Vita - 31 dicembre 2003

 

Stavo malissimo dal dolore, e non era una finzione

 

Sono sempre più numerosi i giornali realizzati dai detenuti che hanno deciso di dedicare molto spazio alle testimonianze sui temi della salute, e anche questo è un segnale forte del fatto che, nelle carceri, la salute è davvero a rischio. A rischio per i finanziamenti sempre più miseri, ma anche per quella assurda paura di essere ingannati da astuti simulatori, che a volte condiziona i medici e il personale. Che ci sia gente che in carcere simula una patologia, o ne accentua i sintomi, è inevitabile: succede fuori, immaginarsi se non succede in un luogo in cui qualsiasi strada è buona se avvicina alla libertà. Ma la testimonianza che pubblichiamo, tratta da "Ragazze fuori", la rivista della Casa a Custodia attenuata di Empoli, dimostra con chiarezza una cosa elementare: che è meglio essere ingannati mille volte da un simulatore, che rischiare una sola volta di sottovalutare la gravità della malattia di una persona detenuta.

 

Ornella Favero

 

Vi voglio raccontare una cosa che mi è successa quando mi trovavo nel carcere di Lucca. Erano le 3 e mezzo del pomeriggio e io chiamavo l’infermiera perché mi sentivo male, avevo mal di pancia, e lei mi disse, senza neanche controllarmi, che ero vicina al mio periodo mestruale e che per questo non mi sentivo bene, così mi diede un analgesico. Le risposi che li riconoscevo e questi non erano i miei soliti dolori mestruali, ma lei aveva deciso così. Verso le 10 l’infermiera tornò, perché io col passare del tempo stavo sempre peggio. Quando arrivò le chiesi di aiutarmi perché stavo veramente male, giuro, mi veniva da piangere dal dolore. Finalmente verso mezzanotte e mezzo arrivò il dottore che, dopo avermi controllata, mi disse che non avevo nulla e mi rimandò in cella.

Appena tornata nella mia cella mi rimisi a piangere dal dolore che si faceva sempre più forte. Verso le 2 e mezzo del mattino il dottore venne di nuovo da me, ma non per visitarmi di nuovo: solo per dirmi di non dare più noia. Poi, dopo due ore, il dottore tornò un’altra volta per dirmi che mi avrebbe mandato all’ospedale, ma mi disse che se per caso io lo stavo prendendo in giro mi avrebbe fatto rapporto. Finalmente fecero venire l’ambulanza, non ce la facevo più dal dolore. Appena salita in ambulanza iniziai a vomitare roba verde, sentivo un gran freddo e sentivo parlare chi diceva di muoversi perché altrimenti io avrei rischiato di morire.

Mentre mi portavano penso di essere svenuta perché non ho più ricordi. Quando mi sono svegliata, da un agente ho saputo che ero stata operata di appendicite, già andata in peritonite. Quando sono tornata tutti, sia la direttrice che il dottore, sono subito venuti a chiedermi scusa per non avermi creduto. Io ho accettato le loro scuse, ma l’ho fatto solo perché non potevo fare altro.

 

Maria Da Silva - Carcere di Empoli

 

 

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