto - spiega l’avvocato Trupiano - il cadavere di Marcello è girato di schiena. E, sulla schiena, ci sono i segni di vere e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata, dal collo fin sotto i glutei. Ecchimosi che possono essere state fatte solo con un bastone, un manganello. Certo, non sono i segni di una caduta".

Perfino nelle copie in bianco e nero la schiena di Marcello Lonzi appare segnata: una striscia bianca, proprio in mezzo al collo, e poi giù fino alla cosce, con un parallelismo quasi geometrico. "Nonostante queste foto - ha detto ancora l’avvocato Trupiano ai giornalisti convocati all’uscita dal tribunale - si preferisce archiviare la morte di Marcello Lonzi, parlando di morte naturale o, addirittura, di suicidio. Da una città con una tradizione democratica come quella di Livorno mi aspettavo davvero ben altro".

L’udienza camerale per la decisione sulla richiesta del Pm si terrà, presumibilmente, ai primi di settembre. "Si procede di solito a porte chiuse - spiega l’avvocato della madre di Marcello - ma io chiederò l’autorizzazione affinché la discussione sia fatta in presenza del pubblico". Se l’opposizione sarà accolta e gli atti torneranno al Pm Pennisi - ha concluso Trupiano - "non escludo di invocare, nei suoi confronti, il legittimo sospetto per poter trasferire l’indagine".

Nel corso dell’incontro con i giornalisti, è stata resa nota anche la denuncia contro ignoti presentata da Maria Cioffi alla Procura di Pisa: la madre di Marcello scrive, circostanziando luogo e ora, di pedinamenti a suo carico e di un’auto che avrebbe tentato di spaventarla, se non addirittura investirla.

 

Livorno: spuntano foto che avallano l’ipotesi di omicidio

 

Il Tirreno, 29 luglio 2004

 

Nel fascicolo sulla morte del detenuto livornese Marcello Lonzi "ci sono almeno una ventina di fotografie, che la difesa non aveva mai visto, nelle quali si vede il corpo del giovane con ferite profonde e del tutto incompatibili con l’ipotesi della morte accidentale procurata dall’infarto e dalla conseguente caduta". Lo ha rivelato l’avvocato Vittorio Trupiano, che assiste Maria Cioffi, la madre di Marcello Lonzi, il detenuto morto in carcere a Livorno l’anno scorso.

Il legale ha depositato ieri mattina alla cancelleria del Gip, Rinaldo Merani, l’opposizione alla richiesta di archiviazione dell’indagine contro ignoti per omicidio avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi. Ora sarà il giudice per le indagini preliminari, probabilmente a settembre, a decidere se continuare a indagare o chiudere il caso. Lonzi, 29 anni, morì in seguito a un infarto e secondo la procura le cause della sua morte sarebbero state naturali, mentre la madre ha sempre sostenuto che il figlio era rimasto vittima di un pestaggio da parte degli agenti della polizia penitenziaria.

"In quelle foto - ha spiegato Trupiano - si vedono sulla parte posteriore del corpo di Marcello vistose ecchimosi provocate dalle manganellate. Noi siamo certi che sia stato vittima di un pestaggio prolungato e doloroso. Quel che è certo è che le ferite sulle natiche, sulla parte posteriore delle gambe e sulla schiena non sono certo compatibili con la caduta provocata dall’ infarto". Maria Cioffi ha poi presentato nei giorni scorsi una querela nei confronti di una persona da identificare che avrebbe tentato di investirla vicino alla sua abitazione, nella zona di San Giusto a Pisa, con una "Ford K" grigia metallizzata. "In quei giorni - ha aggiunto la donna - sono stata sottoposta anche a prolungati pedinamenti". Infine, Trupiano ha manifestato l’intenzione di far trasferire gli atti del procedimento a un’altra procura "affinché si faccia piena luce sulla morte di Marcello".

 

Marcello è stato ucciso: queste fotografie lo dimostrano

 

Il Tirreno, 29 luglio 2004

 

"Vogliamo la verità su Marcello": lo striscione bianco e rosso, ben visibile, è stato appeso per tutta la mattina di ieri sull’esterno della scala del palazzo comunale. All’interno Maria Cioffi, la madre di Marcello Lonzi deceduto un anno fa, a soli 29 anni, all’interno delle Sughere dove scontava una pena di quattro mesi. E il suo avvocato, Vittorio Trupiano, arrivato a Livorno per presentare l’opposizione alla richiesta di archiviazione - avanzata dal pubblico ministero Roberto Pennisi - del fascicolo a carico di ignoti.

Sul lato opposto della strada, un presidio per ricordare la morte in carcere di Marcello. E un opuscolo, curato da un gruppo di giovani pisani, contenente la testimonianza di un detenuto sulla situazione delle Sughere e le foto agghiaccianti del cadavere del ragazzo deceduto nel luglio scorso.

Proprio le foto di Marcello sono al centro della richiesta di un supplemento di indagini che l’opposizione all’archiviazione porta con sé. Alle immagini del cadavere già note si sono aggiunte quelle contenute nelle carte del pubblico ministero. Maria Cioffi, ieri mattina, ha avuto modo di vederle e qualcuno, in tribunale, si è preoccupato che la signora non si sentisse male.

"In quelle foto - spiega l’avvocato Trupiano - il cadavere di Marcello è girato di schiena. E, sulla schiena, ci sono i segni di vere e proprie vergate, striature viola sulla pelle gonfia e rialzata, dal collo fin sotto i glutei. Ecchimosi che possono essere state fatte solo con un bastone, un manganello. Certo, non sono i segni di una caduta".

Perfino nelle copie in bianco e nero la schiena di Marcello Lonzi appare segnata: una striscia bianca, proprio in mezzo al collo, e poi giù fino alla cosce, con un parallelismo quasi geometrico. "Nonostante queste foto - ha detto ancora l’avvocato Trupiano ai giornalisti convocati all’uscita dal tribunale - si preferisce archiviare la morte di Marcello Lonzi, parlando di morte naturale o, addirittura, di suicidio. Da una città con una tradizione democratica come quella di Livorno mi aspettavo davvero ben altro".

L’udienza camerale per la decisione sulla richiesta del Pm si terrà, presumibilmente, ai primi di settembre. "Si procede di solito a porte chiuse - spiega l’avvocato della madre di Marcello - ma io chiederò l’autorizzazione affinché la discussione sia fatta in presenza del pubblico". Se l’opposizione sarà accolta e gli atti torneranno al Pm Pennisi - ha concluso Trupiano – "non escludo di invocare, nei suoi confronti, il legittimo sospetto per poter trasferire l’indagine".

Nel corso dell’incontro con i giornalisti, è stata resa nota anche la denuncia contro ignoti presentata da Maria Cioffi alla Procura di Pisa: la madre di Marcello scrive, circostanziando luogo e ora, di pedinamenti a suo carico e di un’auto che avrebbe tentato di spaventarla, se non addirittura investirla.

 

Marcello Lonzi: intimidazioni contro la madre…

 

Indipendent Media Center, 29 luglio 2004

 

Venerdì 23 luglio 2004 la madre di Marcello Lonzi, il giovane ucciso nel carcere delle Sughere di Livorno l’11 luglio 2003, e il suo avvocato Vittorio Trupiano, hanno tenuto una conferenza stampa a Livorno per illustrare le sconcertanti novità emerse sul caso Lonzi, a seguito delle quali la richiesta di archiviazione presentata dal Pm Pennisi suona ancor più come un atto volontario di insabbiamento.

Durante la conferenza sono state mostrate 13 foto che documentano in modo inoppugnabile l’infondatezza della versione sulle cause della morte di Marcello diffusa dalle autorità. Secondo l’allora responsabile del carcere, il tristemente famoso difensore dei GOM, Cacurri, Marcello colto da infarto sarebbe caduto contro le sbarre procurandosi una serie di ferite e lacerazioni.

L’avvocato Trupiano, esperto di barbarie carcerarie per i numerosi casi di violenza sui detenuti seguiti, ha dichiarato di non essersi mai imbattuto in un caso di brutalità così efferata e sconcertante. In una foto scattata in obitorio al cadavere di Marcello riverso su un fianco, sono visibili 20 segni di vergate (presumibilmente prodotte con manganelli) dislocate dal collo alle ginocchia.

Trupiano sottolinea la presenza su queste aree del corpo di lacerazioni e tumefazioni verosimilmente prodottesi durante una violenta colluttazione, che la presenza di oggetti rotti e sparsi nella cella tenderebbe ad avvalorare. A riprova dell’esistenza di emorragie interne non segnalate dal medico legale, la foto n°4 mostra che il lenzuolo disposto al disotto del corpo di Marcello era completamente sporco di sangue. La morte del giovane sarebbe stata provocata da un colpo molto profondo ricevuto al cranio.

Durante la conferenza sono stati inoltre denunciati tentativi di intimidazione portati avanti da ignoti contro Maria Cioffi, la madre di Marcello, che ha recentemente subito un tentato investimento ed è stata soggetta a strani pedinamenti.

 

Livorno: caso Lonzi, il 31 luglio opposizione all’archiviazione

 

Il Tirreno, 29 luglio 2004

 

Verranno depositati entro il 31 luglio nella cancelleria del Gip i motivi a sostegno dell’opposizione avverso la richiesta di archiviazione del p.m. Roberto Pennisi. Nessun dubbio sulla causa del decesso: Marcello Lonzi è stato picchiato a lungo e con inaudita violenza con manganellate infertegli a partire dal collo fino alle ginocchia. Il dolore e la sofferenza che ne è seguita hanno provocato l’arresto cardio-circolatorio, sicché hanno ben pensato di simulare la disgrazia della caduta sbattendolo violentemente, già morto, con la testa verosimilmente dentro le sbarre della propria cella. Una lunga agonia ha preceduto la morte, a queste conclusioni è giunto il difensore avvocato Vittorio Trupiano che le illustrerà dettagliatamente nei motivi d’opposizione.

Trupiano ha pure stigmatizzato come il p.m. abbia chiesto l’archiviazione pure dell’ipotesi di reato dell’omissione di soccorso e pur in presenza di un "vuoto" di tempo davvero ingiustificabile.

 

Caso Lonzi: depositata ieri l’opposizione all’archiviazione

 

Il Tirreno, 30 luglio 2004

 

"Riesumate il cadavere di Marcello Lonzi per accertare l’esistenza o meno di lesioni ossee, onde risalire agli assassini del giovane morto in carcere".

A chiederlo è l’avvocato Vittorio Trupiano che ha depositato ieri l’opposizione alla richiesta di archiviazione del fascicolo aperto sulla morte del ventinovenne deceduto alle Sughere l’estate scorsa.

L’avvocato, per conto della madre di Marcello, Maria Cioffi, chiede al giudice per le indagini preliminari di "voler disporre nuovi accertamenti, anche autoptici sul corpo del Lonzi", ma anche di voler autorizzare la pubblica udienza in merito all’opposizione.

Nelle cinque pagine che da ieri sono la vaglio della giustizia livornese, l’avvocato Trupiano mette l’accento sulle foto di Marcello contenute del fascicolo del pubblico ministero Roberto Pennisi: "Nelle foto dalla numero 14 alle 20 - spiega Trupiano - è dato rilevare con estrema evidenza i colpi inferti alla vittima, le tumefazioni allo stesso provocate là dove si vedono alcuni lembi di tessuti e di carne rialzati e la pelle ha assunto un colore violaceo".

Nell’opporsi all’archiviazione per morte naturale o suicidio - come indicato dal Pm - l’avvocato Trupiano formula una versione dei fatti che - spiega - è maturata "proprio dall’esame delle numerose foto che non lasciano dubbi di sorta: Marcello Lonzi è stato prima ucciso dalle percosse ricevute e poi, forse ancora agonizzante, sbattuto ancor più violentemente col capo contro - si presume - le sbarre della sua cella. Nell’evidente simulazioni di un accidente fortuito e con una dinamica che spiega anche il ritardo nel soccorso che solo il Pm non ravvede negli atti".

I segni delle percosse citati "inducono a supporre - conclude l’avvocato di Maria Cioffi - che la morte non sia stata affatto istantanea, ma si sia verificata a seguito di atroci sofferenze che hanno probabilmente portato all’arresto cardio-circolatorio. D’altra parte non vi è essere umano che non muoia per questa causa. Per accertare ciò - conclude il legale - non occorreva né il perito, né l’indovino".

 

Trupiano chiede nuove indagini e la riesumazione di Lonzi

 

Il Tirreno, 30 luglio 2004

 

Ieri mattina l’avvocato Vittorio Trupiano ha preso ufficialmente la difesa della Signora Maria Cioffi, parte offesa nel procedimento a carico di ignoti per la morte di suo figlio Marcello Lonzi, avvenuta nel carcere livornese delle Sughere l’11 luglio 2003. Il legale, accompagnato dalla Cioffi, ha depositato al Pm. Pennisi richiesta finalizzata a conoscere se è stata mai espletata la disposta perizia tossicologica sugli organi espianti dal cadavere del detenuto, e, in caso positivo, quale esito la stessa abbia avuto, mentre, in caso negativo, quale sia stato l’impedimento.

Nel corso di un’improvvisata conferenza stampa svoltasi all’interno del Tribunale di Livorno, Trupiano ha dichiarato ai giornalisti che, all’esito della risposta al quesito formulato, si riserva di richiedere la riesumazione della salma. Ha inoltre fatto presente di avere gli stessi poteri investigativi del p.m. e che per questi motivi svolgerà indagini a 180 gradi anche e soprattutto nell’ambito del Dap, partendo "da molto in alto". Trupiano ha concluso affermando che "si può sopportare, al momento, che si indaghi contro ignoti, ma non che si ipotizzi un decesso dovuto a cause naturali".

 

Il caso Lonzi alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo

 

Avvocato Trupiano, 5 agosto 2004

 

Ho provveduto ad inoltrare ricorso alla Corte Europea per la difesa dei diritti dell’uomo, con sede in Strasburgo, nonché alla Commissione antitortura in seno alla stessa, copia di tutto il fascicolo pendente presso il Tribunale di Livorno, lamentando la lesione dei fondamentali diritti dell’uomo, quali quello alla vita e ad un trattamento non umiliante e degradante.

Ho anche denunciato all’Organo di Giustizia Europea anche tutta la lunga serie di morti e di presunti suicidi, precedente e successiva a quella di Marcello Lonzi, verificatisi nel carcere livornese delle Sughere. A breve, quindi, farò confluire nel fascicolo livornese anche gli relativi all’istruttoria della Corte Europea.

 

La madre di Marcello Lonzi è stata ricoverata

 

Il Tirreno, 6 agosto 2004

 

Maria Cioffi, madre di Marcello Lonzi, è stata ricoverata in pronto soccorso presso gli ospedali riuniti di Pisa a causa di una crisi ipoglicemica dovuta all’eccessiva magrezza. Da diversi giorni non tocca cibo perché pretende giustizia per suo figlio. Le siamo vicini e solidali.

 

Caso Lonzi alla Corte europea. L’avvocato Trupiano: "è stato torturato"

 

Il Tirreno, 12 agosto 2004

 

Il caso della morte del giovane Marcello Lonzi, al momento del decesso detenuto nel carcere delle Sughere per una breve condanna, varca i confini dell’Italia. Il legale di Maria Cioffi, madre di Marcello, ha inoltrato ieri ricorso alla Corte europea per la difesa dei diritti dell’uomo, nonché - spiega in una nota l’avvocato Vittorio Trupiano - "alla commissione anti-tortura in senso alla stessa".

Tutto quello che riguarda la vicenda della morte di Marcello, dunque, l’anno di indagini a carico di ignoti che ne è seguito, e la successiva richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero, Roberto Pennisi, arriva dunque al giudizio dell’organo di giustizia europeo. Compresa la copia di tutto il fascicolo pendente al tribunale di Livorno.

"Ho lamentato - spiega l’avvocato Trupiano che ha già depositato l’opposizione alla richiesta di archiviazione - la lesione dei fondamentali diritti dell’uomo, quello alla vita e quello ad un trattamento non umiliante e degradante. La cui negazione, sfocia, appunto nella tortura quale fu quella inferta al Lonzi durante tutto il tempo che venne bastonato".

A queste conclusioni il legale di Maria Cioffi è arrivato dopo aver visto le numerose foto del cadavere di Marcello Lonzi contenute nel fascicolo depositato in tribunale: la schiena del giovane appare violentemente battuta da un corpo contundente che l’ha segnata, in maniera simmetrica, dal collo fin sotto le natiche.

"Ho anche denunciato, in sede europea - continua l’avvocato Trupiano - tutta la serie di morti e suicidi precedenti e successivi alla morte di Marcello Lonzi nel carcere delle Sughere". All’intero del quale è ancora aperta l’inchiesta sul detenuto cileno che si è tolto la vita qualche giorno fa.

L’udienza sull’opposizione all’archiviazione dovrebbe essere fissata per i primi di settembre. Vittorio Trupiano chiede che sia a porte aperte e conclude: "In sede europea mi hanno assicurato la massima sollecitudine istruttoria, sicché potrò far confluire nel fascicolo livornese anche il carteggio della Corte europea".

 

Carenze, denunce e troppi detenuti in attesa di giudizio

 

Il Tirreno, 2 settembre 2004

 

Una fiaccolata, per le vie della città fino alle Sughere così lontane eppure così vicine, per sostenere la protesta dei detenuti italiani in questo finire di estate. È la proposta con cui si è chiuso un affollato dibattito alla festa di Liberazione, avanzata nel consenso generale da Maria Cioffi, la madre di Marcello Lonzi, trovato cadavere nel carcere labronico un anno fa.

Perché, al di là dell’iter giudiziario che entro la fine di settembre vedrà il tribunale di Livorno decidere se archiviare o meno il procedimento aperto contro ignoti per l’omicidio di "Marcellino", le Sughere sono una realtà cui la città rivolge troppo poco la propria attenzione, come hanno sottolineato i componenti del gruppo di lavoro nato, proprio sul carcere, al centro sociale Godzilla.

Il grido dei suicidi. Una realtà - ha sottolineato Alessandro Trotta, capogruppo di Rifondazione in Comune - "avvolta da una logica di indifferenza pericolosissima per tutto il nostro territorio" e dalla quale si è levato, anche in questi mesi di vacanze, un grido senza voce arrivato fino alle cronache locali con il suicidio, in un solo mese, di Domenico Bruzzaniti, 50 anni - destinato a finire i propri giorni chiuso in carcere - e di Carlos Requelme, marittimo cileno coetaneo di Bruzzaniti. Entrambi rinvenuti impiccati, stretti al collo mezzi di fortuna sufficienti, però, a stroncare una vita.

Carlos stava male. E proprio sulla morte del marittimo cileno emerge un dato che non può lasciare indifferenti: Carlos stava male, l’arresto l’aveva gettato nello sconforto più profondo. A casa sua aspettavano il suo stipendio per tirare avanti e lui si vergognava che lo sapessero in carcere. Gli stessi agenti in servizio alle Sughere hanno ammesso che Carlos "era triste, stanco, a tratti disperato". Al punto da rinunciare spesso all’ora d’aria. Una situazione che aveva spinto il detenuto a chiedere di essere trasferito al centro clinico del Don Bosco di Pisa. Trasferimento che, però, non è mai stato preso in considerazione pur in presenza di un quadro clinico che non ammetteva dubbi sulla decisione da prendere.

Carlos era in carcere da tre mesi, in attesa di giudizio: "Vi rendete conto - spiega a un pubblico attentissimo l’avvocato Vittorio Trupiano che si è opposto all’archiviazione del caso Lonzi - che la stragrande maggioranza dei detenuti alla fine viene assolta dopo detenzioni in attesa di giudizio che arrivano anche a 9 anni? Vi rendete conto che stipati nelle celle, uno su l’altro, ci sono cittadini a cui la legge italiana garantisce la presunzione di innocenza e che dovrebbero ricevere ben altro trattamento?".

La sezione femminile. A questo proposito i giovani del Godzilla hanno ricordato il rapporto che Franco Corleone fece pochi anni fa, quando era sottosegretario alla giustizia, proprio sulle Sughere e la sua sezione femminile, che venne segnalata per "l’inadeguatezza" ad accogliere donne con i figli piccoli, che pure trascorrono almeno 48 ore a Livorno prima di essere trasferite in altre strutture della Toscana.

Chiavi sulle sbarre. Quando Trupiano - che ieri mattina era alle Sughere dove ha incontrato i suoi assistiti - ha testimoniato quello che gli scrivono i detenuti rinchiusi a Livorno, intorno si è fatto un silenzio irreale rotto solo da un anonimo e pesante "è vero, è così" di chi quell’esperienza l’ha vissuta: "Perché alle Sughere - ha detto Trupiano, citando le testimonianze raccolte - dalla mezzanotte alle sei del mattino gli agenti passano battendo i grossi mazzi di chiave sulle sbarre, con un rumore infernale che attraversa le notti".

"Quelle botte a Livorno". Dal pianeta dei reclusi, posto a una distanza siderale dal resto del mondo, è arrivata nella cassetta della posta di Maria Cioffi una lettera, una delle tante che riceve su quanto avviene nelle carceri d’Italia. A scriverle un uomo che dalle Sughere è passato e che racconta le condizioni in cui arrivò nel penitenziario dove era stato trasferito da Livorno: "Il direttore andò in sezione e disse: "Vi avviso che vi devo portare uno arrivato qui in lettiga con tre catene, una al collo, mani e piedi".

E aggiunge: "Per me non campa". L’ortopedico mi trovò le piante dei piedi rotte e cinque bruciature di cicche in mezzo alle dita. Per quattro mesi solo con le punte dei piedi camminavo. Quando mi invitarono in matricola e mi chiesero se confermavo la denuncia fatta a Livorno confermai". Della denuncia si sono perse le tracce, ma il detenuto continua: "Io ho tutti i nomi di chi mi pestò. Ditelo".

Chi sa parli. Un appello a parlare, a raccontare, a rompere il muro delle mezze verità che caratterizza il carcere. Lo stesso che l’avvocato Trupiano e la madre di Marcello Lonzi continuano a fare a chi continua a sostenere di non sapere, di non aver visto cosa accadde in quella cella della sesta sezione. Dove - ha dichiarato Vittorio Trupiano davanti a una platea affollata anche da operatori delle associazioni che lavorano all’interno delle Sughere - "Lonzi ha avuto una lunghissima e tremenda agonia" E da dove il compagno di cella di Marcellino, che Maria Cioffi ha incontrato pochi giorni fa in un tesissimo faccia a faccia, fu rapidamente trasferito nel carcere di Pisa nel quale non rimase che qualche mese.

 

Livorno: terzo suicidio in tre mesi al carcere le Sughere

 

Ansa, 7 settembre 2004

 

Era stato arrestato a Grosseto nei giorni scorsi Luigi Visconti, il detenuto di 36 anni che si è suicidato oggi impiccandosi con le lenzuola alla grata del bagno della sua cella. L’ uomo, originario di Marano (Napoli), era stato fermato dalla Polfer maremmana per un normale controllo e arrestato perché risultato inadempiente all’ obbligo di dimora. Processato per direttissima, Visconti aveva patteggiato una pena di otto mesi di reclusione e trasferito a Livorno.

È il terzo suicidio negli ultimi tre mesi nel carcere delle Sughere. Oggi il provveditore regionale del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Massimo De Pascalis, è stato a Livorno ha verificato di persona quanto sta accadendo alle Sughere.

Intanto oggi alla madre di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto nell’aprile dello scorso anno, è stata notificata la decisione del Gip Rinaldo Merani che non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm Roberto Pennisi. Secondo la procura Lonzi morì per un infarto, mentre la madre della vittima ha sempre sostenuto che il figlio fosse morto in seguito a un pestaggio subito dagli agenti. "La decisione del Gip - ha detto l’ avvocato Vittorio Trupiano, che difende la madre di Marcello Lonzi - è un primo punto verso la verità". Il Gip ha fissato per il 10 dicembre l’udienza preliminare durante la quale il caso sarà discusso.

 

Caso Lonzi: respinta la richiesta archiviazione del Pm

 

Avvocato Trupiano, 7 Settembre 2004

 

Il Gip presso il Tribunale di Livorno ha fissato per il 10 dicembre p.v. l’udienza camerale a seguito dell’opposizione formulata dall’avvocato Vittorio Trupiano, difensore della parte offesa sig.ra Maria Cioffi, contro la richiesta di archiviazione depositata da p.m. e relativa all’omicidio del detenuto Marcello Lonzi nel carcere livornese delle Sughere. Il Gip, codice alla mano, avrebbe potuto già ratificare l’archiviazione richiesta dalla procura livornese se avesse giudicato l’opposizione inammissibile o manifestamente infondata.

La difesa ha anche richiesto le foto a colori rappresentanti il retro del corpo di Marcello, testimonianza indelebile del martirio subito dal detenuto prima di essere scaraventato con la testa contro le sbarre, nella mal riuscita simulazione di un improvviso malore che lo avrebbe colto.

Tutta Livorno dovrà essere tappezzata da queste foto ingrandite ed affisse negli appositi spazi, affinché tutti possano vedere questo scempio senza precedenti. Saranno i livornesi a dire se Marcello è morto a causa di un arresto cardiocircolatorio.

 

L’avvocato Trupiano: "un piccolo passo verso la verità"

 

Il Tirreno, 9 settembre 2004

 

"È un piccolo passo verso la verità": così l’avvocato Vittorio Trupiano, legale della madre di Marcello Lonzi, commenta la decisione del tribunale labronico di arrivare a discutere dell’opposizione presentata all’ipotesi di archiviazione del fascicolo a carico di ignoti per omicidio. E "verità" è la parola chiave che Maria Cioffi va ripetendo da quando, un anno fa, il suo unico figlio fu trovato cadavere in una cella delle Sughere dove era rinchiuso per una breve pena. Perché niente potrà ridarle Marcellino, ma solo la verità su cosa è accaduto davvero quel giorno di luglio potrà portarle un po’ di pace.

"Tra i passi che faremo da qui al 10 dicembre - annuncia l’avvocato Trupiano - c’è anche l’acquisizione delle foto a colori del cadavere di Marcello Lonzi ripreso di schiena. Foto contenute nel fascicolo del tribunale che mostrano il corpo del ragazzo martoriato da colpi. Faremo gli ingrandimenti e le affiggeremo nei punti chiave della città, perché tutta la città deve sapere". È una procedura insolita, ammette Trupiano, ma - spiega Maria Cioffi - "sarebbe una sconfitta per tutta Livorno se l’inchiesta sulla morte di Marcellino fosse archiviata". "Che si andasse al dibattimento non era scontato", sottolinea con forza l’avvocato Trupiano.

Anche perché dopo il terzo suicidio in un mese e mezzo gli occhi di tutto il pianeta carcere sono puntati su Livorno. Tra l’altro, proprio agli inizi di luglio, i parlamentari diessini Cennamo, Siniscalchi, Carboni e Oliverio, hanno presentato un’interrogazione parlamentare su presunte violenze compiute, a danno di detenuti, nei carceri di Livorno, Prato, Parma e Napoli. I firmatari si sono mossi in seguito alla trasmissione radiofonica "Radio carcere" del 15 giugno scorso andata in onda su Radio radicale.

 

Livorno: la questione delle Sughere approda in Comune

 

Il Tirreno, 10 settembre 2004

 

"Di carcere si muore...ennesimo capitolo" di un brutto film girato alle Sughere, penitenziario labronico con una sezione di massima sicurezza, anomalia italiana e "concentrato di tutte le mancanze dell’istituzione penitenziaria".

Come si legge nel volantino distribuito ieri, durante il presidio che si è tenuto in piazza Cavour per attirare l’attenzione su questo pezzo di città più rimosso che considerato da chi è fuori. A organizzarlo - nel giorno dell’autopsia di Luigi Visconti trovato impiccato martedì mattina, terzo suicida dietro le sbarre in due mesi - il centro sociale "Godzilla" che ha richiamato giovani da Pisa, Cecina e altre realtà toscane per ribadire che "di carcere non si può morire".

Con loro la madre di Marcello Lonzi, trovato cadavere un anno fa in una cella delle Sughere e sulla cui morte e tutt’oggi aperto un fascicolo a carico di ignoti con l’accusa di omicidio. Maria Cioffi, che ha espresso le condoglianze di tutti i partecipanti alla famiglia del giovane Visconti, chiede verità sulla morte di Marcellino, ma non smette di tenere alta l’attenzione su quanto accade "là dentro". Pochi giorni fa ha lanciato l’idea di una fiaccolata che ricordi a Livorno l’esistenza del penitenziario e oggi torna a chiedere l’adesione del sindaco Cosimi e della giunta.

Delle Sughere si è parlato, ieri mattina, nel corso della riunione dei capogruppo. Letizia Costa, del Pdci, ha proposto un testo in cui si esprime "forte preoccupazione per i gravi fatti recentemente acceduti e per gli atti di autolesionismo messi in atto dai detenuti, chiari indicatori di uno stato di sofferenza. Avvertiamo la necessità - si legge ancora nel documento che potrebbe essere trasformato in un’interpellanza da portare in consiglio - di acquisire elementi per una più approfondita conoscenza della situazione, affinché il consiglio comunale sia nella condizione di declinare il proprio ruolo istituzionale". Al sindaco Cosimi il documento chiede "di provvedere in tal senso per quanto è di sua competenza".

 

Livorno: morte di Marcello Lonzi, no all’archiviazione

 

Il Tirreno, 13 settembre 2004

 

Niente archiviazione. Nello stesso momento in cui alle Sughere moriva un altro detenuto, il giudice delle indagini preliminari Rinaldo Merani respingeva la richiesta di chiudere un altro caso di morte in carcere. Il caso in questione è quello di Marcello Lonzi, il ventinovenne trovato morto nella sua cella la notte tra l’11 e il 12 luglio 2003. Un caso diverso, in cui il suicidio non c’entra. Un caso di cui non si è mai smesso di parlare anche per la tenace battaglia ingaggiata dalla madre di Marcello, Maria Cioffi, nei confronti sia della polizia penitenziaria che della procura livornese.

Lonzi era in carcere per una condanna a quattro mesi. Morì in un lago di sangue. I familiari vennero informati dodici ore dopo il decesso e nessuno li avvertì dell’autopsia alla quale non partecipò un perito di parte. Autopsia la quale stabilì che fu un infarto a uccidere il detenuto.

Tanto che lo scorso 2 luglio il sostituto procuratore Roberto Pennisi chiuse le indagini e il fascicolo aperto a carico di ignoti per omicidio, suggerendo al Gip l’archiviazione del caso. Il Gip ieri mattina non ha accolto quella richiesta. Il giudice ha quindi fissato l’udienza in cui le parti dovranno comparire dinanzi a sé: il 10 dicembre.

"Mio figlio non era un santo ma stava pagando il suo errore. Non doveva morire. Se qualcuno ha sbagliato, è giusto che paghi". Questo ha sempre detto e ripetuto la signora Cioffi, rivolgendosi ai giornali e alle autorità, scrivendo ai ministri e anche al presidente Ciampi.

Non è morto di infarto, ha sempre detto la donna. La sua è una convinzione di acciaio: "Marcello è stato pestato in carcere". Il suo grido d’accusa da alcuni mesi è stato raccolto da un noto avvocato napoletano conosciuto a Livorno il 14 maggio: Vittorio Trupiano.

Il legale era in tribunale per difendere Paolo Dorigo, il veneziano irriducibile della lotta armata, presunto brigatista rosso. Dorigo era accusato di aver danneggiato le Sughere nella primavera 2002, Trupiano al contrario sosteneva che "lui è stato pestato da alcuni agenti nella sezione penale psichiatrica del carcere livornese". L’avvocato perfetto per la Cioffi.

E Trupiano si oppose subito alla richiesta di archiviazione chiedendo al giudice "di voler disporre nuovi accertamenti, anche autoptici sul corpo del Lonzi". L’avvocato rispolverò le foto di Marcello contenute del fascicolo del Pm, evidenziò "le tumefazioni da colpi inferti alla vittima".

"Marcello Lonzi - concluse Trupiano - è stato prima ucciso dalle percosse ricevute e poi, forse ancora agonizzante, sbattuto ancor più violentemente col capo contro, si presume, le sbarre della sua cella".

 

Livorno: una fiaccolata per il disagio dietro le sbarre

 

Il Tirreno, 15 settembre 2004

 

Gli ultimi suicidi alle Sughere (tre in due mesi) sono stati messi in atto da detenuti che si trovavano dietro le sbarre da pochi mesi. Un dato - spiega Marco Solimano, presidente dell’Arci livornese - che rende quello che è accaduto ancora più drammatico e impone alla città un investimento sul carcere in termini di risorse e cultura".

Ma Solimano non è il solo a chiamare in causa tutta la città e suoi enti locali. Maria Cioffi, madre di Marcello Lonzi morto alle Sughere in circostanze da accertare, ha lanciato l’idea di una fiaccolata fin sotto il carcere per ricordare il disagio dei detenuti. Per accendere le luci manca solo la risposta del sindaco, Alessandro Cosimi.

 

L’inferno delle Sughere, il carcere dei suicidi

 

Il Manifesto, 17 settembre 2004

 

In appena due mesi tre detenuti si tolgono la vita nell’istituto livornese. L’ultimo, "Fahrenheit", aveva 36 anni. "Fahrenheit" è il protagonista dell’ennesima brutta storia di morte partorita dal carcere livornese Le Sughere. È il terzo suicidio in poco più di due mesi avvenuto all’interno del penitenziario, il quarto in neanche un anno e mezzo.

Un soprannome, "Fahrenheit", che Luigi Visconti, 36enne originario di Marano (Napoli), si era conquistato "sul campo". Una forma di cleptomania, la sua - ha affermato chi lo conosceva bene - che lo aveva portato a specializzarsi nel furto del celebre profumo. "Fahrenheit" si è suicidato lo scorso martedì impiccandosi con le lenzuola alla grata del bagno della sua cella.

 

I precedenti

 

Il 24 aprile 2003 viene trovato impiccato in carcere Mohammer Daff, cittadino turco di 35 anni. Intorno al collo i lacci delle scarpe, assolutamente vietati in cella. Daff era alle Sughere da un mese e mezzo e frequentava un corso per ottenere la licenza media. I compagni di sezione parlavano di lui come un tipo estremamente pacifico e silenzioso. Il suo suicidio precede cronologicamente quelli dei 50enni Domenico Bruzzaniti, ergastolano, e Carlos Requelme, un marittimo cileno, entrambi avvenuti quest’anno.

 

Il caso Lonzi

 

Il pensiero non può che andare al 29enne livornese Marcello Lonzi la cui morte, avvenuta l’11 luglio dello scorso anno, viene frettolosamente schedata come "accidentale" (infarto) dalla Procura di Livorno. Sebbene il cadavere del giovane presenti chiari segni di percosse, vengono condotte indagini approssimative, compiuti errori marchiani (persino negli esami autoptici, eseguiti in assenza di un perito di parte perché effettuati prima che i familiari fossero avvertiti del decesso), registrati atteggiamenti omertosi sia da parte delle guardie carcerarie che dei compagni di carcere.

Con una "chicca": la mancata perizia tossicologica (Lonzi era tossicodipendente), una svista talmente clamorosa che alimenta il sospetto di una volontà ben precisa di archiviare il caso in fretta e furia. La tenacia della madre del giovane, del suo avvocato e di un gruppo di controinchiesta formatosi a Livorno qualche mese fa, riescono ad attirare l’attenzione della città sul caso e portare il Gip a non accogliere la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm che aveva seguito la vicenda. Come Requelme, anche Lonzi avrebbe avuto diritto ad un trattamento sanitario specifico, con conseguente spostamento al carcere di Pisa, predisposto alla cura di tossicodipendenti.

 

Morti sfiorate

 

Luglio 2000: dopo aver minacciato un agente con un punteruolo, il 40enne Roberto Guadagnolo viene selvaggiamente pestato da dieci poliziotti. Sette di loro (gennaio 2004) patteggiano la pena di sei mesi di reclusione per i reati di abuso di ufficio, insubordinazione e lesioni aggravate; cinque vengono sospesi dall’amministrazione penitenziaria.

Giugno 2002: si conclude con una sentenza di non luogo a procedere il caso del detenuto Simone Cantaridi. Picchiato selvaggiamente durante l’ora d’aria da un altro detenuto (reo confesso), preferisce non presentare querela.

Settembre 2002: i detenuti attuano lo sciopero della fame. Nel loro mirino i soprusi delle guardie, l’inefficienza del servizio sanitario, la totale promiscuità tra soggetti incompatibili (tossicodipendenti e spacciatori), l’assenza di attività interne.

Agosto 2003: una 30enne pisana tenta di impiccarsi in cella legandosi i pantaloni intorno al collo. La salvano gli agenti che la tenevano sotto stretta sorveglianza. 11 Settembre 2004: un immigrato tenta il suicidio tagliandosi le vene. Soccorso, viene portato all’ospedale, curato e quindi prontamente riportato in carcere.

Le Sughere, penitenziario con una sezione di massima sicurezza, sembra un concentrato di tutte le deficienze che affliggono l’istituzione penitenziaria italiana: oltre 400 detenuti su una capienza di 265 posti, risorse mediche inesistenti, strutture sanitarie inadeguate, scarsissimo dialogo con l’esterno, attività culturali, ludiche e assistenziali limitate. E una lunga scia di misteri, violenze, morte.

 

Camera dei Deputati - Interrogazioni al Ministro della Giustizia

 

Cento - Seduta n. 510 del 20.9.2004

 

Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:

secondo quanto emerge da un articolo del quotidiano Il Tirreno dei primi giorni di settembre 2004, un ex detenuto del carcere Sughere di Livorno avrebbe dichiarato di essere stato anche lui come altri in una particolare cella detta cella "liscia";

in detta cella si sconterebbe un’ulteriore punizione poiché i detenuti verrebbero denudati e lasciati in un materasso senza poter uscire o parlare con qualcuno e addirittura ad ogni tentativo di reclamo verrebbero malmenati dalle guardie -:

se il ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e se questi corrispondano al vero;

quali provvedimenti intenda intraprendere per verificare l’esistenza di questa particolare cella di isolamento e se non ritenga che questo tipo di carcere punitivo violi l’integrità fisica e i diritti dei detenuti stessi.

 

Striscione esposto in stadio: "Marcello Lonzi, morto di stress"

 

Il Tirreno, 20 settembre 2004

 

Allo stadio per la partita con un pensiero nel cuore, la morte di Marcello Lonzi, un ragazzone di 29 anni trovato morto l’estate scorsa in una cella della sesta sezione delle Sughere. I giovani del centro sociale "Godzilla" hanno voluto ricordare Marcellino, sul cui decesso pende ancora un fascicolo a carico di ignoti per il reato di omicidio, con uno striscione: "Marcello Lonzi, morto di stress".

E con i cori hanno sottolineato che "Marcello è uno di noi". Allo stadio, nel giorno della visita del presidente della Repubblica, anche la madre di Marcello, Maria Cioffi visibilmente commossa. Una presenza non casuale, poiché proprio a Ciampi si era rivolta la donna, sul finire dell’anno scorso, chiedendo che non venisse archiviata la morte del figlio che l’autopsia attribuisce a cause naturale nonostante numerosi segni di colpiture sul corpo del ragazzo.

E proprio le foto contenute nel fascicolo del Pm Pennisi saranno al centro della discussione che si terrà il 10 dicembre in tribunale in occasione dell’udienza per valutare l’opposizione all’archiviazione presentata dal legale di Maria Cioffi, Vittorio Trupiano.

 

Il Provveditore regionale: fare chiarezza su queste "celle lisce"

 

Il Tirreno, 22 settembre 2004

 

Una circolare a proposito di celle "lisce", come le definisce più di un detenuto transitato per le sughere, o "senza suppellettili" come preferisce chiamarle la direttrice del penitenziario labronico, Anna Carmineo.

Il provveditore regionale alle carceri, Massimo de Pascalis, la annuncia come imminente e spiega: "Poiché non escludo che anche altre sedi possano assumere analoghe iniziative, sto diramandola per disciplinare la materia che mi sembra richieda un intervento uniforme".

Il provveditore non si tira indietro di fronte alla richiesta di spiegazioni sul fatto che del metodo citato dalla dottoressa Carmineo (solo branda e materasso, tutti gli oggetti personali, abbigliamento compreso, fuori dalla cella e da richiedere alla guardia) e dal dottor Tiso che delle Sughere e il dirigente sanitario: "Sono misure - spiega De Pascalis - che rientrano nell’ambito delle iniziative di un sanitario, secondo la sua etica, nelle more di un intervento dello psichiatra. La direzione non ha un protocollo standard, ma si muove in base allo stato di crisi che si trova ad affrontare".

L’esistenza della cella "liscia" alle Sughere era stata testimoniata a Radio Radicale il 15 giugno scorso da un ex detenuto. In verità nessuno l’ha mai categoricamente smentita e al nostro giornale è arrivata la lettera di un detenuto di lungo corso che racconta di reclusi malmenati all’interno della cella denominata, appunto, "liscia": un trattamento che verrebbe cinicamente definito "terapia".

In attesa della circolare resta da capire come mai - all’interno di un pianeta come quello del carcere rigidamente impostato per regolamenti e competenze - sia potuto emergere un lato "creativo" a proposito del contenimento di detenuti particolarmente "vivaci".

 

Livorno: interrogazione di Paolo Cento sul "caso Sughere"

 

Il Tirreno, 23 settembre 2004

 

Paolo Cento, deputato dei Verdi, ha presentato al ministro della giustizia un’interrogazione parlamentare sul "caso" Sughere. Partendo dall’inchiesta de "Il Tirreno". Cento scrive: "Un ex detenuto delle Sughere avrebbe dichiarato di essere stato anche lui come altri in una particolare cella detta "liscia" nella quale si sconterebbe un’ulteriore punizione poiché i detenuti verrebbero denudati e lasciati con un materasso e ad ogni tentativo si reclamo verrebbero malmenati dalle guardie". Cento chiede al ministro se i fatti corrispondano al vero, se conosca i fatti, come intenda verificarli.

 

Camera dei Deputati - Interrogazioni al Ministro della Giustizia

 

Bolognesi e Susini - Seduta del 23.9.2004

 

Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:

da tempo nella casa circondariale, Le Sughere di Livorno, emergono alcune difficoltà di gestione e si lamentano gravi mancanze. Negli ultimi mesi si sono verificati tre suicidi ed altri gravi atti di autolesionismo da parte dei detenuti. Inoltre il carcere di Livorno, costruito oltre 20 anni fa, presenta evidenti problemi di carattere strutturale e carenze sotto il profilo assistenziale;

concepito in un’ottica di massima sicurezza, il carcere è dotato sotto il profilo della video sorveglianza e delle misure di restrizione, ma registra gravi carenze nell’agibilità della struttura a causa dell’usura, degli agenti atmosferici e della vicinanza del mare;

in particolare l’agibilità è minata dall’acqua piovana che penetra all’interno delle celle, da finestre costruite erroneamente in ferro e ormai corrose in maniera irreversibile, così come da un impianto elettrico deficitario che rende l’ambiente interno poco luminoso e le celle praticamente buie per gran parte delle giornata;

la mancanza di manutenzione e di attrezzature all’aperto impedisce un’attività sportiva e ricreativa adeguata;

si registra una grave carenza di personale che incide sulla funzionalità del carcere stesso, in particolare nell’ambito della custodia femminile. Questa lacuna obbliga le detenute ad optare tra l’ora d’aria e l’espletamento della pulizia personale, e ancora depotenzia le attività di rieducazione e di socializzazione;

si lamentano carenze per quanto riguarda le figure professionali di educatori e di assistenti sociali ed una troppa ridotta attività lavorativa;

date le caratteristiche di sicurezza, afferiscono a Livorno detenuti di diversa problematicità e tale commissione rende più difficile il governo del carcere stesso e la costruzione di percorsi rieducativi;

se non ritenga urgente provvedere a ripristinare l’agibilità strutturale del carcere, invaso attraverso gli infissi dall’acqua piovana, tramite un finanziamento straordinario che affronti almeno i problemi più gravi -:

se non ritenga necessario dotare il carcere di strumenti tesi a migliorare la qualità della vita dei detenuti, in modo da prevenire i gravi episodi di autolesionismo che si sono verificati con un ritmo preoccupante;

se non ritenga urgente dotare la struttura di adeguato personale qualificato, sia dal punto di vista numerico che professionale, in particolare di agenti, educatori e assistenti sociali.

 

Sughere, i detenuti scrivono: "siamo tutti sotto choc"

 

Il Tirreno, 23 settembre 2004

 

Voci di dentro, da quell’angolo remoto di città chiamato le Sughere, dove l’unico sole è quello a scacchi: "Siamo tutti sotto choc - scrivono ventiquattro detenuti comuni che si firmano con nome e cognome - per quanto sta accadendo da quattro mesi a questa parte. Abbiamo paura anche di andare ai colloqui con i familiari perché non sappiamo mai cosa possa accadere".

Appena sabato scorso - insieme ai parlamentari Ds Marida Bolognesi e Marco Susini - abbiamo raccolto l’appello della direttrice del penitenziario Anna Carmineo, del capo degli agenti Emilio Giusti, di educatori e sanitari, affinché tutta la città, con le istituzioni in prima fila, si faccia carico delle condizioni materiali e umane del carcere.

A quell’appello, cui è seguita un’ampia discussione nel corso dell’ultimo consiglio comunale, si aggiunge oggi quello che arriva dalle voci dei detenuti: "Scriviamo - si legge nella lettera - perché desideriamo che il nostro grido d’aiuto possa giungere alle persone competenti che vogliono prendere visione di quanto trascritto".

Prendere visione e rimboccarsi le maniche per trovare soluzioni alle richieste elencate, una dietro l’altra, nella lettera. A partire dalla mancanza di rapporto con i servizi sociali "che vengono effettuati raramente", continuando per "la carenza di assistenza medica continuativa, per cui le visite vengono meno al momento del bisogno", passando per "la mancata socialità all’interno delle varie sezioni".

Al gruppo di detenuti che ha inviato queste richieste, si aggiunge una testimonianza a se stante che parla di "un regime molto stretto" applicato nel carcere livornese e mette l’accento sulle questioni sanitarie: "Io ho avuto l’occasione - scrive il detenuto - di assistere ai malori di un detenuto per cui l’intervento non è stato immediato in quanto passarono ben 40 minuti dalla chiamata. In altri casi il tempo è stato anche superiore".

Una situazione di grande disagio, dunque, pur per chi non nega che "è vero che ci troviamo reclusi per aver commesso vari reati", ma chiede che la pena inflitta non si trasformi nella condanna a "vivere dimenticati dal mondo esterno".

"Ci sono suicidi - continua il detenuto che scrive da solo - che potrebbero non esserci se questo carcere fosse più controllato e con un regime meno duro. Non come ora che non possiamo avere nessun tipo di svago in cella, le nostre domandine non vengono considerate e non ci sanno dare spiegazioni in merito".

 

Trupiano: nuove prove a sostegno della tesi dell’omicidio

 

Il Tirreno, 28 settembre 2004

 

La decisione finale del tribunale sull’opposizione all’archiviazione del caso di Marcello Lonzi, deceduto in carcere nel luglio 2003, arriverà a dicembre. Ma la vicenda della morte del giovane ventinovenne che alle Sughere avrebbe dovuto restare solo quattro mesi fa ancora molto discutere. Vittorio Trupiano, avvocato di Maria Cioffi, la madre di "Marcellino", replica alla direttrice del carcere labronico che, nei giorni scorsi aveva detto: "Il 10 dicembre si vedrà chi aveva ragione". "La direttrice aspetta il 10 dicembre? - scrive in una nota Trupiano -.

Ma chi è che è subentrata il giorno della morte di Marcello? Mi insospettisce tanta sicurezza da parte sua". Trupiano annuncia nuove prove a sostegno della tesi dell’omicidio e domanda: "Ma le ha viste le foto di Marcello, quelle che ne ritraggono le spalle, i glutei? Dice che si vedrà il 10 dicembre chi ha ragione? Che le posso dire: auguri, ne ha bisogno".

 

Lonzi: "morte per cause naturali", le foto della vergogna

 

Avvocato Trupiano, 9 novembre 2004

 

"Marcello Lonzi, deceduto per cause naturali", con questa laconica affermazione era stata richiesta al Gip presso il Tribunale di Livorno, da parte del pubblico ministero, l’archiviazione per la morte del giovane livornese deceduto nel carcere delle Sughere la sera dell’11 luglio 2003, ad appena 30 anni. Così non è stato, invece, grazie all’opposizione presentata dal sottoscritto difensore e sulla quale si dovrà pronunciare definitivamente il Gip in data 10 dicembre 2004.

Del resto, questo foto, e non sono nemmeno le più "crude", parlano da sole e raccontano di un uomo che doveva scontare ancora appena 4 mesi di carcere e che nemmeno sotto ad un tir poteva ridursi in queste condizioni. Marcello è stato torturato a lungo, sul suo corpo sono ben visibili i segni del martirio e secondo il nostro perito di parte anche le impronte dei tacchi dei suoi carnefici. Questo crimine non resterà impunito.

 

Caso Lonzi: siamo a 2 giorni dalla camera di consiglio

 

Avvocato Trupiano, 8 dicembre 2004

 

A due giorni dalla camera di consiglio che si terrà presso il Tribunale di Livorno chiamato a decidere se accogliere la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm o disporre nuove indagini e riaprire il caso spunta un nuovo teste, Pino Cobianchi, il quale riferisce senza mezzi termini di "celle lisce" e di "squadrette" con tanto di manganello nero di gomma dura, dove troneggia la frase "terapia".

Che alle Sughere esistano queste famigerate "celle lisce" lo si ricava da esplicita ammissione del provveditore regionale alle carceri della Toscana Massimo de Pascalis, da agenti della polizia penitenziaria escussi a testimoni nel corso del processo tenutosi il 29 ottobre proprio a Livorno a carico di Paolo Dorigo, tanto da indurre il Tribunale a richiedere l’immediata trasmissioni degli atti alla Procura Sede. Celle munite solo di una branda e dove sei spogliato di tutto.

Ora però dobbiamo sapere:

perché i familiari di Marcello Lonzi sono stati avvertiti del suo decesso solo 12 ore dopo?

perché lo hanno tenuto tanto tempo all’interno del carcere?

perché se è morto d’infarto hanno spostato il corpo nel corridoio ?

perché sono stati prelevati organi vitali e tessuti e non si è mai proceduto ad esami tossicologici?

come ha fatto il perito incaricato a non vedere tutte quelle ecchimosi sulla schiena di Marcello?

come viene giustificata la perdita di tanto sangue e da più parti del corpo, roba che si vede solo al macello comunale?

perché l’autopsia è stata eseguita senza avvertire nessuno dei familiari allo scopo di evitare la nomina di un consulente di parte?

perché tanto tempo per il soccorso ed il trasporto a mezzo del 118?

chi e cosa si cerca di coprire?

 

Le conclusioni di Pennisi: né violenza, né soccorsi ritardati

 

Il Tirreno, 10 dicembre 2004

 

Tutti gli atti di indagine "doverosamente eseguiti a seguito del fatto" sono valsi "a escludere ipotesi diverse da quelle che riconducono la morte del Lonzi a cause naturali". Il pubblico ministero Roberto Pennisi inizia così la sua richiesta al giudice per le indagini preliminari per l’archiviazione del fascicolo aperto per omicidio a seguito del decesso in carcere di Marcello Lonzi, 29 anni.

Una decisione supportata - spiega Pennisi - "dalla consulenza disposta sulle cause della morte, le cui conclusioni si condividono", sia dalle dichiarazioni del compagno di cella - il quale ha ammesso di essersi svegliato solo quando ha sentito i gemiti del giovane morto - "che hanno escluso sia azioni violente nei confronti del defunto, che ritardi o manchevolezze in occasione dei soccorsi".

Preso atto dell’insieme delle testimonianze e della ricostruzione dei fatti che ne emerge, Pennisi ritiene che "è da escludere che il decesso di Marcello Lonzi sia da ascrivere alla responsabilità di chicchessia". Dunque il Pm chiede di archiviare "per carenza di estremi di responsabilità penale nel fatto oggetto di indagine".

 

Archiviato il caso Lonzi, muro di gomma intorno alle Sughere

 

Avvocato Trupiano, 10 dicembre 2004

 

Il Tribunale di Livorno ha stabilito che la morte di Marcello Lonzi è avvenuta per cause naturali, pertanto non ha ritenuto necessario aprire alcuna indagine. Nessuna degna risposta è giunta alle 22 domande formulate dall’avvocato Trupiano, legale di Maria Cioffi, madre di Marcello.

Dunque la legge non chiarifica e non documenta i suoi verdetti, ma consiste semplicemente nell’applicazione di un potere assoluto, discrezionale, eternamente schierato dalla parte dei poteri occulti statali.

L’avvocato Trupiano ha commentato l’incredibile sentenza sostenendo che il caso Lonzi a questo punto è entrato a fra parte dei Misteri d’Italia insieme alle stragi di Piazza Fontana, dell’Italicus e dai tanti altri episodi che hanno marchiato con il sangue i momenti politici particolari attraversati dall’Italia. Non potendo accettare un’archiviazione senza risposte ai dubbi e alle prove che ne smentiscono la fondatezza, Trupiano ha dichiarato che si rivolgerà subito al Consiglio Superiore della Magistratura. Il clima di scoramento è grande.

Questa sentenza è la riprova che il carcere Le Sughere di Livorno è stato circondato da un muro di gomma. Né verità, né giustizia per chi varcherà quella soglia. Né verità, né giustizia in questo Stato corrotto e marcio dove la mafia di regime troneggia e brutalizza senza ritegno tutti i viventi.

Per comprendere appieno la grave ingiustizia e la violazione della verità a cui ci troviamo di fronte, vi proponiamo il testo consegnato questa mattina dall’avvocato Trupiano al Gip presso il Tribunale di Livorno. La lista di domande, dubbi e richieste è stata quasi totalmente ignorata. Un altro piccolo pezzo di Resistenza oggi è stato ucciso dallo Stato e dalle sue rappresentanze parlamentari unite nell’inazione e nell’insabbiamento della verità storica.

 

Livorno: archiviazione caso Lonzi, parla l’avvocato Trupiano

 

Avvocato Trupiano, 11 dicembre 2004

 

Io sono un difensore e un difensore non può essere un vile, altrimenti meglio che se ne stia a casa. Non posso accettare che si dica che tutte quelle ecchimosi, quei lividi, e quant’altro sono le conseguenze di un tentativo di rianimazione.

La verità è che non si è disposta una nuova autopsia solo per evitare che risultassero evidenti lesioni ossee. Questa storia non può e non deve finire qui, farò tutto il possibile perché il caso venga riaperto, anche se per ora ha prevalso la ragion di Stato.

 

Livorno: "archiviata" la morte di Marcello Lonzi

 

Il Manifesto, 11 dicembre 2004

 

Archiviato. Il caso di Marcello Lonzi, il giovane morto nel carcere livornese delle Sughere l’11 luglio 2003 -formalmente per "infarto" ma il cui corpo è stato trovato in un lago di sangue e martoriato di lividi ed escoriazioni - non arriverà mai in tribunale. Lo ha deciso ieri mattina il Gip Rinaldo Merani, lo stesso magistrato che l’8 settembre aveva respinto la prima richiesta di archiviazione presentata dal Pm Roberto Pennisi. Sono molti i punti che non tornano nella vicenda della morte di Marcello Lonzi. Il suo corpo è stato trovato cadavere nella sua cella, immerso nel sangue e pieno di ecchimosi.

Secondo le ricostruzioni fatte dagli agenti penitenziari, Lonzi cadendo per terra ha battuto la testa contro il termosifone e per questo ha perso molto sangue. La famiglia è stata avvertita della morte del giovane solo 12 ore dopo i fatti. Nessuno disse loro dell’autopsia ordinata dal tribunale e il referto del perito del tribunale non faceva alcun riferimento ai lividi trovati sul corpo del ragazzo.

"In udienza - spiega l’avvocato Vittorio Trupiano, che rappresenta la madre di Lonzi, Maria Cioffi - il Gip ha spiegato che le ecchimosi sulla schiena di Marcello sarebbero state causate dai tentativi di rianimarlo. Ha prevalso la ragione di stato". Trupiano ha già annunciato un ricorso al Csm e un esposto al Consiglio europeo di Strasburgo.

Il carcere livornese è famoso per torture e strani suicidi. Tempo fa un ex carcerato, Pino Cobianchi, ha scritto una lettera al Tirreno raccontando che alcuni detenuti vengono rinchiusi periodicamente in celle "lisce" e quindi pestati da agenti del Gom armati di manganelli con la scritta "terapia". E il provveditore alle carceri toscane Massimo De Pascalis ha ammesso in un rapporto l’esistenza di queste celle.

 

Accolta richiesta di archiviazione; la mamma: "hanno insabbiato"

 

La Nazione, 11 dicembre 2004

 

Sulla morte del giovane Marcello Lonzi, che è morto alle Sughere l’11 luglio del 2003, ieri è calato definitivamente il sipario, sotto il profilo giudiziario locale. Alle 13 il giudice delle udienze preliminari Rinaldo Merani ha letto la sentenza con la quale ha accolto la richiesta di archiviazione del pubblico ministero Roberto Pennisi titolare delle indagini sul decesso in carcere del giovane. L’avvocato Vittorio Trupiano legale di fiducia della madre del giovane detenuto Maria Cioffi si era opposto alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero.

Le indagini dei carabinieri coordinate dal pubblico ministero Pennisi avevano concluso che la morte di Marcello Lonzi era avvenuta per cause naturali. Il giovane venne colpito da un malore di origine cardiaca che in pochi minuti lo uccise. Una morte quindi naturale per la quale vennero attivati i soccorsi necessari e per la quale nessuno, con ruoli e responsabilità diverse, secondo gli accertamenti dei carabinieri ha avuto responsabilità.

L’avvocato Vittorio Trupiano, invece, ha sempre sostenuto che il giovane sia stato percosso, che le percosse abbiano provocato il suo decesso e che comunque anche i soccorsi siano stati attivati in modo negligente e non corretto. Una tesi che ha portato il legale a fare opposizione alla richiesta di archiviazione ed anche a chiedere la riesumazione del cadavere del giovane.

Richiesta che non è stata accolta. Ieri mattina il giudice delle udienze preliminari Rinaldo Merani in camera di consiglio ha esaminato la lunga memoria dell’avvocato Vittorio Trupiano. Alle 13 alla presenza della madre di Marcello Lonzi, degli avvocati Vittorio Trupiano e dell’avvocato Silvio Monti che tutela il padre del giovane ha letto la sentenza. Accolta la richiesta di archiviazione ed il giudice, in un dispositivo di quattro pagine e mezzo, motiva il perché dell’accoglimento: nessun elemento lascia spazio ad una lettura diversa del decesso.

Marcello Lonzi è morto per cause naturali, appunto un malore cardiaco, e non ci sono state negligenze nei soccorsi e nessun ritardo. Le indagini sono state fatte in modo capillare e non lasciano spazio secondo il giudice Rinaldo Merani - che conosce molto bene l’ambiente carcerario essendo stato per anni giudice di sorveglianza - ad una lettura diversa e quindi ad altre ipotesi. Inoltre il giudice Merani avrebbe potuto archiviare senza fissare l’udienza in camera di consiglio, ma ha preferito invece non accogliere la richiesta di archiviazione del pubblico ministero il 2 luglio del 2004 per permettere alla difesa delle parti offese di interloquire.

La decisione del giudice ha suscitato ovviamente una reazione molto forte nella madre del giovane Marcello Lonzi: "Hanno voluto insabbiare". ha detto Maria Cioffi all’uscita dal tribunale dove ad attenderla c’erano anche i giovani dei centri sociali.

"Il caso di Marcello Lonzi - ha invece detto l’avvocato Vittorio Trupiano - non termina qui. Studierò cosa si spossa fare in termini di legge per andare avanti. Non accetto questo verdetto. Vedrò se ricorrere al Csm".

L’avvocato Silvio Monti che assiste come parte offesa il padre del giovane Marcello Lonzi ha detto: "Il padre è più contento di sapere che il figlio non è stato ammazzato e che sia morto per cause naturali. Le indagini però sono state insufficienti". Dalle Sughere invece nessuno commento.

 

Inchiesta: la vita e la morte nel carcere di Livorno

 

Il Manifesto, 14 dicembre 2004

 

"La reclusione - sosteneva il sociologo Erving Goffman - è anzitutto l’azione di rinchiudere qualcuno o qualcuna, inglobarne il corpo e costringerlo in un sistema chiuso". Il carcere è un’istituzione totale creata per mantenere saldo e vivo il contratto sociale che, se sottoscritto, ci tiene lontani da questa e che, se non accettato, ci porta dentro questa. E "dentro" ci si finisce o per ritrattare quanto non rispettato del contratto sociale, o per mantenere fede alla deviazione.

 

Il contratto sociale

 

Carlos Requelme, dentro il carcere livornese "Le Sughere", c’era finito per non aver rispettato la prima osservanza. All’interno della "sezione 6", un simpatico ragazzo sulla quarantina divide la cella con un attempato detenuto livornese. Sul suo volto i contrasti tipici della sua America Latina: occhi malinconici ma un sorriso maledettamente contagioso. Si chiama Nuñez Requelme, stesso cognome del marittimo cileno suicidatosi lo scorso 30 luglio. "No, non sono parente di Carlos, siamo solo omonimi ed ex-colleghi di lavoro. Eravamo imbarcati sulla stessa nave".

I due prestavano servizio sulla portacontainer Ancud, un cargo battente bandiera delle isole Marshall dal quale già l’anno precedente furono recuperati tre chilogrammi di cocaina purissima. Una soffiata e il telefono cellulare di Carlos viene posto sotto controllo; perquisizione della Guardia di finanza all’interno del cargo e nuovo rinvenimento di polvere bianca. "Carlos era innocente, ha provato a gridarlo finché ha avuto fiato".

Carlos Requelme finisce in carcere con il suo omonimo e altre due persone. Rinchiuso in una cella della quarta sezione, il cileno si dichiara innocente. Non mangia, piange, si dispera, viene imbottito di potenti psicofarmaci. "Era disperato perché lui rappresentava l’unica fonte di sostentamento della sua famiglia". In preda a una profonda crisi depressiva, chiede a più riprese di essere trasferito in un centro clinico decente. Richiesta ignorata. "Non appena l’Ancud attraccò a Livorno - racconta Nuñez Requelme - Carlos ricevette una telefonata. Lo invitavano a scendere nella stiva, staccare un pannello, prelevare un sacchetto di polvere bianca e consegnarlo a un corriere. Carlos cadde dalle nuvole e oppose un fermo rifiuto". Immediatamente arrestato, Carlos trascorre in carcere tre lunghissimi mesi in attesa di un giudizio che non arriva mai. Il 30 luglio, disperato, decide di togliersi la vita impiccandosi all’inferriata della finestra con alcuni sacchi di nylon dell’immondizia. Il contratto sociale obbligava Carlos a denunciare il suo sconosciuto interlocutore. E lui non lo aveva rispettato.

 

Penitenziaria amministrazione

 

La visita all’interno del penitenziario livornese, resa possibile grazie all’impegno sulle tematiche carcerarie toscane portato avanti dal consigliere regionale di Rifondazione comunista, Giovanni Barbagli, e all’invito offertoci dal segretario livornese Alessandro Trotta, ci spalanca tutte le deficienze del penitenziario labronico. Costruito per ospitare 270 detenuti, Le Sughere ne ospitano al momento 360. "La situazione è spesso insostenibile - ammette Emilio Giusti, il comandante delle guardie carcerarie - quest’estate abbiamo toccato perfino le 420 presenze".

Le Sughere sono state anche ribattezzate "il carcere della morte". Nell’ultimo anno e mezzo vi si sono verificati quattro suicidi, una morte (quella di Marcello Lonzi) ancora avvolta nel mistero e tre tentativi (quelli emersi) di suicidio. "Qua - si sfoga un detenuto - il vero problema è l’ozio. Sempre in cella a marcire, mai un’iniziativa culturale, mai un’attività ricreativa. Il campo di calcio è perennemente allagato e l’ora d’aria viene fatta in un anfratto ancora più piccolo della stessa cella". Il comandante Giusti annuisce e conferma: "La situazione è difficile, le condizioni sono effettivamente precarie".

Camminiamo nel corridoio. Tra i detenuti c’è chi saluta e chi guarda con diffidenza, chi ha voglia di raccontare il proprio disagio e chi preferisce starsene a letto. Ci fermiamo ad ascoltare un giovane senegalese a cui è stata tolta la semilibertà. "Per i continui ritardi nel ritorno in carcere - spiega Giusti - e perché troppo spesso tornava ubriaco". Il giovane nega. Trema, con gli occhi spenti e persi nel vuoto. Sostiene di non farcela più e di non vedere altra soluzione al suicidio.

"Qui - fa un vicino di cella del senegalese - chi non ha carattere fa una brutta fine. Quelli come lui vengono imbottiti di merda dalla mattina alla sera. Psicofarmaci di ogni genere, soprattutto ansiolitici e barbiturici". Ci avviamo all’uscita ma siamo richiamati da una coppia di maghrebini: "Scusa... potresti chiedere di sistemarci il campo di calcio? E’ l’unica fonte di svago che abbiamo qui dentro". Usciamo dalla "sei" e facciamo una visita fulminea alla sezione "transiti". "Qui la percentuale di extracomunitari è vicina al 70% - commenta il comandante delle guardie - quasi tutti albanesi e maghrebini. Una rissa dietro l’altra". Dalle sbarre di una porta si affacciano una decina di detenuti. Tutti balcanici e maghrebini, tutti giovanissimi.

Alcuni filosofi sostengono che il male sia banale esattamente quanto il carcere e che ciò che il supplizio penitenziario genera sul corpo del condannato, lo produce più per ottusità che per sadismo. L’opinione pubblica dei cosiddetti "paesi democratici" si indigna quando in paesi lontani vengono inferte ai condannati quattro o cinque scudisciate nei glutei. Un valore, quello dell’umanizzazione dei castighi legali e della "dolcezza delle pene", tutto occidentale, visto che ogni vergata, in qualsiasi paese occidentale, equivale più o meno a qualche mese di reclusione.

"La sofferenza dell’anima per la privata libertà - sostiene il filosofo Daniel Gonin - fa meno effetto del dolore del corpo per lo scorticamento della carne. Ma questo non significa che la comparazione sia improponibile, basti vedere i sintomi della trasformazione dei sensi della carne imprigionata". Esami accurati denunciano che molti detenuti soffrono di vertigini, perdono l’olfatto e soffrono di un peggioramento progressivo della vista causato dal mancato sostegno della parola (perdita dell’articolazione tra occhio e bocca). Tre patologie, in particolare, sono sovra rappresentate tra i detenuti rispetto agli uomini liberi: la dentaria, la dermatologica e la digestiva.

Lo stesso Gonin ci accompagna in altri e più profondi gironi dell’inferno carcerario: vocazione diffusa per la bocca sdentata, in seguito anche a una domanda ossessiva per l’estrazione dei denti; proiezioni selvagge sulla pelle accompagnate da martorizzazioni volontarie (labbra e palpebre cucite con lo spago, tatuaggi deturpanti, autoamputazioni delle dita e delle orecchie, rischio suicidario e di contagio a malattie infettive come l’Aids, dieci volte più elevato che tra la popolazione libera), sessualità devastata e irriconoscibile (impotenza, onanismo e omosessualità forzata).

 

Il dolore inutile

 

Eppure c’è chi, dopo quasi trent’anni passati in carcere, trova ancora la forza di lottare e protestare per i torti subiti durante la reclusione. Alla sezione 4, dove c’è "il peggio del peggio", come dice Giusti, è detenuto anche Marco Medda. Cagliaritano di nascita e lombardo d’adozione, è stato condannato all’ergastolo per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidio aggravato, sequestri e tentati sequestri (nel ‘90 pianificò persino il rapimento di Berlusconi), evasione e tentate evasioni (dal supercarcere di Spoleto, nell’84, insieme a Vallanzasca), ricettazione e detenzione di armi. Affiliato alla Nuova Camorra Organizzata, è stato sottoposto, nel febbraio 1995, al regime carcerario differenziato previsto dall’articolo 41 bis.

A metà ottobre, questo cinquantaseienne dal lessico forbito ma con gli occhi e la bocca disarticolati tra loro, ha deciso di attuare uno sciopero della fame per oltre due settimane. "Lo faccio - attacca Medda - perché hanno voluto rispedire una persona all’inferno proprio nel momento in cui aveva deciso di voltare pagina. Sono stato improvvisamente trasferito al carcere di Monza dopo anni trascorsi a San Vittore. Lì, oltre alla moglie, ho lasciato la pittura, le amicizie, gli interessi intellettuali che valenti operatori penitenziari erano riusciti a fare attecchire nella mia anima: tutto è stato improvvisamente sradicato senza motivo alcuno. A San Vittore ero diventato una persona "nuova", prossimo alla concessione dell’articolo 21 con un lavoro esterno già pronto, il matrimonio e il sogno di una vita che avrebbe potuto approdare a una sembianza di normalità. Non aveva interesse il "sistema" a dimostrare che è possibile recuperare persino un irrecuperabile come me?". Ha gli occhi tristi.

Come se anestetizzato da una ormai irreversibile disperazione esistenziale, reazione ad una negazione di giustizia spicciola e al mancato riconoscimento dell’obiettivo stesso della pena detentiva: il suo recupero. Nell’esercizio del suo castigo, esemplare ma non correttivo in quanto ergastolano, Medda era persino riuscito ad acquietare lo sconforto interiore del recluso a vita grazie alla semplice prospettiva di una detenzione tranquilla a San Vittore. Gli hanno tolto anche questo.

 

Celle buie e quattro suicidi negli ultimi mesi

 

Il penitenziario "Le Sughere" di Livorno sostituisce nel 1984 il vecchio "Carcere dei Domenicani". Concepito in un’ottica di massima sicurezza, il carcere presenta carenze sotto il profilo assistenziale ed evidenti problemi nell’agibilità della struttura a causa dell’usura e degli agenti atmosferici. Le finestre delle celle (erroneamente costruite in ferro e ormai corrose in maniera irreversibile) sono permeabili all’acqua piovana e l’impianto elettrico è talmente deficitario da rendere l’ambiente interno buio per gran parte delle giornata.

La mancanza di attrezzature all’aperto, inoltre, impedisce un’attività sportiva e ricreativa adeguata. Come riportato dall’onorevole Marida Bolognesi (Ds), la funzionalità del carcere è ulteriormente minata da una grave carenza di personale, in particolare nell’ambito della custodia femminile: una lacuna che obbliga le detenute a optare tra l’ora d’aria e l’espletamento della pulizia personale, in questo modo depotenziando ulteriormente le attività di rieducazione e di socializzazione. Estremamente carenti sono le figure professionali degli educatori e degli assistenti sociali; praticamente assente è l’attività lavorativa.

Non è difficile incontrare nelle stesse sezioni detenuti con diverse problematicità (assassini e ladri di polli, ma anche tossicodipendenti e spacciatori), cosa che rende più difficile il governo della realtà carceraria e la costruzione di percorsi rieducativi. Estremamente alto il numero di suicidi consumatisi nel carcere durante l’ultimo anno e mezzo: ben quattro. E un caso che ha fatto il giro d’Italia: la morte del ventinovenne livornese Marcello Lonzi, avvenuta l’11 luglio dello scorso anno e frettolosamente schedata come "accidentale" dalla Procura di Livorno. I chiari segni di percosse rinvenuti sul cadavere del giovane, l’approssimazione delle indagini e la mobilitazione dell’opinione pubblica, portano il Gip a non accogliere la richiesta di archiviazione avanzata dal Pm che aveva seguito la vicenda.

L’altro caso di suicidio è quello raccontato in questa pagina e che riguarda Carlos Requelme: un marinaio che si è sempre dichiarato innocente e che il 30 luglio si è tolto la vita impiccandosi con alcuni sacchi della spazzatura all’inferriata della finestra della cella in cui era richiuso.

 

Caso Lonzi: il muro di gomma forse comincia a scricchiolare

 

Avvocato Vittorio Trupiano, 3 gennaio 2005

 

In risposta ad un’interrogazione presentata dal senatore dei Verdi, Stefano Boco, infatti, il Ministro Castelli mette nero su bianco: "era stato sottoposto a numerose visite mediche che non hanno mai evidenziato patologie dell’apparato cardiocircolatorio.Lo psichiatra ha dichiarato di averlo trovato in condizioni psichiche normali, tanto da essere sempre vigile ed orientato."

A quanto pare, è lo stesso Ministro di Giustizia a nutrire grosse perplessità sulle cause del decesso di Marcello. Le foto di quel corpo straziato, col consenso di Maria Ciuffi, la madre, e da me postate, sono state pubblicate su molti siti internet, su qualche giornale, e la notizia è di dominio pubblico anche all’estero. Addirittura siti tedeschi e spagnoli riportano le immagini del martirio di Marcello, era quindi impossibile che passassero inosservate.

Posso solo aggiungere, al momento, che quell’archiviazione non significa affatto che il caso Lonzi è chiuso.Ho appena contattato Maria, che incontrerò il 3 gennaio proprio a Livorno, spiegandole i motivi per cui per ora, a parte il ricorso alla Corte Europea ed al C.S.M., non intendo rendere pubbliche le ulteriori attività investigative da me condotte e le azioni legali propriamente dette che a gennaio, fra pochi giorni, faranno ufficialmente riaprire il caso, ma non a Livorno.

Il caso è chiuso solo per il Gip presso il Tribunale di Livorno, ma non basta e rimarrà molto deluso chi aveva pensato che con quell’archiviazione di Marcello non se ne parlasse più, al contrario, quello è solo il punto di partenza.

 

Riaperta l’inchiesta sulla morte di Marcello Lonzi

 

Il Manifesto, 31 ottobre 2005

 

Una nuova perizia medica riapre il caso di Marcello Lonzi, il detenuto morto nel carcere di Livorno il 12 luglio 2003, apparentemente per le conseguenze di un malore. Il consulente della famiglia - il dottor Marco Salvi, medico legale della Usl di Genova - ritiene che le ferite riscontrate sul cadavere non siano compatibili con l’ipotesi di una caduta per malore, ma sembrerebbero piuttosto i segni di un’aggressione. Inoltre, secondo il medico, dai materiali relativi all’autopsia mancherebbero alcuni importanti esami di laboratorio. La madre di Marcello Lonzi, la signora Maria Ciuffi, ha sempre sostenuto la tesi che il figlio sia morto per un pestaggio da parte degli agenti di polizia penitenziaria.

 

Marcello Lonzi: non accolta la richiesta di archiviazione

 

Ansa, 26 novembre 2005

 

Il gip di Genova, Roberto Fenizia, non ha accolto la richiesta di archiviazione del procedimento sulla morte di Marcello Lonzi, il detenuto morto il 12 luglio 2003 nel carcere di Livorno, avanzata dal pm Paola Calleri. Lo ha annunciato l’ avvocato Vittorio Trupiano, che assiste la madre del detenuto, Maria Ciuffi, convinta che il figlio sia morto per un pestaggio da parte della polizia penitenziaria e non per cause naturali, come invece aveva stabilito la magistratura livornese. L’avvocato Trupiano spiega in una nota che, anziché archiviare il procedimento contro il pm livornese Roberto Pennisi - denunciato dalla Ciuffi insieme al medico legale che eseguì l’ autopsia sul corpo del figlio e a un poliziotto della penitenziaria - il gip ha fissato per il 12 gennaio prossimo una nuova udienza, ritenendo non del tutto immotivata la memoria di opposizione all’ archiviazione da lui presentata nel settembre scorso. In quella sede, secondo il legale, il gip potrebbe indicare al pm ulteriori indagini o, al limite, disporre con ordinanza che il pm formuli l’imputazione per gli indagati. L’ opposizione all’ archiviazione del caso era stata basata, fra l’altro, su una consulenza svolta dal dottor Marco Salvi, medico legale della Usl di Genova e consulente della madre del giovane, secondo cui le ferite riscontrate sul cadavere del giovane detenuto non sarebbero compatibili con l’ ipotesi di un malore e di una conseguente caduta al suolo, ma farebbero presumere che il giovane fosse stato vittima di una aggressione. E che la sua morte fosse una conseguenza diretta di quella aggressione.

 

Marcello Lonzi: il 12 gennaio l’udienza per riaprire o archiviare il caso

 

Ansa, 9 gennaio 2006

 

Giovedì 12 gennaio, presso il tribunale di Genova in piazza di Portoria si terrà, a cominciare dalle 10, l’udienza in cui il gip Roberto Fenizia deciderà, in seguito all’istanza presentata con la contro perizia di parte, se riaprire o archiviare il caso di Marcello Lonzi, il detenuto "trovato morto" in un lago di sangue nel carcere "Le Sughere" di Livorno l’11 luglio 2003.

 

Marcello Lonzi: 10 giorni per conoscere la decisione del gip

 

Ansa, 13 gennaio 2006

 

10 giorni (così si è espresso il gip Fenizia) per decidere se riaprire o no il la causa per la morte in carcere di Marcello Lonzi. 10 giorni, che potrebbero essere anche di più: il tempo della giustizia, l’abbiamo imparato seguendo le tristi vicende della famiglia di Marcello, non scorre mai allo stesso ritmo delle aspettative di chi, dall’altra parte, con angoscia, aspetta le decisioni di un giudice come una delle poche ragioni per continuare a vivere, a tirare avanti, cercando di compensare, con la solidarietà dei tanti compagni di strada, e con un incredibile forza interiore, la perdita di un figlio, morto in prigione a 29 anni.

 

Caso Lonzi: archiviata la denuncia contro il pm Pennisi

Il Tirreno, 30 gennaio 2005

 

Caso Lonzi (il giovane trovato cadavere in una cella delle sughere l’11 luglio 2003), ennesimo atto. Il Gip di Genova, Fenizia, ha archiviato la denuncia presentata dalla madre di "Marcellino" contro il Pm Roberto Pennisi, magistrato di turno la notte del decesso, il medico legale Bassi Luciani che eseguì l’autopsia e un agente di polizia penitenziaria. Il cui nome non risulta chiaro negli atti (Giudice o Nobile Nicola).

Articolata la motivazione che sembra lasciare aperto uno spiraglio per riaprire il caso, nonostante l’archiviazione e un evidente giudizio positivo sull’operato del Pm e del medico legale ("gli accertamenti autoptici - si legge nel provvedimento - sono stati definiti dal Gip di Livorno come "approfonditi, mirati e chiari""). Una porta socchiusa, là dove il Gip, Fenizia, a proposito della consulenza depositata dalla madre del ragazzo sulle foto del cadavere del figlio, scrive: "Anche la consulenza del dottor Salvi, mentre potrebbe eventualmente avere una qualche rilevanza ai fini della riapertura delle indagini a norma dell’articolo 414 del codice penale, nessun apporto conferisce al presente procedimento". Un’ipotesi, sia pur ventilata a fine di un ragionamento complesso, che conferma i dubbi sollevati dalla madre di Marcellino, Maria Ciuffi, in questi anni a proposito della morte del figlio sempre definita "naturale" dai giudici labronici.

Duro il commento dell’avvocato della signora Ciuffi, Vittorio Trupiano, che definisce "abnorme" il provvedimento del Tribunale di Genova. E spiega: "Il Gip sostiene che Maria Ciuffi non avrebbe mai fatto accenno a "dolo" a proposito degli atti di Pennisi o Bassi Luciani relative alla morte del figlio. Eppure, proprio Pennisi è stato denunciato anche "per aver ostruito in ogni modo ogni indagine, ostacolando l’accertamento della verità sulle cause del decesso". Più dolo di così, davvero non si può". Per la prima volta in questa tormentata storia - conclude Trupiano - "viene pronunciata la parola "magica": riapertura delle indagini. E in questo senso lavoreremo".

 

Lettera di Maria Ciuffi: incaricato della riapertura del caso lo stesso Pm


Il Tirreno, 27 luglio 2006

Stamane è stato incaricato dell'inchiesta sulla riapertura del caso di Marcello il giudice Antonio Giaconi. Guarda caso è lo stesso giudice che ha confermato l'arresto di Marcello nel 2003 ed è anche il giudice che ha sostituito Pennisi alla lettura dell'archiviazione da parte della Procura di Livorno. Appare evidente già dall'inizio che difficilmente si approderà ad un giudizio diverso da quelli espressi fino ad adesso (archiviazioni su archiviazioni) visto che gli attori sono sempre i soliti. Nonostante questo continuerò a cercare la verità sull'uccisione di Marcello nei modi e nelle forme che riterrò opportuni e chiedo a quanti mi sono stati vicini in questa battaglia di continuare a lottare perché sia fatta giustizia!


Maria Ciuffi

Caso Lonzi: raccolti 5mila euro per riaprire il processo

Il Tirreno, 8 agosto 2006


Soddisfatta Maria Ciuffi, la mamma di Marcello Lonzi, per il raggiungimento della cifra di 5mila euro che consentirà il pagamento delle spese per la riapertura del processo sulla morte del figlio, avvenuta tre anni fa nel carcere delle Sughere di Livorno. I cinquemila euro sono stati raccolti a Pisa fra cittadini, tifosi nerazzurri e appartenenti al movimento antagonista Newrotz. L’ultima iniziativa, lo scorso finesettimana alle Piagge, nella ex sede dell’ex centro Macchia Nera, ha permesso il raggiungimento del tetto previsto a finanziare la riapertura del processo, già accordata dopo le precedenti archiviazioni di Livorno e di Genova, e che vedrà il primo atto nella riesumazione della salma del giovane, fissata per il 27 ottobre prossimo. Maria Ciuffi ringrazia tutti quelli che hanno appoggiato nella sua battaglia per accertare la verità sulla morte del figlio.

Riaperto il caso Lonzi, dopo tre anni di lotta della madre


Ansa, 28 agosto 2006

Saranno riaperte le indagini sulla morte di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto in carcere il 12 luglio 2003. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Livorno, Rinaldo Merani, ha infatti accolto l'istanza della procura che ha fatto propria la richiesta avanzata nei giorni scorsi da Ezio Menzione, difensore di Maria Ciuffi, la madre di Lonzi che si è sempre battuta per ottenere la verità sulla morte del figlio.
Secondo la precedente indagine della procura livornese Lonzi sarebbe deceduto in seguito a un infarto. Ma le ferite sul suo corpo fecero subito insospettire la madre del giovane che ha sempre sostenuto che la morte del figlio potrebbe essere stata procurata dalle percosse ricevute in cella da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria. Sarebbero state proprio alcune ferite sul corpo di Lonzi a convincere la procura, e poi il gip, che il caso meritasse ulteriori accertamenti. Ferite che prima non erano state prese in considerazione.
Ma tra gli elementi nuovi prodotti vi sono anche alcune tracce di sangue collocate in zone non rilevate dai periti. Ora é possibile che la salma di Lonzi possa essere riesumata per effettuare altre analisi sul suo corpo.
La vicenda di Lonzi ha varcato i confini livornesi ed è diventato anche una 'bandiera' della sinistra antagonista e degli anarchici. Fu proprio la Federazione anarchica informale a dedicare a lui (con una rivendicazione) le azioni portate a termine la sera del primo marzo 2006 quando vi furono quattro esplosioni di altrettanti ordigni a Genova, Milano e Sanremo.

Livorno: il caso di Marcello Lonzi, riesumata la salma


Il Tirreno, 31 ottobre 2006

È stata riesumata mercoledì la salma di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto nel carcere delle Sughere il 12 luglio 2003, e oggi verranno compiuti i primi esami sul corpo. La riesumazione è stata decisa dal procuratore reggente, Antonio Giaconi, che ha accolto la richiesta di nuovi accertamenti presentata da Ezio Menzione, avvocato di Maria Ciuffi, madre del Lonzi. Oggi al cimitero dei Lupi si svolgeranno i primi esami, tra i quali sono previsti accertamenti radiografici al cranio e al torace per capire se Lonzi abbia subito o meno dei colpi la sera che morì. Maria Ciuffi infatti ha sempre sostenuto che il figlio non è morto per un infarto come affermava la prima indagine, ma che invece avrebbe subito un pestaggio. Le consulenze sono affidati al professor De Ferrari di Brescia per la procura e al professor Salvi di Genova per la madre di Lonzi. 

Detenuto morì in carcere: dopo tre anni salma riesumata

La salma di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto nel carcere labronico delle Sughere il 12 luglio 2003, è stata riesumata su ordine della procura di Livorno che ha recentemente riaperto le indagini. Oggi saranno effettuati esami radiografici al cranio e al torace tesi a evidenziare le eventuali percosse subite dal detenuto. Secondo la madre, Maria Ciuffi, tutelata dall’avvocato Ezio Menzione, Lonzi infatti sarebbe morto in seguito a un pestaggio subito in cella da parte degli agenti di polizia penitenziaria. La precedente indagine della procura livornese sulla morte del giovane, invece, si concluse con l’affermazione che il detenuto fosse morto per un infarto. Tra i nuovi elementi depositati da Menzione, e che hanno spinto la procura di Livorno a riaprire il caso, ci sono anche alcune tracce di sangue collocate in zone della cella non rilevate dai periti durante la precedente indagine. Non solo: a convincere la procura livornese e il gip che la vicenda meritasse ulteriori attenzioni vi sono alcune ferite sul corpo di Lonzi che non erano state prese in considerazione.

A quattro anni dalla scomparsa la madre chiede ancora giustizia

Il Tirreno, 11 luglio 2007

"Sono tornata qui anche oggi. E tornerò fino a quando riuscirò a camminare. Voglio sapere la verità su come è morto mio figlio". E'arrivata davanti al carcere delle Sughere circondata da amici e conoscenti Maria Ciuffi, la madre di Marcello Lonzi, il detenuto che nel luglio di 4 anni fa fu trovato senza vita a 29 anni, nella cella dove scontava una breve condanna. E come ogni anno un piccolo corteo silenzioso è arrivato davanti alle Sughere per portare fiori e immagini in ricordo di Lonzi. Infarto, si disse in una primo momento. Ma la donna, minuta ma tenace, sin dal primo giorno ha sospettato che le cose siano andate diversamente e che suo figlio sia morto dopo essere stato picchiato. E proprio un anno fa, dopo una lotta lunghissima, la donna riuscì a far riaprire l'inchiesta e a far riesumare il corpo di Marcello perché fossero eseguite nuove perizie. La signora Ciuffi non vuol parlare del nuovo procedimento in corso. "La magistratura sta ancora lavorando". Ma ricorda che in settimana il pm Antonio Giaconi esaminerà la perizia richiesta dalla donna ed eseguita dal dottor Marco Salvi a Genova, dopo che qualche giorno fa è stata vista quella del dottor De Ferrari. "Sto andando avanti per arrivare alla verità - racconta la madre di Lonzi - e non lo sto facendo solo per il mio Marcello. Ormai lui non può tornare più. Io sto combattendo contro il silenzio. Il silenzio sulle troppe morti sospette che avvengono nelle carceri. Si parla sempre di infarti. Ma io non ci credo". Poi torna a dominare tutto questo silenzio toccante e irreale sul piazzale investito dal sole. Mentre la signora Ciuffi indica le foto delle ferite e dei segni violacei sul corpo del figlio. Come a dire, sono queste a parlare per me.

 

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