Cosa passa nella testa di chi afferra una persona e le punta una pistola addosso

Se ripenso al rapinatore che mi ha usata come ostaggio per una rapina in banca

Quando chi ha subito un reato e chi lo ha commesso sono di fronte

 

di Elena Baccarin, febbraio 2008

 

È una mattina come le altre, qui a scuola. Solita routine tranne per uno scambio d’orario per il Progetto “La Scuola entra in Carcere”. Sono in Quinta con i colleghi che si occupano del progetto. Stiamo aspettando che arrivino i detenuti che ci presenteranno la loro esperienza. Gli studenti sono un po’ emozionati, un po’ curiosi e mi chiedono qualche consiglio sulle domande che possono fare. Io sono molto tranquilla, non come la prima volta che ho affrontato questo incontro. Mi sento di potere rassicurare i ragazzi con l’esperienza di chi ha già potuto appurare di persona che i detenuti sono persone normali e sapendo che dalla porta della classe non entrerà nessun alieno. E infatti così è: entrano le persone che conosco e mi metto ad ascoltare i loro discorsi.

I ragazzi a volte fanno domande a bruciapelo e mi allarmano perché sembrano mancare di sensibilità, costringendo a rievocare solo per curiosità personale frangenti di vita che credo dolorosi. Mi spaventa il fatto che siano così fermamente convinti che a loro non accadrà mai di commettere un reato. Ma poi riflettendo penso che, forse, alla loro età la pensavo anche io così perché a 18 anni, in genere, non si sono ancora vissute quelle esperienze che ci portano al fondo di noi stessi e che, in un attimo, potrebbero farci compiere qualcosa di drammatico.

Durante il primo racconto a tratti sono un po’ assente, penso alle mille cose da fare. I ragazzi cominciano a chiedere sottovoce se conosco il motivo per cui quei signori sono finiti in carcere… ed ecco che uno di loro dice di essere stato un rapinatore. Qualcosa inizia ad agitarsi dentro di me, un ricordo non troppo lontano ma che credevo oramai messo da parte. Invece, non è così. Una forte tensione mi assale, mi manca quasi il respiro e vorrei uscire dalla stanza mentre sento il racconto di quello che succedeva durante una rapina “tipo” ad una banca. Non ci vedo quasi, poi, capisco che l’unico modo per riprendermi è proprio approfittare di questa occasione che la vita mi ha posto di fronte in modo così inatteso, proprio quando mi sembrava che non ce ne fosse più bisogno.

Sono sempre stata convinta che la vita sia una spirale meravigliosa che attraverso i suoi incomprensibili giri ci pone sempre di fronte a quello che non abbiamo superato, a quello che ci fa paura ma che, con ostinazione, cerchiamo di mettere a lato, rimandando ad un altro momento. Ecco il momento è arrivato. Chi ha subito un reato e chi lo ha commesso sono di fronte, ma più che vittima e colpevole ci sono due persone qualsiasi: io e Nicola.

Se ripenso al rapinatore che mi ha usata come ostaggio per una rapina in banca, non riesco a ricordare molto di lui, forse solamente gli strattoni che mi ha dato, le sue imprecazioni urlate al cassiere, il piccolo cerchio gelido della sua pistola puntata sulla mia nuca. Questa, di tutte, è la sensazione di cui ho fatto più fatica a liberarmi. Non mi riesce di vedere Nicola sotto quella veste, non riesco a immaginare nella veste del rapinatore l’uomo che appare qui, davanti a me, così mite. È un momento intenso, fatto di rabbia repressa e di forte emozione. Posso finalmente chiedere alcune cose, per cercare di capire cosa passa nella testa di chi, in quei momenti, a sangue freddo, afferra la prima persona che gli capita davanti e le punta una pistola addosso. Nella mia testa, in quei momenti si alternavano due pensieri a ritmo intermittente: “Adesso mi spara se non gli aprono” e “Non si sente mai che nelle rapine uccidano gli ostaggi”. Una consolazione, forse anche se in quei momenti non c’è il tempo di riflettere: il tempo si dilata e sembra tutto un sogno e si vorrebbe credere che non sta capitando proprio a noi. Il confronto con Nicola è rincuorante, mi conferma la validità della mia seconda supposizione.

Forse è stata solo una mia impressione, ma anche Nicola mi sembrava stupito ed emozionato da questo scambio inaspettato.

 

Succede a tutti i detenuti di cambiare la propria vita? Di voler rimediare?

 

E alla fine dell’incontro c’è stato un momento molto emozionante perché nell’abbraccio che Nicola mi ha dato mi sembrava di avvertire il desiderio quasi di scusarsi, lui per qualcun altro, per quello che mi era successo. È stato l’incontro di due estranei che, senza saperlo, avevano in comune qualcosa.

Avrei voluto chiedergli molto altro ma non me la sentivo davanti agli studenti e, in seguito, non me la sono sentita di riaprire il discorso. Non mi pareva di avere il diritto di tirare fuori ricordi di un passato che forse bisogna anche lasciare andare prima o poi. E mi chiedo se sia più utile continuare a parlare di un vissuto sbagliato e lontano o se faccia male riportarlo alla luce spesso. In fondo, non è lui che mi ha fatto del male. Chissà cosa ne è stato del vero rapinatore che ha preso me: se ci penso non riesco ad immaginare che possa essere come Nicola mi appare. Continuo a vederlo aggressivo e violento, freddo e implacabile. Senza cuore. Mi chiedo: forse non sono in grado di perdonare? Di dare una seconda possibilità a chi ha sbagliato? Non so se potrei fidarmi di lui. Lo sto scoprendo ora, da persona coinvolta. Succede a tutti i detenuti di cambiare la propria vita? Di voler rimediare?

Ho creduto molto nell’importanza di questa esperienza tra il carcere e la scuola per il mio desiderio di conoscere, di sapere quello che c’è oltre al meccanismo della perfetta vita quotidiana che non trova spazio per reati, vittime e colpevoli. Di solito queste cosa riguardano sempre qualcun altro e ne sentiamo parlare alla tv e sui giornali.

Andare in visita in carcere è un’esperienza forte che molti dovrebbero fare. Il mio ricordo è fissato sul rumore delle porte che si chiudono man mano che si procede all’interno. È la sensazione più intensa che mi è rimasta. E ora, quando mi capita di passare in auto nei pressi del carcere di Padova, mi soffermo sempre a pensare che dentro a quel blocco ci sono tante persone che vivono. Anche in altri momenti, mentre sto per uscire o per fare altre cose mi capita di pensare alla routine del carcere. Prima, non l’avrei fatto. E le persone che ho incontrato lì dentro sono solo persone come le altre che vedo all’esterno: è molto facile guardare negli occhi di questi uomini e trovarci l’umanità, la fragilità, la stessa pasta di cui siamo fatti tutti. Ma, mi chiedo, riuscirei a trovare queste stesse cose negli occhi di quel rapinatore? In certi occhi c’è anche qualcosa di sfuggente che inquieta.