Intervista a Franco Taverna

 

Carcere, chi esce dove va? Indultino: troppe false attese

Intervista a Franco Taverna responsabile progetti sociali del consorzio Nova Spes

 

Vita, 22 agosto 2003

 

Un’inchiesta di Nova Spes rivela che il lavoro dietro le sbarre è sempre più una rarità. Così il reinserimento diventa difficile e, alla fine, non resta che la recidiva. Non è un provvedimento strutturale e certamente non andrà ad incidere sui problemi concreti che interessano il mondo del carcere. L’indultino, approvato l’1 agosto dopo un’infuocata battaglia parlamentare, per Franco Taverna resta quello che è: "la risposta a una richiesta di clemenza". Il responsabile dei progetti sociali del consorzio Nova Spes (grande realtà attiva in Lombardia nella creazione di posti di lavoro per persone in difficoltà, che offre lavoro ogni anno a oltre 200 detenuti) è più che altro preoccupato dell’entrata in vigore della nuova legge. "Se diventerà esecutiva in questi giorni" dice, "mi chiedo quanto tempo ci metteranno a rientrare in carcere".

Perché, scusi? "Perché rimettere il naso fuori, dopo un periodo di reclusione, e trovare le città vuote e le porte chiuse è estremamente rischioso. Spero in uno slittamento verso l’autunno, in modo che i beneficiari possano avere più tempo per prendere contano con la realtà esterna".

Sarà anche stato un gesto di clemenza (che in Italia mancava da 14 anni), ma di certo l’indultino non ha soddisfatto quasi nessuno. Meno che mai Giuliano Pisapia (PRC) che con Enrico Buemi (SDI) aveva proposto il testo iniziale. Così stravolto e snaturato (dai tre anni di sconto si è passati a due; sono state escluse anche categorie di detenuti con precedenti minimi e gli extracomunitari clandestini), che Pisapia ha optato per l’astensione in Senato. Dal sito www.papillonrebibbia.org, il deputato di Rifondazione commenta che "si poteva e doveva fare di più", e denuncia come inaccettabile l’esclusione degli stranieri.

La preoccupazione che l’indultino possa diventare un alibi per non occuparsi più di carcere è palpabile. Se pure usciranno 6 - 8mila detenuti sugli oltre 55mila reclusi, la situazione negli istituti resta gravissima. Dall’inizio dell’anno ad oggi si sono verificati 23 suicidi. "Attualmente il carcere non è né un momento di riabilitazione né di cambiamento", sottolinea Franco Taverna, che ha recentemente curato l’indagine Carcere al lavoro.

I risultati sono sconcertanti: mentre il numero dei detenuti dal 1990 al 2001 è salito da 29.334 a 55.261, la quota dei lavoranti è rimasta ferma a 10 - 13mila unità. Quindi, se i detenuti con un’occupazione nel 1990 erano il 43.54% del totale, nel 2001 rappresentavano appena il 25.04%. "Le postazioni lavorative nel carcere sono rimaste invariate", sottolinea Taverna, "e la possibilità di accedere al lavoro esterno rimane residuale, riguarda 1.500 - 2mila persone. Le aziende, dal "canto loro, non conoscono gli incentivi fiscali riconosciuti dalla legge".

Il risultato è che gran parte dei carcerati trascorre il tempo tra ozio e disagio. "Eppure, si può e si deve dare un lavoro ai detenuti", sostiene Taverna "accompagnarli verso il reinserimento sociale è più saggio e più conveniente: il lavoro contribuisce in maniera determinante ad abbassare la recidiva".

Una filosofia che non sembra interessare il governo, visti i tagli di budget e il poco slancio nelle riforme. "C’è una penuria drammatica di educatori" aggiunge, "ed è in atto una sovrapposizione di ruoli tra direttori, guardie carcerarie e magistrati di sorveglianza. Per questo ritengo che parlare di indultino sia riduttivo: i problemi sono ancora tutti davanti a noi. E dalla riforma penale minorile all’attuazione del nuovo ordinamento penitenziario, saranno temi roventi in agenda per l’autunno.

 

 

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