Vita - 30 giugno 2004

 

Ecco perché un lutto vissuto in carcere fa ancor più male

 

Vita, 30 giugno 2004

 

La testimonianza di un detenuto che racconta il modo in cui ha vissuto la scomparsa di persone a lui care. Si fa presto a dire che la morte colpisce tutti indistintamente, in realtà in carcere colpisce con molta più violenza: perché se sta morendo una persona che ti è cara, tu non puoi fare quasi nulla per esserle accanto, né puoi avere notizie tempestive sul suo stato di salute, e poi perché forse ti faranno andare al funerale, ma scortato e con neppure il tempo di piangere. Lo spiega bene, nella sua testimonianza, un detenuto che negli anni della sua carcerazione è stato tante volte spettatore impotente delle sofferenze di chi sa che qualcuno, a casa sua, sta male, ma sa anche di essere condannato a non parteciparne i dolori.

 

Ornella Favero

 

Ancora una volta in carcere mi è capitato di assistere alla peggior cosa che possa succedere a un essere umano: il decesso di un proprio caro. Ancora una volta ho visto con i miei occhi quanto, in casi come questo, la persona detenuta sprofondi nell’inutilità e nell’impotenza, e quanto il sistema carcerario ci metta del suo, per farla sentire ancor più inutile e impotente. Sembra che esista una volontà, anzi una legge beffarda (certo, non scritta) tesa a far sì che tu - carcerato - prenda tanto più coscienza del tuo esser niente quanto più sono delicati e dolorosi i momenti che stai attraversando. Una morte in famiglia è una tragedia comunque, ma se accade improvvisamente e per circostanze fortuite (come nel caso di un incidente stradale) bene o male si è costretti a rassegnarsi di fronte alla propria inutilità e impotenza.

A volte, anzi più spesso, la morte di una persona cara è "anticipata" invece dai segni premonitori della malattia e dal suo successivo, fatale, decorso: in questi casi un parente "normale", un parente libero, ha tutto il tempo di prepararsi all’evento e di rendersene in qualche modo partecipe, facendo sentire il calore della propria presenza e del proprio affetto. Ed è appunto in casi come questi che il carcere mostra il suo volto più duro, e più irrispettoso della tua natura di uomo che ha fatto quel che ha fatto e che ora giustamente paga per i suoi errori, per carità, ma che comunque è un uomo. Quando ci viene comunicato che un nostro familiare è gravemente malato, solitamente da parte del detenuto inizia la trafila delle richieste per essere avvicinato il più possibile a casa.

Se sei fortunato devi comunque sottostare a dei tempi di attesa che il più delle volte diventano talmente lunghi che, prima ancora di partire per casa, rischi di ricevere il telegramma di decesso avvenuto. Certo non chiedo che in simili circostanze al detenuto venga concesso qualcosa di particolare. Vorrei soltanto che in queste circostanze almeno affiorasse, nella logica pur ferrea delle misure di sicurezza carcerarie, un maggior senso di umanità nei confronti del detenuto che comunque, in quel momento, sta affrontando una tragedia privata. Il massacro dei sentimenti non ha nulla a che vedere con l’espiazione della pena.

 

Luigi Auletta - Casa di Reclusione di Padova

 

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