L'indulto di Giovanni Paolo...

 

L’indulto di Giovanni Paolo II

 

Il Manifesto, 15 novembre 2002

 

Un applauso scrosciante accoglie l’appello alla clemenza di Giovanni Paolo II. Si spellano le mani tutti: quelli che l’indulto lo vogliono davvero, quelli che oscillano da farsi venire il mal di mare e quelli che non ci pensano neppure. Eppure le parole del Papa non potrebbero essere più esplicite: impossibile equivocare.

In tutte le altre questioni il pontefice era stato ben attento a non dare l’impressione di voler condizionare il Parlamento. Aveva indicato e lasciato capire, più che dire a chiare a lettere. Ma quando arriva al carcere, Giovanni Paolo mette da parte la diplomazia: "Merita attenzione - dice - la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolare l’impegno di personale recupero in vista di un positivo reinserimento nella società".

È la sola richiesta precisa e ben definita che il Papa avanza rivolto al potere legislativo. Ci vuole il coraggio di Gianfranco Fini (o di Antonio Di Pietro) per affermare, come fanno entrambi, che "qualcuno cerca di tirare il papa per la giacchetta".

E ci vuole la faccia di bronzo del sottosegretario nazional - alleato all’Interno Alfredo Mantovano per dire che "il seguito coerente alle parole del Papa è varare un piano di straordinario investimento nel settore penitenziario, dall’edilizia al personale". Avrà pure ragione Mantovano, ma dovrà darsi parecchio da fare per spiegare al Papa che quando parlava solennemente di "misura di clemenza mediante riduzione della pena", intendeva dire "edificazione di nuove carceri e assunzione di altri secondini".

Silvio Berlusconi, lui non ha bisogno di far finta di non capire. L’indulto gli va benissimo, e lo dice forte e chiaro: "Una misura di clemenza potrà esserci. Un indulto, un’amnistia... vedremo. L’importante è considerare la reale situazione del nostro sistema carcerario e trarne le dovute conseguenze".

Neppure i leghisti si fanno problema a dire quello che pensano, cioè il contrario esatto d quel che domanda il papa: "Da cristiano - si commuove il ministro Castelli - non posso non condividere le parole del Papa. Ma da ministro ragiono diversamente". Comunque, aggiunge, "se il Parlamento deciderà un’amnistia o un indulto, ne prenderò atto". Bontà sua? No, dettato costituzionale.

Ma in Parlamento, almeno sulla destra, la fragorosa partecipazione all’appello papale ha cambiato ben poco, alcuni leader di AN hanno aperto spiragli, come il ministro Gasparri: "Le istituzioni dovranno riflettere per contemperare questa esigenza di solidarietà con quella della sicurezza". Altri si sono francamente esposti a favore dell’indulto, come Alessandra Mussolini e il ministro Alemanno: "Non credo sia possibile ignorare il messaggio di Giovanni Paolo, che conosce bene le condizioni dei detenuti".

Ma il timoniere e il suo stato maggiore a cambiare rotta non ci pensano affatto. "Ci sono altri modi - sostiene infatti il capogruppo La Russa - per realizzare quel che chiede il Papa: ad esempio puntare maggiormente sulle misure alternative alla detenzione". Per La Russa anche l’ipotesi di lasciare ai parlamentari libertà di voto, come ha proposto Giuliano Pisapia, è ben poco praticabile. La Lega, poi, non ha neppure bisogno di perdere tempo a cercare mediazioni più o meno credibili: è contraria punto e basta.

Qualcosa invece potrebbe muoversi a sinistra. L’intervista nella quale, ieri, il guardasigilli proponeva un’amnistia "togliattiana" per siglare la fine dello scontro civile tra politica e magistratura ha definitivamente convinto i DS (se mai ce ne fosse stato bisogno) a votare contro l’abbassamento del quorum per amnistia e indulto dalla maggioranza qualificata quella semplice.

In compenso ha iniziato a farsi strada un’opzione favorevole all’indultino, cioè alla legge Pisapia -Buemi e alle molte proposte affini che saranno discusse a partire dal prossimo 20 novembre. La principale obiezione della Quercia è che quella proposta non prevede esclusioni, né oggettive (come i reati di mafia), né soggettive (come i delinquenti "professionali").

Una volta superato questo ostacolo (ma le proposte della Margherita lo superano sin troppo generosamente) e una volta accertato che per un vero e proprio indulto la strada è sbarrata, i DS potrebbero appoggiare la Pisapia - Buemi, garantendone così l’approvazione.

Il rischio è che le esclusioni siano tali e tante da vanificare il provvedimento. La qualifica di delinquente abituale, ad esempio, è di solito dispensata con massima larghezza. E l’esclusione dei reati di terrorismo porterebbe a un risultato paradossale, ove non fosse chiarito che riguarda solo i reati recenti.

Potrebbe cioè non beneficiare dell’indulto proprio quella categoria, i detenuti politici di destra e di sinistra degli anni 70 - 80, per la quale persino i falchi della Lega e di AN ritengono sia invece opportuno chiudere in qualche modo il conto con la giustizia. Ma non sono questi slittamenti minimi, calcolati con la prudenza vile del ragionamento politicista, il risultato del pronunciamento di Giovanni Paolo. È invece l’aver riportato alla ribalta un problema sepolto, anzi diversi problemi dimenticati, dalle condizioni invivibili nelle carceri alla necessità di trovare una soluzione per quel che resta degli anni di piombo. L’esito di questo dibattito riaperto dipenderà tutto e solo dal coraggio delle forze politiche. Conoscendole, non è una considerazione rassicurante.

 

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