Ho accompagnato la mia bambina da suo padre

 

È un passo difficile, che non tutti sanno fare, quello di far affrontare a un figlio l’angoscia di una sala colloqui

 

Di Patrizia, settembre 2003

 

È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che mi sono raccontata al vostro giornale, ma non ho dimenticato l’importanza che ha avuto "Ristretti Orizzonti" durante la mia permanenza alla Giudecca: lavorare in redazione con le compagne, collaborare con la redazione maschile di Padova sono state esperienze importanti che mi hanno aiutata fino a quando ho potuto avere la detenzione domiciliare per stare vicina a mia figlia. Anche se mi trovo sempre in questa situazione (non per molto spero) ho fatto dei passi avanti, passi importanti, passi fondamentali per dare ad un detenuto la fiducia e la possibilità di dire: "Ci sono anch’io, partecipo e faccio una vita sociale". Dopo avere riabbracciato mia figlia e avere ottenuto i colloqui con il mio convivente, ancora detenuto in carcere, ho finalmente portato mia figlia da suo padre e ho trovato anche un lavoro.

Andiamo però con ordine, per raccontare le piccole conquiste che hanno reso più decente la mia vita. Quando sono uscita in detenzione domiciliare, ho cominciato a pensare che doveva arrivare anche il momento di far incontrare la bambina con il suo papà, cosa non facile perché lui si trova ancora in carcere e più volte, quando si affrontava l’argomento "genitori detenuti e figli", lui sosteneva che i colloqui in carcere coi bambini sono una cosa che voleva evitare, perché le regole rigide e il tempo controllato sono i padroni, lì dentro, mentre mancano del tutto l’intimità e la possibilità di esprimere liberamente le emozioni.

 

Due ore da riempire e l’emozione che si vedeva, si toccava, il battito del cuore amplificato, a mille

 

Più volte avevo chiesto a mia figlia se voleva venire con me a trovare suo padre, spiegandole cosa avremmo trovato arrivando là, ma facendo anche leva sulla sua curiosità e sul suo amore per il papà. La risposta era sempre "no", finché un giorno ha detto finalmente "sì", e allora l’ho portata con me. Era dal settembre 1999 che non si vedevano e la mia paura era quella che fra di loro si rompesse anche quel sottile filo che unisce due persone, costrette a non vedersi per lungo tempo; il mio uomo adora i bambini, non so come ci riesce ma… entra nel loro mondo e li conquista subito, fra lui e la bambina prima c’era un rapporto molto bello e io avrei voluto che lo ritrovassero. Quel giorno la sala colloqui era vuota, c’era solo lui, solo noi, con due ore da riempire e l’emozione che si vedeva, si toccava, il battito del cuore amplificato, a mille.

 

Il genitore che si trova in carcere perde molte cose, oltre che la libertà, e tra le tante c’è la crescita di un figlio, che non è solo crescita fisica ma anche mentale, psicologica

 

Erano uno di fronte all’altra, percepivo quello che provavano. L’ultima volta che lui l’aveva vista aveva sei anni, adesso quasi dieci e io avrei voluto che non ci trovassimo in una sala colloqui di un carcere. Però è stato bello rivederli assieme, ma ho anche pensato che… non è giusto! Non è giusto che i rapporti affettivi si limitino per chi sta in carcere a una o due ore di colloquio, soprattutto se avvengono tra genitori e figli. Manca la quotidianità, la giornata di un figlio è fatta di molte cose, molti avvenimenti che vive e che racconta ai genitori di volta in volta, e il genitore vede e partecipa a questi avvenimenti: tutte queste sono piccole emozioni che si assaporano e si sentono nel momento in cui vengono vissute.

A raccontarle dopo non hanno la stessa importanza, lo stesso valore. Il genitore che si trova in carcere perde molte cose, oltre che la libertà, e tra le tante c’è la crescita di un figlio, che non è solo crescita fisica ma anche mentale, psicologica. Il rapporto tra genitore detenuto e figlio si può costruire solo in spazi idonei, e se non è possibile a casa, almeno dovrebbe esserlo con dei tempi "umani" e in un luogo dove il bambino si trovi a suo agio e possa mostrare come passa il tempo e cercare di creare il clima famigliare, di intimità, che non è pensabile avere in una sala squallida, spesso piena di gente, con davanti le lancette dell’orologio che avvicinano inesorabilmente alla fine del colloquio.

 

È davvero insopportabile stare a casa in detenzione e pesare totalmente sui propri famigliari

 

Quello che più mi stava a cuore, all’inizio della mia detenzione domiciliare, era ricostruire il rapporto con mia figlia, ma poi un po’ alla volta ho dovuto naturalmente affrontare tutti gli altri problemi, e in particolare pensare al lavoro, perché è davvero insopportabile stare a casa in detenzione e pesare totalmente sui propri famigliari. Alcuni mesi fa ho fatto richiesta, al Magistrato di Sorveglianza, di potere uscire dal mio domicilio per cercare un lavoro: cosa non facile da fare se rimango a casa, e certo nessuno viene a bussarmi alla porta per offrirmene uno. Il Magistrato ha accettato la mia richiesta e così, dopo avere preparato un curriculum, ho cominciato a fare un giro nel territorio, a rivolgermi ad aziende, ad agenzie del lavoro. Dopo alcune settimane sono stata chiamata da un’agenzia che mi offriva un lavoro, era un venerdì e avrei dovuto iniziare il martedì successivo, ma come potevo? Ho spiegato che trovandomi in detenzione domiciliare avrei dovuto inoltrare prima una richiesta e per fare ciò mi serviva del tempo, e in pratica ho dovuto rifiutare. E all’inizio è stato sempre così: il lavoro c’era, ma subito, e invece un detenuto ha sempre tempi lunghi e nessuna certezza.

 

L’affidamento lo aspetto con ansia per avere finalmente la sensazione di essere una persona a tutti gli effetti

 

Dopo un po’ ho saputo che una signora stava andando in pensione e la cooperativa per cui lavorava cercava una sostituta, sono andata a colloquio e sono stata assunta, naturalmente dopo che il Magistrato, tramite la mia assistente sociale, ha preso le necessarie informazioni. Mi trovo bene, per il momento mi accontento, almeno non sono a casa tutto il giorno e guadagno dei soldi miei e poi con il lavoro potrò accedere all’affidamento in prova con il Centro Servizi Sociali per Adulti. E questo significa maggior libertà, mentre adesso che sono in detenzione domiciliare devo avvisare giornalmente i carabinieri quando esco e telefonare quando rientro.

L’affidamento lo aspetto con ansia, anche per dare al rapporto con mia figlia dei tempi più umani, per poter condividere con lei una vita meno "sotto controllo", per avere finalmente la sensazione di essere una persona a tutti gli effetti.