Il "Probation system"

 

Il "Probation system" e la sua applicazione

di Antonietta Pedrinazzi (Direttore C.S.S.A. di Milano)

 

Dignitas, dicembre 2002

 

L’introduzione dell’affidamento in prova al servizio sociale nell’ordinamento penitenziario italiano testimonia l’adesione a una linea di pensiero largamente condivisa nei paesi moderni, che sostiene l’opportunità di articolare il sistema di difesa sociale con il ricorso a misure differenziate, proporzionalmente alle esigenze di controllo delle manifestazioni delinquenziali e a quelle di trattamento dei loro autori.

Gli organismi internazionali che specificatamente si occupano della materia, come le Nazioni Unite e il Consiglio d’Europa, sostengono da lunghi anni quest’indirizzo, a cui decisamente aderiscono la Società Internazionale di Difesa Sociale, la Società Internazionale di Criminologia, l’Associazione Internazionale di Diritto Penale e la Fondazione Internazionale Penale e Penitenziaria.

In questi ambienti si è maturato il convincimento che perseguire in maniera indifferenziata, con il pesante, costoso e rigido apparato della reazione punitivo - detentiva una congerie di comportamenti che vanno dai delitti più gravi e allarmanti alle condotte solo marginalmente devianti si risolve in una sostanziale (e paradossale) ingiustizia distributiva, non che in un palese danno sociale. In una Europa moderna, si afferma, la detenzione deve essere considerata "estrema ratio" di un sistema penale che deve disporre di valide alternative d’intervento.

In una visione allargata delle alternative alla pena detentiva, che è la visione accolta anche dal Consiglio d’Europa, devono ricomprendersi una pluralità di misure alternative quali: le sanzioni di carattere morale (es. ammonizione giudiziale); le prescrizioni di condotta (es. seguire un certo trattamento medico - sanitario); le sanzioni pecuniarie, ivi compreso il risarcimento del danno cagionato; il lavoro socialmente utile; gli interventi riparatori di diversa natura (diretta e indiretta); la prestazione di servizi in favore delle vittime e della collettività.

In Italia, l’affidamento in prova al servizio sociale mutua i suoi caratteri essenziali dal "probation system". È ormai largamente noto che il "probation" è previsto, negli ordinamenti di molti paesi europei e d’America, come una misura alternativa offerta al giudice o addirittura al Pubblico Ministero e ai suoi equivalenti, i quali, ove ritengano che la detenzione sia, nel particolare caso, inappropriata per la prevalenza dei suoi aspetti negativi di stigmatizzazione e di deterioramento rispetto alla previsione dei suoi risultati positivi, possono evitare la condanna alla detenzione o la prosecuzione dell’azione penale lasciando il soggetto in libertà "sub condicione" del rispetto di determinate prescrizioni, con il controllo e l’aiuto di personale specializzato ("probation officers").

In un quadro sistematico, che può delinearsi con riferimento alle varie ipotesi di "probation" contenute nelle legislazioni di diversi Paesi (Stati Uniti d’America, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Danimarca, Svezia, Belgio, Austria, Germania, Francia, Svizzera, Lussemburgo, Olanda) si individuano i seguenti diversi tipi di "probation":

probation di polizia;

probation giudiziale nella fase istruttoria;

probation giudiziale nella fase del giudizio con sospensione dell’esecuzione della condanna;

probation penitenziario.

 

La soluzione adottata in Italia dal legislatore del 1975 e tuttora vigente è dell’ultimo tipo (ex art. 47 O.P. e segg. ed ex art. 94 T.U. 309/90). Per l’idoneità del soggetto alla fruizione della misura alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova, la legge fa riferimento alle risultanze dell’osservazione della personalità effettuata in istituto (art. 27 DPR n° 230/2000, già art. 13 O.P.) oppure al riscontro di una condotta esente dalla commissione di ulteriori reati durante il periodo trascorso del soggetto in libertà in attesa del pronunciato del T.d.S. (art. 47, comma 3, O.P.).

 

Conclusioni e prospettive

 

Dalle dichiarazioni programmatiche dl Ministro della Giustizia Roberto Castelli alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (audizione del 24.07.2001). "In primo luogo, è necessario ampliare la capacità ricettiva del sistema penitenziario, avviando a pieno regime fin da subito strutture come quella di Bollate (Milano), valutando la possibilità di riaprire le strutture abbandonate e ristrutturando l’esistente. In secondo luogo, si è deciso di studiare soluzioni differenti da quelle esistenti per quanto riguarda i tossicodipendenti, che, lo ricordo, rappresentano ben il 33% dell’intera popolazione carceraria. Ritengo sia possibile dare una risposta diversa dalla detenzione pura semplice, raggiungendo il duplice scopo di alleggerire la pressione sui penitenziari e di dare una sia pur parziale soluzione alla piaga sociale rappresentata dalla droga. In terzo luogo, si dovrà intervenire sull’altro grande fattore di affollamento dei penitenziari la presenza di molti extracomunitari, attualmente 17 mila individui. Il Governo si sta ponendo il problema di rimpatriare, dietro precise garanzie di rinuncia al reingresso clandestino in Italia, i detenuti per reati lievi, un obiettivo da raggiungersi anche attraverso provvedimenti normativi e pesanti sanzioni".

Nel presente (e nel futuro prossimo) gli orientamenti di politica penitenziaria appaiono tornare a ispirarsi a una filosofia della certezza della pena, cioè a un ordine oggettivo previsto per limitare la fluttuazione della volontà (concetto spesso e impropriamente assimilato a "pena esemplare", dove per esemplare si intende una equiparazione fra pena e detenzione): la "flessibilità" (cioè il versante "ad personam" del trattamento) che aveva costituito uno degli elementi caratterizzanti della legge 354 del 1975 viene riformulata e contestualizzata si da rimuovere ogni elemento di debolezza della sua efficacia deterrente. Il mutamento di linguaggio rispecchia l’avvenuto mutamento di pensiero.

Le priorità che tendono ad affermarsi nelle scelte di politica criminale (e in larga parte della stessa opinione pubblica) sono quelle della difesa sociale da attuarsi per mezzo della neutralizzazione e della incapacitazione degli autori di reato, della loro espulsione fisica (quando possibile rispetto agli accordi di Shengen), della esecuzione della pena con modalità custodiali connotate di contenuti terapeutici nel caso, per esempio, di tossicodipendenti e sieropositivi. Per contro si sta sempre più affermando un modello di giustizia chiamato "giustizia riparativa".

"La giustizia riparativa non costituisce ancora, a livello costituzionale, un vero e proprio modello alternativo di giustizia, ma fornisce modalità di intervento applicabili al modello socio riabilitativo, che a sua volta tende a una rivalutazione della vittima del reato all’interno dell’esecuzione penale".

Nella legislazione italiana, le possibilità di un’applicazione della giustizia riparativa sono già reperibili nell’ambito della normativa sul probation circoscritta all’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale laddove prevede (art. 47 comma 7 O.P.) che l’affidato si adoperi in favore della vittima del reato o che (art. 27 comma 1 D.P.R. 230/00) presti la sua opera a titolo risarcitorio del danno. Ulteriori spazi di applicazione sono stati aperti dal Decreto Legislativo 28 agosto 2000 nella parte relativa alle competenze penali del Giudice di Pace, incentrata sulla possibilità di realizzazione di un sistema penale che preveda strumenti di riparazione e di mediazione nei casi di reato perseguibile o querela della parte offesa; vi è inoltre previsto il lavoro di pubblica utilità, indubbia misura a contenuto altamente rieducativo e riparatorio.

In ambito penale minorile (dove già è avanzato il livello di sperimentazione delle azioni di mediazione) la medesima possibilità è data dal D.P.R. n° 448/88 all’art. 28, che prevede la misura della sospensione del procedimento con messa alla prova con contenuti di carattere riparativo. Tutto ciò in linea con la legislazione internazionale, che prevede disposizioni normative concernenti sia interventi di mediazione e riparazione, sia iniziative volte alla tutela delle vittime dei reati.

 

 

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