Le recensioni di "Ristretti"

 

La loro terra è rossa

Un libro che racconta un viaggio a ritroso, dall’Italia dei sogni dei migranti al Marocco che hanno dovuto abbandonare

 

di Nicola Sansonna

 

"La loro terra è rossa": fare la recensione di questo libro è per me un’esperienza piuttosto particolare, perché mi costringe a mantenere due sguardi. Il primo come redattore incaricato di recensire un libro, il secondo per aver partecipato, anche se per un solo piccolo capitolo, alla realizzazione del libro stesso, un capitolo che riguarda i ragazzi marocchini detenuti qui a Padova.

Ma parlare di questo libro è anche qualcosa che mi riempie d’orgoglio. Conosco l’autore sin da quando eravamo ragazzi, siamo entrambi chieresi, e abbiamo in comune l’amore verso una persona speciale, Marina Bodrato, sua madre, che per me è stata una "madre culturale", che mi ha seguito per i 25 anni di galera che ho già scontato, facendo sorgere in me l’amore per la letteratura classica e il gusto per la scrittura.

Quello che ci propone in "La loro terra è rossa" Emanuele Maspoli è un viaggio a ritroso. Un viaggio che inizia da quella che era la speranza, lo sguardo verso il futuro, l’Europa, l’Italia, per tornare al Marocco, alla realtà che migliaia di ragazzi hanno voluto lasciare alle loro spalle inseguendo un sogno.

 

Il viaggio di Emanuele parte dal ricco nordest, dalla Treviso dell’ex sindaco Gentilini, che per risolvere il "problema immigrati" suggeriva di travestirli da leprotti e poi sparargli addosso, la stessa amministrazione che fece togliere le panchine per evitare che gli immigrati, i mendicanti, i senza dimora potessero sostarci e rovinare così l’immagine della città. Il clima che gli stranieri vivono lì è ben spiegato dall’autore: sono intimoriti, e sono stati molto riluttanti a rilasciare interviste. E quasi tutti hanno anche preso l’abitudine di parlare a bassa voce, come per non farsi notare troppo.

 

È bello lasciarsi coinvolgere in questa avventura, in questa immersione nella cultura marocchina

 

Alloggi non concessi pur avendo regolare permesso di soggiorno ed un lavoro stabile, licenziamenti su due piedi, la spada di Damocle dell’espulsione che pende sulla loro testa se non hanno un lavoro, quindi il rischio continuo di subire ricatti: questa è per lo più la realtà di Treviso. Da Treviso poi si viaggia verso Modena, Venezia, Torino, Chieri, la città in cui l’autore ha vissuto la sua giovinezza. Per approdare in Spagna, una delle rotte più utilizzate dai migranti marocchini, ed infine in Marocco.

È bello lasciarsi coinvolgere in questa avventura, in questa immersione nella cultura marocchina, soprattutto in periodi come questo, in cui si parla di guerre giuste, di guerre lampo, di guerre durature, di guerre sante. Emanuele Maspoli rifiuta proprio questo concetto di contrapposizione, e ci porta invece alle radici della tradizione, della cultura, della vita quotidiana del Marocco, con le sue feste, gli usi, i divieti, tutto scandito da un ritmo pacato, che nasce forse da quelle distese di sabbia il cui respiro caldo sembra regolare l’esistenza delle città di quel paese.

 

Nella strada impari molto, com’è la gente, come la pensa

 

Le persone incontrate e intervistate sono una rappresentanza significativa della ricchissima umanità di origine marocchina che vive, lavora e a volte semplicemente sopravvive in Europa.

Nel suo viaggio a ritroso in Spagna, ad Alicante Emanuele incontra Amazigh, che gli racconta con lucidità cos’è per un migrante la strada, il luogo che più spesso impara a conoscere, dove si rifugia per cercare relazioni e risposte ai suoi bisogni: "Nella strada impari molto, com’è la gente, come la pensa: i sentimenti umani sono più comprensibili se si fa esperienza della strada. Anche la vera essenza della religione islamica è più chiara con l’esperienza del bisogno, ti rendi conto cosa vuol dire essere musulmano, di come la gente povera aiuta gli altri, vive la moschea e il sentimento islamico. Io leggo molto il Corano. Tanti frequentano la moschea e pregano, ma non agiscono da veri musulmani".

Fatima invece ricorda un’altra caratteristica della vita dei migranti: quella di tornare in patria per le feste, e cercare nelle feste di non perdere il contatto con la tradizione, con la vita famigliare, con il proprio passato: "Il bello del Marocco è l’allegria. Quando ci vado mi piace partecipare ai matrimoni. Quest’estate la mia famiglia parteciperà a molte feste di nozze, così ho deciso di seguirli e passare là le vacanze. Per vestirmi come mi pare per scatenarmi nei balli per conoscere tante persone".

Khouribga, Frih Ben Salah, Beni Mellal, Marrakech, sono solo alcune delle città, descritte soprattutto attraverso le parole di chi le abita, e quello che emerge è qualcosa che supera l’intento puramente narrativo, entrando nella sfera delle emozioni, delle sensazioni, dei sentimenti. E lasciando il lettore rapito da quelle descrizioni così autenticamente forti. È, quello di "La loro terra è rossa", un viaggio anche verso la propria coscienza, verso quel lato del nostro essere che non si rassegna agli schematismi ed agli stereotipi e cerca comunque ed ovunque l’autenticità, la verità e l’essenza delle cose.

Ma il punto nodale del lavoro di Emanuele Maspoli lo individua bene, nella sua prefazione al libro, Goffredo Fofi: il viaggio più lungo e più bello che si può compiere è dentro se stessi, per giungere nella propria profondità ad incontrare tutto il mondo e a scoprirsi uguali nelle proprie debolezze.

 

Emanuele Maspoli, nato a Torino nel 1967, risiede a Venezia. È operatore culturale e animatore di gruppo in ambito non violento, formatore all’educazione alla pace, interculturalità e gestione delle dinamiche di gruppo, ha aperto nel 1997 il Centro culturale di vacanza "Il lato azzurro", a Venezia isola di S. Erasmo, dove ha anche partecipato alla fondazione della redazione del giornale Terremerse, di cui fa tuttora parte.

 

 

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