A Roma Insieme

 

Ai Componenti la Commissione Giustizia

del Senato della Repubblica

 

Roma, 3 febbraio 2003

 

Senatori,

Vi accingete a discutere un provvedimento che, pur nella sua delimitazione, permetterà di alleviare – se approvato – la dura condizione di vita nelle carceri ed essere di stimolo ad una riforma della giustizia che renda, davvero, possibile la realizzazione del dettato costituzionale sulla umanità della pena e sulla azione di recupero e reinserimento sociale quale strada maestra per assicurare un più alto grado di sicurezza e di certezze ai cittadini.

Deciderete sulla base delle Vostre convinzioni, delle Vostre sensibilità e delle valutazioni che, insieme, darete in base alle conoscenze di merito ed al diritto.

Noi, Associazioni di Volontariato che da anni dedichiamo parte del nostro impegno e del nostro tempo al lavoro con i detenuti e le detenute, in collaborazione con le Direzioni degli Istituti a sostegno dell’opera di informazione, di relazioni, di recupero e di risocializzazione desideriamo sottoporle un problema piccolo per dimensione, ma di grande impatto umano, di quelli che segnano una civiltà, il valore sociale che si dà alla maternità, la centralità che si dà all’infanzia.

E’ il problema delle detenute straniere madri con i figli in carcere da 0 a 3 anni che dividono con loro la dura condizione della vita reclusa.

Sono poche: in Italia oscillano tra le 50 e le 60 di cui, nel Natale scorso, 28 a Roma nel carcere femminile di Rebibbia. Nella quasi totalità non rappresentano un pericolo sociale; non hanno pene lunghissime; solo in minima parte usufruiscono di pene alternative al carcere ma, nonostante questo, da alcuni anni, il Tribunale iscrive, in sentenza, l’espulsione a fine pena.

Accade così che, direttamente e rapidamente, finita la pena, vengono espulse senza neppure un "passaggio" che valuti ciò che è accaduto dalla sentenza di condanna al fine pena e, cosa ancor più sconvolgente, senza minimamente considerare cos’è successo, cosa succede e cosa succederà al loro figlio o figlia o figli.

Siamo a chiedere a Lei ed a suoi colleghi di Commissione di includere nel provvedimento che vi accingete a discutere (il cosiddetto "indultino") una norma che dia la possibilità al giudice, in presenza di elementi chiari e certi, di poter revocare l’espulsione.

Elementi che tengano conto del lavoro di recupero ed inserimento svolto dagli operatori sociali del territorio, dai volontari, dagli educatori penitenziari e dalle scelte e dai comportamenti delle singole detenute.

 

La nostra esperienza suggerisce questi:

donne che hanno espiato la pena e fatto un percorso di cambiamento comprovato dalla Assistente sociale competente;

donne con bambini/e inseriti fortemente nella scuola e nella realtà sociale territoriale;

donne che hanno un contratto di lavoro;

donne che hanno un loro domicilio anche in case di accoglienza.

 

Fiduciose aspettiamo di conoscere la Sua determinazione e di conoscere la decisione di tutta la Commissione.

 

Con cortesia

 

Per le Associazioni di Volontariato firmatarie (On. Leda Colombini)

 

 

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