Vita - 3 ottobre 2003

 

L'appello per Sonya su Vita, i lettori rispondono, ma lei...

 

Voglio tornare sulla storia di una giovane detenuta bulgara, che ho raccontato di recente, perché mi sembra che rifletta la complessità della condizione degli stranieri detenuti.

Sonya è una ragazza orfana che, appena maggiorenne, ha lavorato sodo per fuggire dalla Bulgaria, dove "sopravviveva" in assoluta solitudine, all'Italia, dove sperava di cominciare finalmente a vivere. Breve illusione, la sua, e poi la realtà nuda e cruda: niente documenti, niente lavoro, una rapida carriera da ladra e la galera. Prima alla Giudecca, poi a Trieste, dove l’ho incontrata, disperata, terrorizzata all’idea di essere espulsa dall'Italia, un Paese Strano, dove non ha avuto nessun aiuto finché era fuori, ma un po' di accoglienza, qualche lezione di italiano, una psicologa attenta e sensibile, l’ha trovati in carcere. La storia ha un epilogo dolce-amaro: avevo raccontato la sua vicenda su Vita, lanciando un appello con poche speranze, un invito ad adottare una orfana bulgara, stanca, arrabbiata col mondo, anche un po' ladra. Mi è arrivata una risposta incredibile, da una coppia con già altri h gli adottati: «Abbiamo letto con attenzione di mamma e papà quanto scritto per Sonya. Una storia che centrifuga in se disperazione, miseria ma anche un pizzico di speranza. (…) Saremmo felici di sapere se possiamo essere per lei quel "pezzo di famiglia" alla quale ha diritto».

Ho letto questo messaggio alle detenute della Giudecca, sono rimaste commosse, ma soprattutto incredule: non credevano che "fuori" qualcuno potesse aver voglia di occuparsi di una ragazza detenuta, e non preferisse invece, per fare del bene, scegliersi per lo meno una situazione meno scomoda. E c'è invece da dire che questa non è neppure l'unica offerta di aiuto ricevuta, anche se senz'altro è la più impegnativa e quella che maggiormente ci ha aperto il cuore. Altri si sono offerti di dare una mano a Sonya in modi diversi, come la volontaria che ci ha scritto: "Conosco bene la situazione carceraria, mi piacerebbe poter fare qualcosa per Sonya, anche solo diventare sua amica. Forse non è troppo tardi".

Purtroppo, quando sono giunti questi messaggi, erano già arrivati in carcere a prelevare Sonya per espellerla. Non sappiamo se ora sia in un Centro di permanenza temporanea o al suo paese, per strada perché in Bulgaria non ha nessuno, e c'è troppa miseria perché qualcuno si possa occupare, oltre che della sua, anche di quella degli altri. La stiamo cercando, non so se riusciremo a trovarla. So che per tanti di noi, che si occupano di detenuti stranieri, questa dovrebbe essere una lezione: non arrendersi in partenza, non dire "con la Bossi-Fini non c'è più niente da fare". E avere un po' di fiducia nel mondo fuori, che non è tutto così ostile e prevenuto come qualcuno vorrebbe farci credere.

 

Ornella Favero

 

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