Ciò che lascia il segno è il confronto con “l’altro”

 

E questo progetto, che ci ha portato in carcere con le nostre classi, un segno profondo

su tutti noi l’ha lasciato, consentendoci di andare oltre stereotipi e pregiudizi. Un’esperienza che ha cambiato anche il punto di vista degli insegnanti

 

di Antonio Bincoletto, docente di Lettere del Liceo

delle Scienze Sociali Fuà Fusinato, febbraio 2005

 

Mi  capita a volte di avere un incubo. Sogno di compiere qualcosa di grave e irreversibile: di provocare la morte di una persona, per esempio. Generalmente nel sogno ho la sensazione che tutto stia realmente accadendo, e questa è la percezione  più angosciante e desolante: “è successo davvero, non posso più tornare indietro!”. Poi mi sveglio, ma il sollievo che provo nel pensare “per fortuna non è successo, in realtà” non dissolve la profonda inquietudine che il sogno ha suscitato. Ho ripensato a questi miei incubi notturni quando, durante l’incontro-concerto al carcere Due Palazzi, uno studente ha chiesto ai detenuti cosa sognassero, e uno dei redattori di Ristretti Orizzonti, con molto pudore, ha accennato agli incubi che, spesso e a lungo, perseguitano i reclusi. In quel momento ho realizzato come, al risveglio, chi sta in carcere non abbia la possibilità di dire “per fortuna non è successo!” . Il dramma di cui ciascuno di loro è testimonianza non si risolve nel passaggio dal sonno alla veglia, con uno spruzzo d’acqua fredda sul viso o una semplice alzata di spalle, “tanto era solo un sogno….”.

 

Mi viene in mente il concetto dostoevskijano di “sottosuolo”

Quel dramma è segnato nella carne e nello spirito, sia di chi è finito in carcere, sia di chi ha subito le conseguenze del crimine. Se da questo si partisse nel considerare la realtà del carcere, già si sarebbe a buon punto nel comprenderne la dimensione umana. Qui si concentrano attori di veri drammi personali e sociali; qui si soffre, per espiare le colpe e per trovare, se c’è, la via del cambiamento. Qui l’individuo può, se vuole, se ci riesce, se si creano le condizioni, “fare i conti con se stesso”, combattere coi propri incubi. Oppure può chiudere gli occhi, aspettare, cancellare, osservare il tempo della vita che scorre sempre uguale e fugge inesorabilmente. Dopo gli incontri coi detenuti in semilibertà, dopo le riprese e le interviste doppie fatte col TG 2Palazzi, dopo i racconti dei volontari, degli educatori e del direttore del carcere, la consapevolezza su questa realtà è cresciuta, consentendoci di passare dai clichè alla realtà concreta delle esperienze individuali, dagli stereotipi alle persone in carne ed ossa.

è anche per questo, credo, che ho provato un senso di forte commozione durante il concerto al carcere: l’idea che tante diverse e in molti casi drammatiche storie di vita s’intrecciassero in quel momento corale; l’idea che davanti a noi ci fossero persone che stavano espiando colpe gravi, ma con cui ciononostante si poteva stabilire un rapporto di simpatia umana; l’idea che comunque ci fosse una via per dare loro sostegno nel duro percorso che si trovavano a fare; l’idea che facce segnate, smarrite, indurite, impaurite, perplesse, imbarazzate si sciogliessero insieme, prima nell’esecuzione e nell’ascolto dei pezzi, poi nell’applauso finale: questo mi ha toccato, spingendomi quasi alle lacrime.

 

La buona letteratura aiuta a ragionare sulle realtà umane

Non c’è un fossato invalicabile che separi i “buoni” dai “cattivi”, il “bene” dal “male”, chi sta in gabbia da chi sta fuori. Mi viene in mente il concetto dostoevskijano di “sottosuolo” e la confessione di Raskolnikov; il Riccetto “ragazzo di vita” descritto da Pasolini; ma anche il De Andrè del “Pescatore” o di “Via del campo” (“dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior…”). Ripenso alle razionali argomentazioni di Pietro Verri e di Cesare Beccaria su tortura e pena di morte, alle considerazioni pariniane sulle conseguenze devastanti dell’indigenza (“il bisogno”) sul comportamento umano; alle riflessioni del Manzoni sulle responsabilità individuali di chi si trova a dover giudicare gli altri: la buona letteratura aiuta sicuramente a superare gli stereotipi, a ragionare sulle realtà umane, che non sono mai semplici e univoche. Ancor più, ciò che lascia un segno profondo è il contatto diretto con le persone, con l’esperienza vissuta: il confronto con l’altro. Questo è ciò che abbiamo cercato di costruire attraverso questo progetto, grazie all’opportunità offertaci dalle associazioni promotrici: un percorso che tenesse insieme esperienza diretta e riflessa, informazione, conoscenza e elaborazione razionale; un percorso che consentisse di andare oltre stereotipi e pregiudizi, e che lasciasse un segno profondo su tutti noi. Forse ci siamo riusciti.