Vita - 19 luglio

 

Affettività significa anche volersi bene, perdonarsi, pazientare



La testimonianza di Christine arriva dalla Casa circondariale di Rovereto, da un giornale che si chiama Dentro e che esce come inserto di Oltre il muro, fa rivista dell'Associazione Provinciale Aiuto Sociale che si occupa di reinserimento e alternative al carcere di Trento. Christine parla con coraggio di affettività, di sesso, di omosessualità, e poi della necessità di imparare a volersi bene, a riconciliarsi con se stesse per poter vivere meglio anche con gli altri.


Ornella Favero


Per me, donna e reclusa, l’affettività è un turbine di intense emozioni che può innalzarmi fino al cielo della felicità o sprofondarmi nell’inferno della disperazione.

Bisogna ammettere che, pur da detenuta, mi è possibile non soffocare la mia affettività avendo la possibilità di periodici colloqui e telefonate che permettono un confronto immediato con i miei sentimenti.

La vera valvola di sfogo però sono le lettere: la cosa più bella in assoluto! Infatti non hanno orari, non impedimenti, nessuno può interromperle. A loro puoi affidare tutto, desideri, emozioni, paure, lacrime. Tramite la carta puoi confessare, scoprire, farti scoprire, giocare, litigare, far pace; far compagnia, voler bene, conquistare, amare, soffrire.

In una lettera ti puoi raccontare, inventare, fantasticare, immaginare, viaggiare, volare, evadere! Tornar qui e sorridere. Tutto si può in questi fogli di piccola grande libertà. Puoi anche stuzzicare, provocare e ritirarti, buttarti e ripensarci, sedurre, farti sedurre, far l’amore... far sesso...

Ah, il sesso! Ecco il punto dolente per noi recluse, credo sia una parte integrante dell’affettività, uno stimolo umano, un desiderio legittimo, ma proprio nel momento in cui, forse, avremmo più bisogno di essere rassicurate anche in questo, ci viene negato.

Palliativi ne esistono, eccome, ma palliativi appunto come l’autoerotismo o l’omosessualità. Sull’autoerotismo non voglio soffermarmi, appartiene alla sfera più intima di ciascuna di noi. Dell’omosessualità ne posso accennare per averla osservata, vissuta in terza persona. Ho conosciuto compagne che hanno avuto di queste esperienze, magari solo per bisogno d’amore, di attenzioni, per sentirsi importanti, per poterne parlare, per "provarci", per essere alla moda o per passate delusioni. Anche questa è una piccola libertà, ognuna se consapevole è libera di scegliere come meglio vuol "farsi" la carcerazione, purché il tutto sia nel rispetto delle altre compagne. Quello che non sopporto è la prevaricazione, il volerci provare a forza, questo no, non lo sopporto!

E pensare che le donne gay (vere) spesso sono goffe, timide, prevedibili, mi farebbero tenerezza e sorridere se non fosse che in carcere è meglio non attirare mai la loro attenzione, perché potrebbero diventare ossessive, appiccicose, morbose, gelose, a volte violente. Roba da rinchiudersi in cella per sfuggire alle loro avance o, ancor meglio, farsi trasferire di carcere.

Invece dovrebbe vigere il rispetto perché il fatto di essere detenute non comporta a priori la rinuncia dei propri valori, della propria dignità, del proprio "vivere", non è per intolleranza o pregiudizio che dico questo, ma per la libera scelta che ognuna deve poter fare.

Credo però che l’affettività sia anche voler bene a se stessi, perdonarsi, pazientare, smettere con il vittimismo, con le lamentele, con la diffidenza ed il sospetto. Accettare finalmente la pena quale logica conseguenza dei nostri sbagli; sono sicura che questo ci aiuterebbe a vivere meglio qui dentro ed a ricostruire il nostro futuro.

Personalmente so che pur conoscendo difficoltà, disagi, sofferenze, sacrifici, piccole e grandi rinunce, starò male solo se e quando mi accorgerò di non aver più niente da dare, ma forse anche allora avrò pur sempre un sorriso, una carezza, un ciao per tutti voi.

 

Christine, Rovereto

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