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Una volontaria che fa da tramite tra la redazione e la trasmissione “Ristretti Radio” La stanza delle possibilità Nel lavoro di redazione, ho potuto riscoprire il valore di ogni parola, l’importanza dell’ascolto con l’anima sgombra di pregiudizi e di superbia, l’insostituibile ricchezza del lavoro di gruppo
di Lucia Faggion, giugno 2008 conduttrice della trasmissione “Ristretti Radio” su Radio Cooperativa e volontaria della redazione
Ho sempre detestato i numeri, la loro arida astrattezza e assoluta incapacità di cogliere le infinite sfumature e le complessità di ogni esperienza umana. Eppure sono stati propri i numeri (il livello di sovraffollamento, l’elevato tasso di suicidi, l’altissima percentuale di recidiva in mancanza di misure alternative) precisati in una conferenza sul carcere cui ho partecipato poco più di tre anni fa, a spingermi inizialmente ad agire. Ho sentito un senso fortissimo di responsabilità, decidendo all’istante che erano cifre che non potevano essere taciute e che dovevo assolutamente diffonderne la conoscenza attraverso la radio in cui, come volontaria, lavoravo da diverso tempo. Ho scoperto poi che a Radio Cooperativa, un programma sul carcere esisteva. A condurlo era Francesco, un detenuto che in quel momento per gravi motivi di salute era in sospensione di pena. Mi è stato proposto di affiancarlo, ho accettato. Devo moltissimo a Francesco, è stato il primo Virgilio che con grande intelligenza e generosità ha saputo accompagnarmi nei gironi di una realtà di cui non conoscevo assolutamente nulla, incoraggiandomi, e con il suo esempio insegnandomi a non avere fretta, ad essere umile e prudente. La sua lucidità nel rispondere ad ogni domanda degli ascoltatori, la sua capacità di tenere comunque la testa alta di fronte alle provocazioni e alle offese che inevitabilmente giungevano, sono state una risorsa unica e preziosa. Dopo un anno, per Francesco non è stato più possibile condurre il programma e così, senza la sua guida, mi sono ritrovata sola e spaesata. Non nego che ho avuto la tentazione fortissima di rinunciare: per quanto continuassi ad acquistare libri e a leggere tutto quanto potevo trovare sul carcere, ero consapevole che nulla poteva sostituire la conoscenza diretta della galera. Mi sono così decisa ad entrare in carcere e la mia prima volta è stata in occasione della conferenza che la redazione di Ristretti aveva, come ormai consuetudine, organizzato l’anno scorso. Il titolo era “Persone, non reati che camminano”. Non sono state le sbarre ovunque, i rumori, gli odori, l’atmosfera opprimente, a colpirmi, ma le persone e i loro atteggiamenti: la tranquilla attenzione degli ospiti (in molti si muovevano con grande disinvoltura in un ambiente così insolito per me!), la passione dei relatori, l’assoluta concentrazione di Ornella, che con un solo sguardo riusciva ad abbracciare l’intera palestra e a cogliere quanto doveva essere fatto perché tutto andasse nel migliore dei modi, la tristezza vuota negli occhi di Andrea, l’unico detenuto che avevo conosciuto fuori e a cui era appena stata revocata la misura alternativa. Ho sentito che non solo era possibile, ma ancor più era doveroso almeno fare il tentativo di partecipare agli incontri della redazione di Ristretti. Frequentare la redazione ha significato riappropriarmi della “stanza delle possibilità”. Siamo immersi in una realtà complessa sotto ogni profilo, sociale, culturale, economico, eppure il nostro immaginario è dominato dai media che lavorano per imporci un unico tipo di soluzioni, ispirate alla mercificazione totale dell’esistenza. Ho riscoperto che è possibile fornire un’informazione diversa, attenta alla specificità di ogni problematica umana, è possibile esaminare i fatti per quello che sono e proporre soluzioni che abbiano sempre e comunque al centro l’uomo, con coraggio, fantasia e profondo rispetto per il lettore, da cui non ci si aspetta mai il consenso, ma con cui ci si augura di poter ragionare. Mi ritengo davvero privilegiata per aver potuto affrontare un’esperienza di questa portata con Ornella, la sua immensa umanità non finisce mai di stupirmi e di stupire quanti la circondano. È stato per me molto importante poter collaborare con lei e i redattori-detenuti della redazione, interna ed esterna, al progetto “Il carcere entra a scuola, la scuola entra in carcere”. 112 sono stati in tutto gli incontri, di cui 30 in carcere. Le diverse centinaia di studenti che ho incontrato nelle diverse scuole di Padova e di tutta la provincia, di fronte alle testimonianze dei detenuti, hanno dimostrato una inaspettata capacità di ascolto, intenso e rispettoso. L’ennesimo stereotipo fornito dai media, l’ennesima “emergenza” (emergenza bullismo, emergenza stranieri, emergenza sicurezza…) descritta ad arte dai giornali e ancor più dalla televisione, è stata puntualmente smentita. I ragazzi non sono un fenomeno emergenziale da gestire e controllare, ma sono persone e se trattate come tali sono perfettamente in grado di usare la testa e il cuore. Non ho compiuto che i primi passi, sforzandomi di contrastare l’irruenza e l’impulsività che mi contraddistinguono, e nonostante questo ho commesso molti errori. Per fortuna tutti rimediabili. Nel partecipare poi alla preparazione del convegno di quest’anno, “Sto imparando a non odiare”, ho potuto riscoprire il valore di ogni parola, l’importanza dell’ascolto con l’anima sgombra di pregiudizi e di superbia, l’insostituibile ricchezza del lavoro di gruppo che permette di superare ostacoli a prima vista insormontabili. Il mio grazie va a ciascun volontario e a ciascun “ragazzo” della redazione, da ciascuno ho imparato e da ciascuno sono certa continuerò ad imparare. Il mio invito, a quanti si accostano per la prima volta al carcere, è di non arrendersi, anche se condividere, per quel che è possibile, l’esperienza della privazione della libertà è devastante. Ma se si accetta di mettersi in gioco, è enorme l’energia positiva che si riceve in dono. |
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