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Quando vieni a casa? Quando vieni a prendermi all’asilo? Che risposta dare? Come far capire a un figlio di avere "un po’" di pazienza?
di Silvano Lanzutti - Casa di Reclusione San Gimignano
I figli ci aspettano con ansia, non basta un’ora a settimana per farli sentire più vicini al genitore "detenuto". Chissà le domande che si pongono, soprattutto in un’età intorno ai tre o quattro anni, in cui si rendono conto dell’assenza del genitore ma non della situazione che li circonda. Si chiederanno sicuramente perché per vederlo bisogna aspettare tanto, perché tutti quei cancelli, chi sono tutte quelle persone vestite di blu! Già questo per loro è un grosso disagio, poi in un’ora non sono nemmeno liberi di stare in braccio a lui o lei, comunque il genitore tanto "desiderato". E poi diventa un enorme dilemma quando ti chiedono: "Quando vieni a casa, quando vieni a prendermi all’asilo?". Che risposta dare? Come fargli capire di avere "un po’" di pazienza, ovviamente per chi non ha una condanna troppo lunga? Se poi guardiamo i casi in cui ci si trova davanti ad una condanna di molti anni, si corre il rischio che un domani il figlio risponda che "di pazienza ne ha avuta anche troppa"! Occorre progettare qualcosa che faccia sentire il figlio più vicino al genitore, magari facendo dei colloqui più lunghi, mirati a mantenere solido il rapporto tra loro. Un ottimo spunto potrebbe essere il metodo adottato in Svizzera, quello dei mini – appartamenti, che non hanno solo la funzione di permettere i cosiddetti incontri intimi con il partner ma anche, e soprattutto, quello di accogliere l’intero nucleo familiare, agevolando i legami affettivi ed evitando così che gli stessi vadano deteriorandosi a causa della detenzione, più o meno lunga che sia. Questo creerebbe, attorno al bambino, un ambiente molto diverso, che gli permetterebbe di trascorrere diverse ore con i genitori in un luogo più somigliante ad un appartamento che non ad una sala colloqui, e renderebbe la situazione meno traumatica. Nella mia esperienza personale ho notato che il bambino, ad ogni colloquio, trascorreva la prima buona mezz’ora senza dire una parola, sembrava addirittura diffidente. Credo che nei primi anni di vita sia molto facile allontanarsi psicologicamente da una persona, anche dai genitori, se non si possono vedere in un contesto normale, e io penso che creare delle condizioni simili a quelle appena descritte sarebbe certamente di aiuto a scongiurare l’eventuale distacco. L’importanza del rapporto con i figli è fondamentale per entrambi, ma per mantenerlo saldo ci vorrebbe un intervento incisivo. Qualcuno sicuramente penserà "hai sbagliato e adesso paghi", ma chi pensa ciò forse non si rende conto che, per l’errore di un genitore, ne paga le conseguenze il figlio, che non è naturalmente nemmeno in grado di assumersi le responsabilità delle proprie azioni, si pensi poi se gli si addossano anche le colpe altrui! Io posso affermare che mio figlio mi ha indotto a mutare condotta. Non credo infatti di voler stare nuovamente lontano da lui per tornare in carcere, una volta terminata quest’esperienza. Ma sarà bastata la pazienza di mio figlio? È necessario comunque sensibilizzare l’opinione pubblica e gli organi competenti, affinché si tenga sempre in considerazione che la pena detentiva di una persona non deve compromettere i suoi legami affettivi né ripercuotersi sui suoi famigliari.
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