Vita - 6 giugno 2003

 

Dopo 16 mesi di carcere, arriva il permesso per la telefonata!

 

Il carcere si racconta molto di più con le piccole storie di ordinaria quotidianità che con i discorsi generali sulle condizioni della detenzione. Dal giornale Le Novate news, la cui redazione è attiva nel carcere di Piacenza, ecco allora la testimonianza di un ragazzo straniero che riesce finalmente a telefonare alla madre, dopo più di un anno di attesa delli1utorizzazione, ed ecco la telefonata, un impasto di poche parole e tanto pianto. Straordinariamente efficace, nel darci un’idea di cosa è il carcere per un giovane immigrato oggi: privazione degli affetti, delle voci, dei visi dei propri cari, dolore di confessare loro la fine triste di tanti progetti.

 

Ornella Favero

 

Era un giorno di gennaio, un giorno freddo ma con il sole. E quel giorno lo ricordo non perché faceva freddo e c’era il sole ma perché alle 2 del pomeriggio di quel giorno arrivò una telefonata. Dopo 16 mesi di carcere, la direzione mi aveva dato il diritto di parlare al telefono.

Quel giorno mi sono alzato più presto al mattino e quella mattina è stata la più bella che ho passato qui in carcere; non perché era cambiato qualcosa nella vita del carcere, ma era il mio cuore che era cambiato perché quel cuore, dopo 16 mesi, poteva sentire la voce di una persona. Di una persona che a quel cuore ha dato la vita e quella voce era la voce della mia carissima mamma. Le ore che dovevo aspettare mi sembravano le ore più lunghe della mia vita, ma erano piene di emozioni e di ricordi. Finalmente le 2 sono arrivate; la porta della mia cella si apre e un agente mi dice che è arrivata l’ora di telefonare. In quel momento il cuore comincia a battere forte, le gambe mi tremano.

Esco dalla cella e vado vicino al telefono. Il telefono squilla, alzo la cornetta, le mani tremano. Comprimendo l’emozione della mia voce, dalla bocca escono le prime due parole "alla mamma", aspettavo dall’ altra parte di sentire la voce di mia madre ma era inutile. Riuscivo a sentire solo una persona che piangeva: era mia madre che non riusciva a parlare ma solo a piangere.

Da quel momento anch’io non avevo più la forza di parlare; questa voce che sentivo piangere dall’altra parte della cornetta mi faceva soffrire molto e il mio cuore stava diventando debole come il cuore di un bambino appena nato e le mie lacrime cominciavano a uscire dagli occhi. Nella telefonata io e mia madre abbiamo parlato poco, poche parole fra madre e figlio perché era la nostalgia, la lontananza che la vita ha regalato che faceva perdere le parole e aumentare le lacrime... le emozioni che ho passato durante quella telefonata mi hanno colpito molto il cuore perché la lontananza deve continuare ancora un po’. La vita ha deciso così.

 

Indridt Norja

 

 

 

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