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Mamma, ma se tu stai sempre a casa, perché i carabinieri vengono lo stesso? Il percorso difficile ma necessario della detenzione domiciliare
Di Patrizia, maggio 2002
La storia di Patrizia la stiamo seguendo anche noi passo passo. Faceva parte della redazione della Giudecca, Patrizia, finché le hanno concesso la detenzione domiciliare con la figlia, che non vedeva da due anni perché non aveva voluto dirle che era in carcere. Patrizia è una persona che ha fatto tesoro delle sue dure esperienze, è rimasta in contatto con noi e continua a scriverci tutti i piccoli passi che sta facendo per ricostruirsi una vita. A partire dal rapporto con la bambina, tutto da inventare, a quello con il suo compagno, che è ancora in carcere, alla prospettiva di poter finalmente lavorare e tornare lentamente a un ritmo di vita normale. Ci piacerebbe che fossero in tante, a fare come lei, ad arrivare alla consapevolezza che l’esperienza del carcere è meglio non cancellarla, è meglio tenere vivo nella propria memoria un periodo così pesante della propria vita.
Sono a casa da 5 mesi e posso dire che le paure, le incertezze e l’emozione delle prime settimane hanno lasciato il posto a qualcosa di più solido. Giorno dopo giorno affronto e concretizzo, vedo e tocco la mia vita, i problemi da risolvere e i passi da fare. Con mia figlia prendere la decisione di parlare di quello che è successo a me e a suo padre è complicato, perché è già difficile per un adulto capire problemi così gravi, figuriamoci per una bambina di 8 anni. Le domande che mi ha fatto finora sono poche, per esempio perché non posso uscire dal cancello, e poi: "Mamma, se tu stai sempre a casa, perché i carabinieri devono venire? Non sanno che non ti muovi da qui?". Sono comunque domande fatte su quello che vede, e le mie risposte sono chiare, uso i termini giusti, ho cercato di dirle di più, che cos’è un carcere, chi ci vive e perché si finisce lì, lei mi ascolta ma non fa domande. Quando fra grandi parliamo lei gioca ma l’orecchio è teso e si vede che sta ascoltando, ha sofferto tanto per il distacco e ha bisogno di tempo, di sicurezza, di sapere che da ora in poi ci sarò sempre e un domani ci sarà anche il suo papà, per ora le basta questo e io non voglio forzarla. Io sono serena, un po’ alla volta riuscirò a farle chiarezza, voglio che sappia chi sono i suoi genitori, che stiamo pagando per errori o fatti passati, ma questo non vuole dire che siamo cattivi genitori. Fuori la gente può essere molto cattiva e può dirle cose su di noi che potrebbero ferirla e renderla insicura, ma se lei sa chi siamo e cosa abbiamo fatto può ribattere e difendersi dalle insinuazioni della gente e troverà anche il coraggio e la voglia di saperne di più. Adesso si stanno concretizzando le cose che mi ero proposta di fare durante il periodo che ho passato in carcere, più vado avanti e più traguardi raggiungo, più acquisto forza e voglia di fare, credo nel percorso che sto facendo e nella maturazione raggiunta, e li vedo, li vedo davvero. Sono a casa con mia figlia e, dopo avere presentato richiesta al Magistrato di Sorveglianza, ho ottenuto il permesso di fare i colloqui con il mio convivente, non me l’aspettavo così presto e invece… Dopo due anni e otto mesi lo vedrò, l’emozione è grandissima soprattutto perché stiamo assieme da 22 anni e una separazione così lunga non l’avevamo mai vissuta. Quello che mi preoccupa è che dovremo prepararci psicologicamente per non "saltarci addosso", viste le regole che ci sono all’interno delle carceri, regole che conosciamo perfettamente tutti e due. Sono contenta però, perché con le mie visite potrò coinvolgere più da vicino anche lui nel rapporto con la bambina. Ritengo infatti che la figura paterna sia importante per un figlio, in egual misura di quella della madre, e rendere partecipe anche lui delle scelte, dei cambiamenti per il nostro futuro come famiglia non può fargli che bene. Naturalmente queste sono le cose belle ma ci sono anche i momenti brutti, quando mi sento sola e non c’è nessuno a casa con cui parlare, mi mancano molto le discussioni che facevamo in redazione, mi mancano alcune compagne, soprattutto una, Emilia, con cui mi scrivo ancora. E poi il lavoro: ho avuto altri trenta giorni di liberazione anticipata e in settembre, se trovo un lavoro, posso chiedere l’affidamento in prova. Sarà un altro traguardo, per il momento vado avanti così, sono soddisfatta dei piccoli passi importanti che sto facendo.
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