Dossier "L'amore in carcere"

 

Dossier: fare l’amore al tempo della galera

 

Specchio, inserto de "La Stampa", 12 febbraio 2005

 

Leggi severe, sentimenti difficili da soffocare. Eppure c’è vita dietro le sbarre. Lo testimoniano i detenuti di San Vittore, Padova, Venezia, Aversa

 

In occasione della Festa degli innamorati - che si celebra lunedì prossimo - questa volta facciamo parlare coloro a cui l’amore è per eccellenza negato. Perché anche per i carcerati San Valentino ha un significato. In Paesi come la Svezia o la Spagna e ora, timidamente, in Italia, si sta facendo strada l’idea che non si possa negare loro una vita affettiva e sessuale.

Ecco che allora l’associazione veneziana un Granello di Senape pubblica il volume "L’amore a tempo di galera", edito da "Ristretti Orizzonti", con testi scritti e curati da detenuti e volontari della Casa di reclusione di Padova e dell’Istituto di pena femminile della Giudecca a Venezia. "Baci rubati" è invece una scatola di cioccolatini e un piccolo libro che raccoglie testi e poesie d’amore dei detenuti delle carceri di San Vittore e di Opera, a Milano. Sarà scaricabile gratis dal 14 febbraio sul sito del net magazine "ildue.it". I cioccolatini - acquistabili sul sito (18 euro) - contengono frasi d’amore scritte dai carcerati, come i più noti baci Perugina.

In realtà, in una scatola non tutti i cioccolatini contengono una frase, solo un paio: "L’amore è merce preziosa", commenta Emilia Patruno, direttrice de Il Due.it e ideatrice del progetto. "A interessarsi della vita in prigione si ha sempre un sottile senso di ridicolo.

Stavolta il tema toccato è ancora più nascosto, difficile e al tempo stesso evidente", scrive Edoardo Albinati, scrittore e insegnante di lettere a Rebibbia, nell’introduzione a L’amore a tempo di galera.

"Tutte le ricerche", dice Ornella Favero, coordinatrice di Ristretti Orizzonti da otto anni, "mostrano che se un detenuto ha una rete solida di rapporti familiari e affettivi, corre molti meno rischi di tornare a commettere reati.

 

Se un detenuto ha una rete solida di rapporti affettivi, corre molti meno rischi di tornare a commettere reati

 

Ma come si fa a pensare che un uomo o una donna possano salvare i legami affettivi se gli unici momenti di contatto sono i colloqui, durante i quali sei guardato a vista? La cattolicissima Spagna o l’ordinata Svizzera consentono i "colloqui intimi", da noi appena qualcuno ha avanzato l’ipotesi delle "stanze dell’affettività" si è subito parlato di "celle a luci rosse". C’è la convinzione che la pena sia privazione della libertà, più tante piccole torture: la distruzione degli affetti e la castrazione di qualsiasi manifestazione di una normale vita sessuale".

Nelle pagine seguenti pubblichiamo alcuni dei testi di L’amore a tempo di galera e Baci rubati. Più altre testimonianze autentiche di detenuti: quelle, toccanti, che provengono dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, che erano uscite su La storia di Nabuc, il giornale dell’Ospedale Psichiatrico.

Padova e Venezia

 

Smettere di pensarci

 

La realtà è molto diversa, deluderebbe senz’altro chi ha un interesse di natura morbosa, perché in carcere di sesso se ne fa pochissimo, se ne parla altrettanto poco e, con il tempo, si smette addirittura di pensarci.

Semplicemente si impara a vivere facendone a meno: si soffre, per questa privazione, ma nella maggior parte dei casi la si sopporta con dignità. (...) Chi pratica il rapporto omosessuale solo perché non ha alternative, spesso lo fa sotto l’effetto dell’alcol o di droghe. Vale per gli etero, ma anche per gli omosessuali, se manca una vera motivazione affettiva: il sesso senza amore.

già poco gratificante tra persone libere di scegliere il "genere" del partner, diventa deprimente e degradante per chi questa scelta non può farla. Credo questo sia il motivo principale per cui le pratiche omosessuali sono, tutto sommato, rare; in particolare, lo sono negli istituti dove molti detenuti hanno pene elevate, cosa che può apparire paradossale.

 

Francesco Morelli, Casa di Reclusione di Padova, finirà di scontare la sua pena nel 2020

 

Auto-anestesia

 

Per quanto riguarda la sfera sessuale in carcere, noi arriviamo ad auto-anestetizzarci, riusciamo a staccare, isolare quella che viene detta libido, e penso che sia così anche con le donne. Cerchiamo di pensarci il meno possibile, impegnandoci in altre cose, ma naturalmente capita anche che il tuo cervello non riesca sempre a controllare gli impulsi.

 

Nicola Sansonna, "ex ladrone fornito di coscienza", come lui si definisce, condannato per rapina a 31 anni

 

Una negazione in più

 

Bisognerebbe ottenere le "stanze dell’affettività" e non negare a un essere umano momenti intimi con la propria moglie o convivente che sia. Comunque problemi con il sesso li possono avere anche persone che non sono mai state in galera. Per noi che stiamo qui, la considero come una negazione in più che dobbiamo subire.

 

Katharine M., Istituto Penale Femminile della Giudecca, condannata per omicidio

 

Noi donne siamo diverse

 

Certo è difficile parlare di sesso in carcere, ma anche in regime di semilibertà, si continua a subire una specie di mutazione dei sensi e degli affetti, perché viviamo una vita mezza dentro e mezza mori, dunque abbiamo anche dei forti condizionamenti, e uno di questi è non riuscire a esprimere quello che sentiamo davvero, per questo secondo me si fa ancora fatica ad affrontare l’argomento sesso. Una domanda che mi hanno fatto è come si può fare del sesso quando si è in carcere o in semilibertà. In risposta ho chiesto: "In senso pratico o in senso psicologico?", perché sono due cose piuttosto diverse. La masturbazione è quella che esiste di meno, anche perché alla Giudecca siamo in dieci per stanza. Dicono che gli uomini, quando sono costretti a reprimere i loro desideri sessuali, diventano più aggressivi; secondo me è anche perché è accettata di più l’omosessualità femminile e molto meno quella maschile, forse perché c’è la penetrazione. Anche per cultura, per come ci hanno messo in questa vita, noi siamo certamente diverse.

 

Giulia F., Istituto Penale Femminile della Giudecca, condannata per reati legati alla tossicodipendenza

 

Quando ne avremmo più bisogno

 

Ah, il sesso! Ecco il punto dolente per noi recluse, credo sia una parte integrante dell’affettività, uno stimolo umano, un desiderio legittimo che ci viene negato ma proprio nel momento in cui avremmo più bisogno di essere rassicurate. Palliativi ne esistono, come l’autoerotismo o l’omosessualità. Sull’autoerotismo non voglio soffermarmi, appartiene alla sfera più intima di ciascuna di noi. Dell’omosessualità posso accennare per averla osservata. Ho conosciuto compagne che hanno avuto di queste esperienze, magari solo per bisogno d’amore, di attenzioni, per sentirsi importanti, per poterne parlare, per "provarci", per essere alla moda o per passate delusioni. Anche questa è una piccola libertà, ognuna se consapevole è libera di scegliere come meglio vuoi "farsi" la carcerazione, purché il tutto sia nel rispetto delle altre compagne.

 

Christine W., Istituto Penale Femminile della Giudecca, condannata per reati legati alla tossicodipendenza

 

Barriere dolorose

 

Carcerati a colloquio con la famiglia. Dice la psicoanalista Marina Valcarenghi: "È proprio la cesura con il mondo degli affetti a colpire più di ogni altra cosa la personalità già sofferente dei carcerati"

Aversa (Caserta)

 

Quelle che seguono sono testimonianze tratte da "La storia di Nabuc", il giornale dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa: esprimono, oltre alla sofferenza che accomuna i detenuti, qualcosa in più.

 

Siamo soltanto anime perse

 

Per me il sesso in carcere sarebbe una cosa giusta perché di seghe manuali si può anche morire. Ma si può dormire anche bene e risvegliarsi non è molto bello perché nessuno mi vuole.

 

E.Z.

 

Il sesso in carcere non è brutto, è l’unico sfogo che ci fa stare tranquilli, il sesso non si può fermare quindi il sesso in carcere c’è e c’è sempre stato quindi un detenuto lavora di mano e con un altro si possono fare altre cose insieme e così questo continuerà...

 

M.G.

 

Per me il sesso nelle carceri è molto importante, sia per il rinchiuso che per la moglie anche perché si evita tanta depravazione e si sta anche meno nervosi. E poi siamo logici il sesso è la cosa più bella del mondo. Nel mio caso non ho né moglie né fidanzata spero che mi sia permesso, tramite domandina, di far entrare qualche donna di piacere... magari in una struttura adatta, così non si vergogna.

 

V.D.B.

 

Troppo astratto. Non c’è collaborazione. Siamo anime perse, siamo così piccoli. Ci hanno dimenticato tutti. Questo argomento tocca il cuore e l’anima. Il sesso in carcere è chiuso. Si faccia silenzio.

 

E.V.

 

Non sono in grado di affrontare un argomento così delicato. Seguendo un certo ordine cercherei di dare un abbozzo di soluzione. La coscienza è giudice, o deve diventarlo il più possibile. L’obiettività di un internato è spesso spostata a un grado estremo. La rieducazione del reo dovrebbe far leva su questi elementi e, perché no, con apporto di sano divertimento.

 

A.D.

 

In Spagna e in Svezia sono anni che fanno l’amore in carcere. Fra 4 o 5 anni questo accadrà anche in Italia. Quando sono uscito in permesso per la prima volta ho avuto un rapporto con una prostituta. Ma era inutile perché non c’era amore.

 

P.G.

 

Sono personalmente favorevole che chi ne abbia bisogno possa avere dei rapporti con la propria moglie o fidanzata. Questo non vuoi dire credo sporcare l’istituzione del carcere perché si potrebbe, nel dovuto modo, non trasformare il carcere in un bordello. Si tratta solo di farlo nel modo giusto, come già avviene in altri Paesi d’Europa. Non si può costringere chi voglia avere rapporti a non averne.

 

A.M.R.

 

Sesso significa amore. Stiamo male ma prima o poi passerà. Il sesso è bello ma l’amore è ancora più bello. Se stiamo bene o male comunque dobbiamo amare. Ma chi sta male è difficile che si innamori.

 

N.P.

San Vittore, Milano

 

Abbracciare la mia donna per intero

 

Quanto tempo era passato? Quanti anni erano trascorsi da quando, per l’ultima volta, avevo abbracciato la mia donna per intero? Intendo dire un abbraccio a figura intera, senza niente che ti divida, come un muretto della sala colloqui, che anche se è alto solo un metro t’impedisce ogni contatto che non sia quello delle mani. Quel dannato muretto. In ogni carcere in cui ero trasferito era peggio che il Muro di Berimo. Così Patrizia, la mia donna, era divenuta per anni un essere a mezzobusto,e ogni volta che la nostra ora di colloquio terminava cercavo di osservarla, nella mia mente, per intero. Mi ritrovavo in cella, contento, certo, di averla vista, ma mutilato nei sentimenti.

 

Francesco Ghelardini

 

L’amore non conforme

 

Il guaio è che ci si innamora: ho scoperto a mie spese che il sesso si può chiuderlo fuori dalla porta, non pensarci, o cercare di pensarci esclusivamente nella più completa solitudine, ma l’amore no, l’amore è un sentimento che ha una forza dirompente anche in persone prudenti come me. Per di più capita all’improvviso, e quasi sempre verso persone nei confronti delle quali non si avrebbe alcuna speranza.

Mi sono innamorato di un mio compagno di stanza; ovvero sono riuscito a farlo venire nella mia stanza perché già mi interessava da morire e volevo conoscerlo meglio, ma è stato un atto sconsiderato, un gesto di autentico masochismo: mi sono costruito da solo l’inferno e poi mi ci sono chiuso dentro. Lui è un ragazzo meraviglioso, tenerissimo, ma inguaribilmente etero, adesso me ne rendo conto, ma la persona innamorata si culla di illusioni, si ciba di speranze impossibili. Per lungo tempo ho cercato di interpretare dei suoi gesti, delle sue piccole attenzioni nei miei riguardi come segni di una sua corrispondenza sentimentale. Purtroppo erano solo miraggi, fantasie, parti di una mente stregata da un fascino irresistibile. (...)

Lo conosco troppo bene, so che se gli dicessi apertamente quello che provo per lui, dopo un primo momento di sorpresa e d’incredulità, mi odierebbe. Sì, arriverebbe a odiarmi perché interpreterebbe tutto quello che ci siamo detti, quello che ci siamo confidati in lunghe notti passate al buio a parlare in maniera diversa. Ho troppi bei ricordi del tempo passato con lui per pensare per un attimo di rischiare tutto ciò.

Nella vita normale non si parla, ci si dicono magari molte cose, ma non si dialoga più veramente. Solo il carcere da il tempo, il luogo, lo stato d’animo e la concentrazione per aprirsi veramente all’altro. Lui si è aperto con me, mi ha raccontato tutto di se stesso, anche particolari interessanti, scabrosi, cose che in genere non si dicono a nessuno. Io evidentemente non l’ho fatto, ovvero l’ho fatto, ma fino a un certo punto, fino a dove potevo farlo. (...)

La bellezza del rapporto che ho costruito con lui che è parecchio più giovane di me è proprio il mio castigo e la mia dannazione. Sono prigioniero di un ruolo che mi sono costruito nella fantasia di averlo, ma nel quale ho fallito, per finire per trasformarsi in un’altra cosa, bellissima, ma nello stesso tempo crudele. L’abitudine alla menzogna e al trasformismo questa volta mi è costata cara. sono riuscito a gabbare sempre tutti, alla fine è toccato anche a me.

 

Guido Conti, condannato a 13 anni per truffa aggravata

 

Se la mia vita ricominciasse

 

Se la mia vita ricominciasse

la cambierei,

verrei a cercarti da bambino

e crescerei insieme a te,

non commetterei gli stessi errori,

non sarei di altre donne

e scoprirei con te tutte le gioie.

I miei occhi non cercherebbero

ed io avrei quello che bramo.

Se la mia vita ricominciasse

i figli sarebbero i tuoi

con il tuo viso,

la dolcezza, il temperamento.

Ogni notte ti starei accanto

e il giorno colmerei di te,

respirerei il tuo profumo

e t’inebrierei d’amore,

mi nutrirei del tuo corpo

e attenderei la vecchiaia

incrociando le dita delle mani

con le tue.

Se la mia vita ricominciasse

sarebbe la tua vita.

Fai ciò che vuoi

di quello che rimane.

 

Claudio Nocera, San Vittore

Parla Marina Valcarenghi, psicalinista, la maggiore studiosa italiana del problema

 

Attenti: senza affetti non ci può essere riabilitazione

 

Marina Valcarenghi, psicanalista e docente alla Scuola di specializzazione in psicoterapia di Milano, è entrata per la prima volta in un carcere nel 1971 come esponente di un "collettivo carceri" che si occupava di rivendicare il diritto alla vita sessuale per tutti i detenuti e il diritto di voto per quelli in attesa di giudizio definitivo. Da allora si è sempre occupata di carcere e manicomi criminali finché nel 1994 è stata invitata dalla direzione del carcere di Opera a guidare un gruppo di psicoterapia sperimentale nel reparto di isolamento maschile. "Dico sperimentale perché nessuno nel nostro Paese lo aveva mai fatto, ero la prima psicoterapeuta non dipendente dall’amministrazione penitenziaria, completamente libera di mantenere il segreto professionale, che aveva dei pazienti in carcere", dice Marina Valcarenghi. "Ho lavorato fino al 2002 e per ora almeno non c’è stato nessun caso di recidiva nelle persone che sono uscite dal carcere. È stata un’esperienza straordinaria, molto coinvolgente e trasformativa per loro ma anche per me". Valcarenghi, che ha di recente pubblicato L’aggressività femminile, sta finendo di scrivere un saggio che uscirà a primavera per Bruno Mondadori, "Elogio dell’insicurezza".

 

In Italia la normativa sui "colloqui intimi" per i detenuti è molto severa. Nel resto d’Europa i detenuti possono avere incontri individuali con i loro compagni Perché questa rigidità, tra l’altro per nulla vantaggiosa per la salute psichica dei detenuti?

"In Europa la normativa è variabile: nei Paesi del Nord è molto liberale e, proprio agli effetti riabilitativi. si incoraggiano tutti i rapporti affettivi con il mondo esterno, figli, amanti, mogli, genitori, amici. Esistono apposite casette con giardino. So che in Spagna si possono avere rapporti sessuali in determinate situazioni, ma non so essere precisa. In realtà nessuna legge in Italia vieta espressamente la sessualità in carcere: la pena consiste nella privazione della libertà e, nel caso di condanna definitiva dei diritti civili. È vietata di fatto perché ci deve essere un controllo ai colloqui. Basterebbe modificare quel punto del regolamento penitenziario e organizzare la sicurezza con un sistema di controlli e perquisizioni all’ingresso. Però la sessualità in carcere crea problemi di sicurezza, logistici, di personale, di orari, e quindi perché agitarsi? Non si è mai fatto, andiamo avanti così".

 

In carcere il sesso e l’amore eterosessuali sono negati per forza di cose. Paradossalmente non è così per gli omosessuali.. anche se sembra che non sia molto facile nemmeno per loro o per chi lo "diventa" per necessità. Cosa ne pensa?

"L’omosessualità in carcere è così diffusa naturalmente perché è compensatoria, ma non dobbiamo pensare che non abbia conseguenze sul piano psicologico: per una persona eterosessuale forzarsi a un comportamento omosessuale costituisce una violenza, una frustrazione e una caduta di autostima, in fondo un’umiliazione, che induce spesso pesanti sensi di colpa. Come sarebbe del resto e simmetricamente l’opposto per un omosessuale costretto a vedersela con una donna".

 

L’internamento e l’inibizione della sessualità comportano da un lato lo spostamento verso l’omosessualità, ma soprattutto la repressione degli istinti che ha pessime conseguenze. Quali?

"La repressione della vita sessuale e affettiva è forse il principale motivo per cui possiamo affermare che il carcere non è rieducativo e non tende al reinserimento del condannato nella vita sociale, così come chiede la Costituzione, ma che anzi è diseducativo, induce pesanti regressioni, accentua i tratti violenti della personalità e coltiva nei detenuti forti risentimenti nei confronti della società. Più della mancanza del lavoro, della mancanza di attività sociali e culturali significative, più dell’assenza di cure psicologiche, più della sporcizia, del sovraffollamento, più di tutto è la cesura col mondo degli affetti e degli istinti che colpisce alla radice la personalità già sofferente del detenuto. Ansia, depressione, autolesionismo difficoltà progressiva di concentrazione, insonnia, scatti di violenza sono i sinonimi più frequenti di questo stato di cose. Le donne sono detenute molto più difficili degli uomini, contrariamente a quanto si crede; sopportano peggio la detenzione. Certo, la violenza maschile ha un impatto più forte, ma le donne hanno il loro modo di essere violente e stare in un carcere femminile è difficile. Infatti le donne in carcere sono una percentuale minima. A Opera ci sono circa 1.100 detenuti maschi e 50 donne. Questa è la proporzione più o meno anche a livello nazionale".

 

Immagino che abbia avuto a che fare anche con casi di reinserimento nella vita "normale". Il sesso rappresenta un problema anche nel recupero, forse addirittura maggiore?

"Quando escono i miei pazienti continuano a frequentarmi come analista, ma soprattutto come amica una volta finito il nostro lavoro. Ci sono problemi di reinserimento coi figli per esempio, nel lavoro, nel gruppo sociale di riferimento, o al Paese d’origine; ma dal punto di vista sessuale le difficoltà si risolvono quasi subito. Questo non significa che la ferita aperta dall’essere stato considerato un oggetto per tanto tempo anche dal punto di vista dell’istinto sessuale non lasci tracce a livello profondo in una forma di insicurezza molto dolorosa e difficile da scardinare".

 

 

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