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Uomini prima, detenuti poi
Testimonianza di Samuela Brunamonti, insegnante Tratta dal numero 3/2004 della rivista La San Vincenzo
Ore 12.30 circa di un giorno di dicembre. Al telefono, la coordinatrice della mia scuola: “C’è bisogno di un corso di 40 ore al carcere”. CARCERE: 7 lettere sufficienti per costruire un muro, per allontanare chi ha sbagliato, per dividere i buoni dai cattivi. Che cosa c’entrava andare ad insegnarci? Eppure, accettai il lavoro immediatamente, con un’unica idea: quella di far nascere un fiore. Don Sebastiano amava il carcere ed ogni posto dove poteva incontrare gli ultimi. Dire sì a quel lavoro, in quel momento, era solo l’idea di riuscire a portare un fiore, mio, alla sua tomba. Il pomeriggio stesso consegnai la mia carta d’identità a scuola per i controlli che avrebbero dovuto fare su di me. Tutto era molto strano, ma non ci pensavo. Poi, all’improvviso, la paura. Io, una ragazza in mezzo a una decina di delinquenti. No. Non io. Un’amica alla quale chiesi consiglio mi disse: “Dovrai semplicemente essere te stessa”. Nella mia mente, il peso di quel semplicemente. “Signorina, il cellulare?”. “Tutto a posto, l’ho lasciato in macchina”. Camminavo lungo il corridoio con un solo libro a cui aggrapparmi, mentre alle mie spalle sentivo che i cancelli si richiudevano… Oggi tutte quelle mie emozioni fanno da cornice ad uno dei quadri più belli che mi è stato finora concesso di disegnare, e non solo nella mia vita di insegnante. Dietro quell’enorme muro di cemento, che circonda una piccola città fantasma, non ho trovato detenuti, ladri, vagabondi o delinquenti ma solo uomini. La loro normalità mi ha riappacificato con il mondo e mi ha fatto capire che è proprio vero che possono esistere errori, azioni sbagliate ma mai uomini sbagliati. Gino Paoli, a proposito di un ladro, canta: “Se non mi andava bene con le canzoni, forse, ero dalla sua parte e c’era un ladro in più”. Lì dentro non mi sono mai sentita più brava o più intelligente, solo un po’ più fortunata. Stare accanto a loro mi ha divertito, interessato, commosso. Ho stimato la loro creatività e poesia. Ho assaporato i racconti delle loro esperienze, anche di vita quotidiana. Ho scoperto che una lettera dall’esterno o una visita sono come l’oro ma che la parola FELICITÀ è comunque troppo grande per poter entrare lì dentro. Un giorno, essendo uscita di casa di corsa, non avevo con me il portafogli. Ad un certo punto, dovendo chiamare un’amica, mi avvicinai ad un ragazzo che chiedeva l’elemosina e gli chiesi 200 lire. Non dimenticherò il sorriso di quel ragazzo che contemporaneamente era stupito, divertito e, in un certo senso, grato. Quando esco da quel carcere mi sento un po’ come quel ragazzo: stupita, divertita e... grata perché loro mi fanno capire che davvero quando si pensa di donare, di insegnare, è proprio il momento in cui si riceve, si apprende. Ogni volta esco con dei regali... “Volevo dirti grazie, Samuela, perché qui parlando solo fra uomini ad un certo punto scopri che ti manca anche la voce di una donna”. “Quando imparo qualcosa di nuovo o quando mi fai sorridere riesco a scacciare i cattivi pensieri e scopro che un momento di gioia qui dentro vale più di qualsiasi punizione”. Regali, che non hanno bisogno di un fiocco colorato. E poi… Ti spiegano i loro tesori: le fotografie. Sai che non riesci a immaginarti quanto valgano per loro che ne hanno percorso e ripercorso ogni angolo. Ti raccontano le loro storie, a piccoli tratti, e ti domandi se hai il diritto di ascoltarle. Ti stupiscono. Uno di loro ha disegnato un bellissimo Gesù crocifisso su un piatto di plastica, con una matita. “L’ho disegnato la prima notte. Non posso dormire in una stanza dove non ci sia una Sua immagine”. Ti rispettano. Non se ne vanno via senza averti prima stretto la mano. Un giorno uno di loro per ringraziarmi di aver preparato dei dolci si è dato un bacio sulla mano con la quale poi ha sfiorato la mia guancia. Gesti nuovi, al di là dei quali quando esco da quei cancelli mi capita di chiedermi se siamo noi a tener lontani quegli uomini, o il contrario. Ai loro sogni dedico le mie e le vostre emozioni. E a don Sebastiano che sicuramente sorride, da un paese senza sbarre. |
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