Ecco il brutto di un colloquio in carcere,

i sentimenti che ti esplodono dentro… che devi bloccare

 

Il racconto dei primi passi di Patrizia fuori dal carcere, in detenzione domiciliare, l’abbiamo pubblicato tempo fa, quando lei ci ha descritto l’emozione di tornare a casa e potersi riunire a sua figlia. Questa è la "seconda puntata", un altro pezzetto di famiglia che in qualche modo si ricongiunge: Patrizia ha potuto andare a colloquio col suo compagno, che è ancora in carcere, e cominciare ad affrontare con lui il problema di come ricostruire il rapporto con la figlia.

 

Di Patrizia, agosto 2002

 

Adesso Ristretti Orizzonti mi arriva a casa e tra molti temi che vengono affrontati, quella che mi va dritto al cuore è sempre la questione degli affetti. Dimostrare amore, amicizia, simpatia a qualcuno, non dovrebbe essere vietato o dosato a gocce solo perché regole, spazio e tempo non sono idonei. A mio avviso la famiglia, i figli, per chi sta in carcere ma non solo, sono la medicina in assoluto, ti danno la forza di tenere duro quando sembra che tutto ti crolli addosso.

Nelle situazioni più difficili ho sempre pensato a mia figlia, alla famiglia. Mi vedevo fuori con loro e così mandavo giù amaro e andavo avanti. Ma se fossi stata sola ce l’avrei fatta?

Noi detenuti impariamo presto ad avere pazienza, a fare un passo alla volta, a privarci di molte cose perché non sono consentite, quello che però è difficile da imparare è che non si può scambiare a colloquio un gesto spontaneo d’affetto. Questo credo che a lungo andare crei insicurezza, disagio, tensione, e te lo puoi portare dentro chissà per quanto tempo.

Da poco ho ottenuto il permesso di fare i colloqui con il mio convivente: finalmente, dopo due anni e mezzo, ho capito che l’avrei rivisto. Ero felicissima e non vedevo l’ora. I giorni precedenti il primo colloquio ho pensato a come sarebbe stato, veramente ho pensato a come mi sarebbe piaciuto che fosse perché nella realtà, tra me e lui, ci sarebbe stato il carcere con le sue regole e quindi…

Sono arrivata a Tolmezzo, dove, circondato dalle montagne, c’è l’istituto, che è molto diverso dalle carceri che conosco: ha uno stile moderno e c’è molta luce, almeno fin dove arrivo io, e cioè nella sala colloqui. L’ho visto oltre il vetro, prima di entrare. I capelli corti, non li ha avuti così corti nemmeno durante il servizio militare. Gli stanno bene e poi si sa che in carcere, per comodità e, alle volte, igiene, è meglio così.

Sono entrata e il suo sorriso mi ha fatto battere forte il cuore, più di quello che già batteva. Emozione forte e intensa che non credevo di sentire ancora, dopo tanto tempo assieme. Un abbraccio, un bacio e… mi sono tesa, ho pensato all’agente che era al di là del vetro e che, se mi facevo più stretta al mio uomo, avrebbe battuto sul vetro. Mi sono staccata di colpo, ma con tanta voglia di tenerlo stretto, per capire almeno se è stato vero quell’abbraccio, quel bacio.

 

Le manifestazioni d’affetto sono legittime e nessuno dovrebbe esserne privato

 

Ecco il brutto di un incontro in carcere, i sentimenti che ti esplodono dentro e che devi bloccare, non puoi prolungare un abbraccio, una carezza, forse perché è immorale? Forse perché fa pensare male? Le manifestazioni d’affetto sono legittime e nessuno dovrebbe esserne privato.

Del primo incontro mi ricordo gli sguardi, brevi, veloci, perché dicevano quello che le mani e le parole non potevano dire, quell’intimità che sentivamo e di cui avevamo bisogno ma che non potevamo manifestare. La nostra fortuna è di conoscerci bene, perché altrimenti non so se il nostro rapporto continuerebbe negli anni. È un susseguirsi di gioia, paura, tormento.

Quello che ho sentito forte, quando sono uscita, è stato il desiderio di tornare indietro perché mi sembrava di aver dimenticato qualcosa, di non avergli trasmesso veramente quello che volevo, ma questo succede ogni volta che finisce un colloquio, quando non puoi esprimere quello che provi nel suo intero significato ti senti a metà. Da quando sono a casa ho ritrovato la voglia di essere mamma e di essere donna, forse in carcere si presentano altre priorità e non pensi al tuo corpo, alle tue necessità, le metti da parte. Il mio uomo mi manca più ora che posso vederlo che prima, sono felice di sentire il mio corpo reagire a sentimenti che avevo accantonato. Serve più umanità e rispetto dei sentimenti, e certo meno rigidità non può fare male.

Quello che non mi stancherò mai di dire è che non è facile ricostruire un rapporto, non solo di coppia, quando si ha a che fare con il carcere. Serve più umanità e rispetto dei sentimenti, e certo meno rigidità non può fare male.

Io sto cercando di coinvolgere il mio compagno nella vita di nostra figlia, lei per il momento non se la sente di venire a trovarlo, gli manca molto e non vuole soffrirne, sa che finite le due ore dovrebbe lasciarlo là. Ho deciso di aspettare, intanto le racconto dei colloqui, di cosa parliamo, che il suo papà chiede di lei, cosa fa. Non è facile tenere unito il nostro rapporto a tre in modo che, quando sarà il momento, l’incontro sia meno traumatico e difficile, ma per adesso è l’unica cosa che posso fare.