Vita - 28 febbraio 2003

     

Sovraffollamento, ecco cosa significa nella realtà

 

Di sovraffollamento carcerario si è parlato molto, associandolo alla battaglia per l’indulto, ma affinché le parole con l’abitudine non si svuotino di significato, vale sempre la pena di tornarci su, magari con una testimonianza come quella che segue, un pugno nello stomaco che arriva dal giornale del carcere di Eboli, Il filo di Arianna, e racconta di una vita logorata tra gli spazi insopportabilmente "ristretti" di una cella.

 

Ornella Favero

 

Ho 26 anni, sono detenuto presso questa struttura. Reati connessi all’uso di sostanze stupefacenti. Alle spalle altre esperienze carcerarie. Con la maggiore età la mia vita si è snodata lungo itinerari carcerari. Infatti, sono cresciuto, oltre che con la perdita della libertà, in spazi sempre troppo angusti.

Celle sempre stracolme, oltre ogni limite di decenza. È difficile per me descrivere che significa stare in una cella con altre sei, sette, otto e anche dieci persone per 24 ore al giorno. Gli odori, i colori, gli umori di persone senza spazio, quasi l’anticamera della follia. È incredibile, ma oggi e da alcuni anni a questa parte è questo il carcere che ho visto.

Il sovraffollamento, detto così non rende l’idea. Allora forse posso dare un contributo facendo riferimento allo zoo, dove i cittadini che non conoscono il carcere qualche volta portano il figlioletto a vedere gli animali, compresi quelli feroci. Allo zoo, infatti, gli animali sono tenuti in gabbie che sono più grandi degli spazi che vengono riservati in carcere a ogni persona detenuta.

Ma c’è un’ulteriore differenza tra la gabbia del leone allo zoo e lo spazio cella della gran parte dei carceri italiani. In gabbia, infatti, il leone viene lasciato in pace, quando non deve essere addestrato, forzato a fare delle cose. Per noi non è così. Oltre alla perdita della "dignità umana", dovuta alla restrizione dello spazio fisico entro cui "vivere", io, e come me anche gli altri, ho dovuto subire umiliazioni di vario tipo.

La mia stanza, quattro metri per quattro, ospita altre sette persone, oltre me. Otto detenuti con letti a castello che vanno fino al soffitto. Più un tavolinetto da spiaggia, come tavolo su cui mangiare (in otto!).

A qualche metro di distanza, il bagno (un lavabo e il water) che, ovviamente, funziona anche da cucina. Sarebbe interessante chiedere a tutte le ASL una perizia sui luoghi del confezionamento e consumo dei cibi in quasi tutte le carceri italiane! Ma è solo un dettaglio!

"Vivere" in queste condizioni è davvero allucinante. Mentre si mangia capita che qualcuno dei coinquilini va in bagno per fare i suoi bisogni, con tutti i risvolti del caso, in un ambiente chiuso.

 

Vito Ciccone - Carcere di Eboli

 

 

 

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