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Non servono muri, steccati o ghetti La mano che mi trema ogni volta che giro la chiave nella toppa Anch’io sono stata molte volte vittima, ma penso che solo la conoscenza, il dialogo, la mente e il cuore aperti possano aiutare gli autori di reati a rientrare nella società civile
di Maria Grazia De Vivo insegnante, ha partecipato al progetto carcere-scuole, giugno 2008
Solo quando, nel silenzio, le “vittime” hanno iniziato a parlare, mi sono resa conto dell’impatto emotivo che le loro parole avevano su di me. Perché, improvvisamente, ho rivissuto momenti che avevo sepolto in un profondo buio. Perché, semplicemente, avevo dimenticato – dimenticato? – le tante volte che ero stata vittima anch’io. Flash sul passato, dolori brucianti. Di colpo il clima degli anni Settanta. Di notte un botto, noi alla finestra mentre guardiamo, con stupore, la nostra mitica cinquecento bianca che brucia nel cortile sotto casa. Incredulità. Mio padre nei giorni seguenti con la scorta, gli agenti che lo aspettano per portarlo all’Università. Mio padre che con la sua solita ironia minimizza. Mio padre, partigiano, ex detenuto di palazzo Giusti, e proprio per questo strenuo difensore, sempre, della legalità, che si esponeva e parlava ai suoi studenti della facoltà di Magistero e non accettava la furia delle occupazioni, della violenza, lui che aveva combattuto e aveva sofferto per far trionfare la democrazia… Altro flash. Sposata da poco, torno a casa verso sera. Nel buio dell’ingresso una strana sensazione, di aria fredda… In camera è tutto sottosopra, la finestra è aperta, un nodo alla gola, paura, le mani mi tremano. Poi le telefonate, io che mi rifugio a casa dei miei e poi… scoprire che non ho più nessuno dei piccoli gioielli che mi avevano lasciato le nonne, nessuno dei ricordi della cresima, del matrimonio, piccole tappe della mia vita. La mia vita che sento violata, l’intimità della mia casa turbata da una presenza che non conosco, la paura, la mano che mi trema ogni volta che giro la chiave nella toppa, mio padre che con pazienza mi accompagna ogni sera e aspetta con me mentre faccio il giro delle stanze, il ribrezzo che provo nell’aprire i cassetti che altre mani hanno aperto, mani che non conosco… E ancora un altro flash. Una domenica d’estate, un’ora di pausa per andare a trovare mia suocera, il ritorno, un altro furto, il furto di tutto quello che avevano lasciato i ladri precedenti. Strano come mi ritorni la bocca secca, il buco nello stomaco, il senso di nausea. E ancora un ricordo, forse più doloroso. Mio padre, anziano, che mi telefona con voce tremante, lui sempre così forte e sicuro. La corsa a casa sua, la serratura forzata, gli occhi smarriti suoi e di mia madre, increduli. Tutti i gioielli spariti. Non ho più niente, ora, da mettere al polso, al collo, di mia madre, di mia nonna. Il valore che avrebbero per me quelle poche cose non è economico, è un valore di passato, di senso di continuità, di famiglia, di affetti. E poi il furto più odioso. La necessità di una badante che aiuti i miei nelle sempre maggiori difficoltà, perché la mamma sta male. Una brava ragazza, per un anno. Papà scende per una breve passeggiata. Quando torna la ragazza che assiste la mamma non c’è più. Non c’è la pensione di papà appena ritirata, non ci sono le vecchie pellicce di mamma. Costernazione. Senso di impotenza. Rabbia, sì, anche rabbia. Ma non odio, mai. È vero, anch’io, molte volte vittima, ho avvertito quella “perdita di un senso di fiducia nei confronti del mondo” di cui parlava il professor Ceretti. Ma l’ho recuperato. Perché la fiducia, comunque, nella bontà dell’uomo mi è stata trasmessa fin da piccola e io l’ho insegnata alle mie figlie. Perché ho trovato altre badanti bravissime, serie, che hanno lasciato nei loro paesi figli e affetti. Perché credo nella possibilità di una società migliore. Perché sono convinta che non servano muri o steccati o ghetti, ma solo una maggiore giustizia ed equità sociale. Perché mio padre mi ha insegnato ad avere paura dei rigurgiti xenofobi di una società chiusa in se stessa e arroccata nella difesa dei suoi molti privilegi. Perché credo – l’ho toccata con mano nel progetto che fa incontrare studenti e detenuti – nella giustizia riparativa. Anch’io sono stata molte volte vittima, ma penso che solo la conoscenza, il dialogo, la mente e il cuore aperti possano aiutare gli autori di reati a rientrare nella società civile. |
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