Vita - 5 settembre 2003

 

Da Padova una "strana" ricerca sui suicidi in carcere

 

In questa estate in cui non si sa parlar d’altro che di caldo e ognuno pensa al suo star male per l’afa asfissiante, e difficile che qualcuno si preoccupi di che cosa vuol dire star male in carcere. Eppure, le cronache sono piene di questo male, un male che spesso si esprime in quelli che il Ministero della Giustizia chiama "eventi critici": atti di autolesionismo, tentati suicidi, suicidi riusciti.

Nella redazione di Ristretti Orizzonti, realizzata da detenuti, detenute, volontari della Casa di Reclusione di Padova e dell’Istituto Penale Femminile della Giudecca, eravamo stanchi e avviliti da tutte queste notizie di "morti di carcere", in cui i protagonisti non hanno una identità, un volto, un diritto al ricordo, ma solo un piccolo spazio nelle nude statistiche sui suicidi di detenuti. Così, abbiamo avviato una ricerca sull’ informazione giornalistica riguardante questi eventi, per capirne di più ma anche per ridare un po' di dignità e di considerazione a queste morti, per contribuire a non dimenticare le storie delle persone che non ce l’hanno fatta a reggere il peso della detenzione, e anche per invitare il volontariato ad essere più presente e attento su questi fatti. La parte principale della ricerca è costituita dalle storie - alcune di poche righe, altre di una pagina - di detenuti suicidi, morti per malattia, per overdose, per "cause non accettate", in ordine cronologico dal gennaio 2002 al luglio 2003. Sono oltre cento, quelli ai quali siamo riusciti a restituire un identità e una provenienza togliendoli dall’anonimato delle statistiche. Per altrettanti - non c’è stato modo di sapere nulla, nonostante la rassegna stampa (che ha fatto da base per l’indagine) contenesse notizie tratte da tutti i principali quotidiani nazionali e da molti giornali locali: la conclusione più logica è che, ogni due detenuti che muoiono, almeno uno passa "inosservato". Una seconda sezione della ricerca raccoglie notizie e riflessioni tratte dai giornali carcerari: testimonianze di detenuti che conoscevano le persone morte, a volte degli stessi compagni di cella. In questa parte trovano posto anche alcuni articoli di Adriano Sofri, in carcere a Pisa, e una lettera dei detenuti di Rebibbia.

L’ultima parte è costituita da tabelle riassuntive: l’elenco dei detenuti morti, la loro età e il motivo della morte, le carceri nelle quali si sono verificati i decessi (la "classifica" è guidata da Cagliari e Sassari) .

Per finire, vale la pena riportare una considerazione di Francesco Morelli, il detenuto che si è occupato più di tutti di questa ricerca, e che spiega bene l’idea da cui è partita: "I detenuti sono uomini, non numeri. Poi sfogli . una rassegna stampa sul carcere e trovi molti articoli che sembrano note contabili. I casi sono due: chi finisce in galera rimane per sempre nemico (quindi indegno di essere rappresentato come persona), oppure il ricorso alla contabilità è la maniera meno impegnativa per scrivere del carcere . . . ". Scriveteci.

 

Ornella Favero

 

 

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