La strage continua

 

Vittime della strada:

vittime di una mancanza di responsabilità condivisa

 

recensione di Marco Libietti, marzo 2009

 

Mancanza di responsabilità condivisa… questa l’estrema sintesi del significato e del messaggio che ci arriva da “Strage continua” di Elena Valdini. Un libro scorrevole, preciso, condito con storie, esperienze, incontri, interviste e ricerche tutte ben strutturate, che alzano la saracinesca su un problema gravissimo, le vittime della strada, che causa ancora oggi in Italia 6000 e più morti all’anno, e che l’opinione pubblica e la società nel suo complesso sembrano confinare nell’ambito del caso… di qualcosa che, purtroppo, fa parte dell’imprevisto che può accadere (di solito agli altri, dato che più o meno ognuno di noi tende ad escludere il pensiero di poterne essere toccato) e che va accettato come “ingrediente naturale” della vita collettiva.

Leggendo il libro, però, ci si accorge che le cose non stanno proprio così, perché tanto si potrebbe fare, mentre molto poco viene fatto nel nostro Paese soprattutto se confrontato con i dati dei nostri partner europei e gli obiettivi posti dall’Unione Europea.

Si va da paesi come Svizzera, Svezia e Francia che investono 20 euro l’anno pro-capite sulla prevenzione in questo settore per arrivare a noi, solitario fanalino di coda che dallo ZERO del triennio 2004-6 siamo riusciti ad “elevarci” ad uno 0,90 (euro) nel 2007-9. Per constatare infine che, per non venir meno alla promessa elettorale sull’abolizione dell’ICI, questo governo ha dimezzato i fondi per la prevenzione nel DPF del triennio 2009-11 (da 35 ml a 17,5 ml)… come dire: vi togliamo l’ICI ma qualcuno dovrà pagare con la vita!

Il quadro che ne esce è, da un lato, drammatico nella narrazione dei famigliari di V. (V. è il modo, in cui l’autrice definisce ogni Vittima della strada) e delle vittime stesse (sì… ci sono pure 912 feriti al giorno e alcuni di loro riportano danni permanenti, e una visita nei centri di riabilitazione sarebbe più istruttiva di valanghe di parole e proclami di cui abbonda quotidianamente il nostro Paese)… dall’altro lato ne esce un quadro di quasi assoluta assenza dello Stato e delle istituzioni.

In mezzo a questo mare di nulla e di abbandono spiccano le parole e le azioni di persone come Roberto Merli, responsabile a Brescia dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada, che si è caricato sulle spalle l’onere della prevenzione nella sua provincia (Brescia) coinvolgendo negli anni ben 323 insegnanti; Pubblici Ministeri come Walter Giovannini che, nella quasi totale assenza dello Stato, che come unico atto interventista ha alzato le pene nell’ultimo pacchetto sicurezza (tagliando i fondi per la sicurezza sulle strade… questo va sempre ricordato!), applica un metodo proprio: se uno ci è ricascato dopo 2 precedenti vuol dire che non ha capito o se ne frega, quindi la sua richiesta (peraltro accolta dal Tribunale del riesame di Rimini) è di arresti domiciliari sino all’esito del processo; medici come Sergio Lotta, primario nell’Unità Spinale di Villanova nel piacentino, che dice “Conoscere i traumi, vedere i nostri pazienti aiuta, aiuterebbe. Basterebbe visitare ogni tanto un centro come il nostro e tante parole potrebbero essere evitate, mentre potrebbero realizzarsi molti più fatti”.

In tutto questo emerge il solito, atavico problema del nostro Paese: quando scatta una presunta emergenza, c’è sempre un grande clamore, enorme sdegno, tambureggiante grancassa mediatica su qualche incidente più clamoroso di altri, poi, come si fosse trattato di un gossip, tutto svanisce e i parenti di V. e le vittime stesse si trovano in un limbo, dimenticate, abbandonate nel loro dolore, nei loro problemi economici e psicologici, oltreché fisici… in balia di uno Stato assente, di assicurazioni che tirano a non pagare, di furbetti che falsificano pure i tagliandi assicurativi, di processi troppo lunghi e di sentenze che lasciano l’amaro in bocca e il sentore di pressoché totale impunità…

Questo libro dà invece voce a chi subisce tutto questo, spiegando come stanno le cose, dicendo che sì le pene devono esserci ma la soluzione forse non sta tutta lì, e che se ci fosse, come in altri Paesi, una cosciente e profonda responsabilità condivisa si potrebbero evitare tanti drammi e prevenire tante morti, e anche tante pene che non portano a capire e migliorare ma solo ad ergere barricate emotive ancora più alte e difficili da smantellare.

È un libro che dovrebbe essere consigliato, divulgato e discusso in tutte le scuole, dovrebbe essere inserito come materia fondamentale nei corsi di “rieducazione” civica, negli esami per patenti e patentini, perché con la sua semplicità e la sua essenzialità è alla portata di tutti e può servire per aprire un varco nelle coscienze, per aiutare ognuno di noi a capire e ad assumersi, finalmente, le proprie responsabilità. Ma è un libro che andrebbe letto anche in carcere con attenzione, perché qui dentro è importante ragionare sulla responsabilità, a fronte di scelte passate irresponsabili, ed è altrettanto importante imparare a misurarsi con la sofferenza, non quella che sta nella natura, nella vita, nella malattia, ma quella che siamo noi a procurare, per leggerezza, per egoismo, per una totale incapacità di metterci nei panni dell’altro.

 

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