In carcere senza colpa

 

In carcere senza colpa

Francesco Maisto, Antonietta Pedrinazzi, Laura Tajoli

 

I figli appena nati delle mamme detenute vivono all’interno della struttura penitenziaria fino al terzo anno di età. In seguito, vengono affidati a sconosciuti. Il dramma rimosso di queste famiglie "spezzate".

 

Pochi sanno che in Italia esiste una categoria di persone che è condannata a scontare in carcere pene mai commesse. Si tratta dei figli appena nati delle mamme detenute, costretti a vivere la loro primissima infanzia dietro le sbarre, del tutto incolpevoli e inconsapevoli del destino che è stato loro riservato. Trascorsi tre anni, per loro le porte si aprono, mentre la mamma resta in cella, e i bambini vengono affidati a sconosciuti: da quel momento potranno rivedere il genitore una volta alla settimana, in parlatorio.

Associazioni di volontari, istituzioni giudiziarie e politiche si stanno muovendo per trovare delle soluzioni alternative alla carcerazione dei piccoli, senza interrompere i rapporti con i loro genitori. All’ordine del giorno, in particolare, un disegno di legge Finocchiaro presentato in parlamento dall’ex ministro per le Pari Opportunità più di un anno fa. Per discutere di questo progetto legislativo, Manuela Gandini ha organizzato lo scorso febbraio una conferenza stampa a cui hanno preso parte, tra gli altri, l’ attuale ministro per la Pari Opportunità Laura Balbo, il direttore della Casa Circondariale di. San Vittore Luigi Pagano, il sostituto procuratore della Procura Generale di Milano Francesco Maisto, Antonietta Pedrinazzi, funzionario del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia e la detenuta politica Marzia Belloli.

L’incontro, intitolato "Bambini in carcere" si è tenuto presso il locale milanese Le Trottoir, un bar. Il problema è stato così simbolicamente trasportato da un luogo tradizionalmente chiuso e circoscritto come il carcere, a un posto pubblico e informale, aperto e vitale. "Dobbiamo ragionare sui bambini - ha dichiarato il ministro Laura Balbo, comprendere le loro emozioni e i processi di crescita che non debbono essere in alcun modo compressi. Il governo si sta muovendo in questo senso. Per le madri che scontano una pena inferiore ai 4 anni è già prevista la possibilità di detenzione domiciliare, mentre per le persone condannate a pene più lunghe, se ne hanno già scontato un quarto, possono anche esse usufruire della detenzione domiciliare".

Il direttore di San Vittore Luigi Pagano ha insistito sulla necessità di una nuova legge: "Perché è indispensabile mantenere un rapporto costante con il mondo esterno"

 

Franceso Maisto: "Bambini dentro e fuori il carcere"

 

Il Giudice descritto da Bertolt Brecht ne "Il cerchio di gesso del Caucaso", dovendo decidere a chi attribuire un bambino disse di segnare un bel cerchio a terra con il gesso ("Una mamma pretende il bambino, l’altra mamma che lo pretende, si metta dall’altra). A un certo momento disse:" Tirate! Chi il bambino se lo prende, se lo porta via". Il dato fu che una mamma delle due pretendenti cercò di tirare, ma poi, per timore che il bambino si facesse male, lo lasciò. A quel punto, secondo la regola data dal "cerchio di gesso", che era una regola antica, che cosa doveva succedere? Il figlio doveva essere dato a quella che lo aveva tirato dalla sua parte.

Finalmente il giudice ubriacone, che faceva giustizia sotto l’albero, si avvide che il suo criterio di giudizio era sbagliato e disse: "Perché tu non hai tirato?". La donna rispose che il bambino si sarebbe fatto male... e le affidò il bambino.

Poiché il nostro criterio (giuridico) di giudizio (anche se dovessimo accettare quello del "cerchio di gesso", sia nella prima versione, di chi tira e lo porta via, sia nella seconda versione, di chi lo molla per non fargli male), non è questo, e non è questo il nostro modo di scegliere, bisogna cercarne degli altri. Un primo criterio di giudizio è: chi usa il figlio come mezzo o strumento, non può averlo. Il problema è lo stesso sia che si parli di una detenuta, sia che si tratti di una persona libera.

La mia esperienza di dieci anni di Magistrato di Sorveglianza e, prima ancora, di Giudice Minorile, o meglio, di PM presso il Tribunale dei Minori, mi ha messo nelle condizioni di riuscire a vedere, con il senno di poi, come sono le cose. Noi abbiamo visto casi di genitori che hanno usato i figli.

La prima prospettiva è quella culturale. In questa prospettiva si inserisce il discorso che sottolinea fortemente la professionalità dei giudici che si occupano di questi problemi.

C’è il problema delle leggi di riforma che potranno venire o che verranno. lo sono convinto che, con la legislazione esistente, molti problemi che assertivamente vengono ritenuti irrisolvibili, in realtà sono risolvibili. È necessario sottolineare più fortemente la professionalità dei giudici, e questo non necessariamente lo fa soltanto il Consiglio Superiore della Magistratura con i corsi di formazione per i Magistrati. Però il Magistrato di Sorveglianza e i Giudici Minorili sono un po’ negletti rispetto alla magistratura ordinaria. Noi riteniamo, modestamente, che non è vero, perché incidono su gangli vitali, che vanno ben al di là della quantificazione. Incidere sugli affetti e sui figli richiede anche grande responsabilità.

Tutti possiamo fare molto nello stimolare la professionalità dei giudici su questa materia e nel collaborare in concreto, perché possano prendere delle decisioni, avvedute. Con l’aiuto della Regione Lombardia, dal 28 al 31 maggio 1987, sul lago di Garda, preparammo un Convegno Internazionale su "Rischio familiare e tutela del bambino". In un’apposita sessione di lavoro si è parlato delle pratiche già fatte e da fare per costituire un circolo virtuoso di interazione tra i Giudici Minorili e i Magistrati di Sorveglianza che, a un qualsiasi titolo, dovessero occuparsi di una vicenda in cui fossero coinvolti un genitore detenuto e un bambino.

Bisogna attivare quel circuito virtuoso auspicato dal Procuratore Generale di Milano in occasione di un seminario dentro San Vittore nel giugno 97. Nella presentazione del seminario, prese la parola il Presidente Loi e parlò della necessità di costituire questo circuito. La legislazione esistente all’interno dell’art. 21 O.P., per esempio, consente una quantità di iniziative, di allargamenti che prima non erano consentiti. Sempre per una, come dire, "infezione" che genera un sistema, vedo che tante energie ricoperte come una pentola tenuta sotto un coperchio, oggi si stanno sprigionando: sarà forse la ventata del nuovo Direttore Generale del D.A.P. che caldeggia certe soluzioni. Riformulare l’ art. 21 è certamente un fatto positivo. lo mi sto muovendo sempre nell’ambito della legislazione vigente, naturalmente. Siamo ormai alle battute finali dei Protocolli d’Intesa tra la Regione Lombardia e il D.A.P. che recita: "Per quanto al capitolo 1°, paragrafo 2° "... il Ministro di Grazia e Giustizia si impegna ad istituire un asilo nido nel territorio della Regione Lombardia, avvalendosi di un Istituto a Custodia attenuata e comunque con caratteristiche logistiche tali da garantire la sicurezza e una equilibrata crescita del bambino".

Nel contesto protocollare "La Regione Lombardia si impegna per l’assistenza socio-sanitaria degli stessi (i bambini), per la formazione del personale penitenziario, addetto all’Istituto e selezionato dall’ Amministrazione".

Quindi, la componente fortemente custodialistica rappresentata dagli sbarramenti fissi, dagli sbarramenti personali deve essere tolta nella misura in cui e necessario toglierla per l’equilibrata crescita del bambino. In un Istituto a custodia attenuata, che deve essere una struttura civile e non deve essere un carcere.

Il disegno di legge presentato dall’On. Finocchiaro, di concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia: "Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra madri detenute e figli minori" ha bisogno di sollecitazioni e sostegni. Si possono anche presentare degli emendamenti, ma che siano emendamenti che agevolino la necessità di portare ad ultimazione questa disciplina: che se ne discuta! Invece ho l’impressione che andiamo verso la situazione bloccata. Non si aprono spazi, cioè la gente si deve far sentire in modo autorevole.

Due credo siano i punti fondamentali: un ampliamento dell’articolo 146 del Codice Penale e cioè il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena. E in secondo luogo, l’ampliamento dei limiti massimi per ottenere la detenzione domiciliare, che quindi passerebbe a 4 anni anche come pena residua (art. 47 ter O.P.).

Oltre agli ampliamenti c’è una novità, cioè l’art.47 quater O.P., che prevede una detenzione domiciliare speciale. Speciale nel senso che si tratta di un istituto particolare per la mamma o il papà con bambini. Esprimo apprezzamento per 10 sforzo che caratterizza questo disegno di legge. Però, più lavoro in settori, in qualche modo paralleli, (visto che mi sono occupato da sempre di queste problematiche: carcerarie, minori, tossicodipendenze, marginalità. . . e il lavoro che stiamo facendo attualmente al Ministero nella Commissione per la Riforma della legge sugli stupefacenti e per il trattamento di HIV e AIDS), più vedo che si va a ragionare un po’ in questi termini. lo non vorrei essere equivocato, ma più ci portiamo ad allargare le misure alternative e esistenti, più rimaniamo nei confini di una misura. Quello di cui invece c’è bisogno, vista la varietà di situazioni, è di avere una gamma molto varia di misure alternative. Dobbiamo cioè, inventarne quante più possibile. Non significa fare confusione, significa realizzare quel principio costituzionale che ai moderni non piace, forse ai postmoderni ancora meno, ma è il principio della funzione rieducativa della pena dell’art. 27 della Costituzione. Quindi, l’individualizzazione della pena.

Ci sono dei ritorni di neoclassicismo, di retribuzionismo, che sono terribili. E questo è trasversale... Negli orientamenti politici e ideologici bisogna uscire dall’alternativa sospensione pena/carcere. Ci stiamo sempre più rendendo conto che il giudice non deve essere messo di fronte all’alternativa "sospensione o carcere", perché altrimenti, fino a quando non matura una cultura del giudice sulla materia, posto di fronte a questa alternativa tra sospensione o carcere, il giudice decide sempre per il carcere. Di fronte a situazioni altamente problematiche o relazioni problematiche, non si può dire "Si sospenda la pena".

Cioè, il momento della presa in carico, del trattare le persone come uomini e non come cose, richiede allora che si faccia un passo in avanti. sicché, bisogna riconiugare tutta questa materia secondo il mio modesto punto di vista, pensando meno alle sospensioni dell’esecuzione della pena e più a misure speciali. Però, laddove ci sono delle misure che vengono modulate sulle situazioni problematiche, io credo che anche chi è contro a qualsiasi misura di questo tipo, in qualche modo, possa essere acquietato. Insomma, in Italia dobbiamo uscire da questa visione un po’ scolastica, un po’ troppo sistematica, un po’ troppo astratta. In Francia, quando si ragiona sui genitori che hanno i bambini in carcere o fuori del carcere, non è soltanto il giudice di "sorveglianza" o il giudice di investigazione a decidere.

Allora dobbiamo ripensare al modello di giudice. lo non ho approfondito la proposta, che però mi sembra di buon senso. Credo che laddove il Tribunale di Sorveglianza debba decidere su situazioni altamente problematiche di questo tipo, il collegio del Tribunale di

Sorveglianza possa assumere una composizione particolare, ossia integrato dai giudici del Tribunale dei Minorenni. Perché credo che ci sia la necessità di contributi efficaci da parte degli specialisti della famiglia e dell’ infanzia. In altri termini, credo che sia innanzitutto necessario fare in modo che il Tribunale di Sorveglianza possa decidere sulla base del maggior numero di informazioni possibile e che, in secondo luogo, possa avere una prospettiva sistemica della famiglia i cui genitori siano detenuti.

 

 

 

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