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Ritorno a casa
Quando ti presentano il conto e la tua vita va in pezzi, poi arriva il carcere e un difficile percorso per ritornare a casa. Dove ti aspetta una figlia con la quale devi ricostruire tutto
Di Patrizia, febbraio 2002
Ebbene sì, arrivano così i mandati di esecuzione, senza preavviso, sconvolgendo la vita ma non solo la tua. Per un reato del 1987 sono stata condannata in contumacia, assieme al mio compagno, a 6 anni di reclusione, così a distanza di 12 anni si sono aperte per noi le porte del carcere. Cosa posso dire? È stato un male? Ho riflettuto molto su queste due domande e con il tempo ho potuto rispondere a tutte e due. Non viaggiavo molto bene in quel periodo (estate 1999), ogni tanto mi facevo di eroina e se sai di sbagliare, ma ti vergogni di chiedere aiuto, chissà dove puoi arrivare, così ho pensato che il carcere in un certo senso mi ha salvata. Il male è che ho dovuto lasciare una figlia di 6 anni e ho perso il lavoro. Al momento di andarmene la bambina non c’era, mia suocera aveva pensato bene di mandarla al mare, così, quando sono partita, né io né lei abbiamo subito il trauma della separazione. Sono ricordi che non dimenticherò mai, ogni volta che ci penso arrivano le immagini e le sensazioni forti di quei momenti, sensazioni che ho provato solo alcuni giorni dopo l’arresto, perché quando ho lasciato casa non riuscivo a pensare a niente, ero come in trance, non ho nemmeno salutato mia suocera e mia sorella con un abbraccio, solo un ciao, come se dovessi tornare dopo poco tempo… e invece… Arrivo in carcere a Udine, già lo conoscevo per esserci stata un paio di mesi in passato, ma non ci resto molto perché ho una condanna alta per un Circondariale, e così vengo trasferita a Venezia. Volevo farla finita, ecco la prima cosa che ho pensato, mi sentivo persa, fragile e avevo tanta paura, avevo le compagne che mi tranquillizzavano ma la mia fantasia galoppava, mi immaginavo chissà che carcere e invece… mi viene da sorridere ora che ci penso. Fuori ti fai un’idea che, se non hai l’esperienza o l’informazione corretta e reale, è di gran lunga lontana dalla realtà. I primi mesi nel carcere della Giudecca sono stati un letargo, solo la mia mente era sveglia, sveglissima, io sono una donna che in ambienti che non conosco non parla molto, però sono riflessiva, valuto e peso le situazioni. Pensavo molto a casa, a mia figlia, alla famiglia e scrivevo, ho pianto anche ma mai davanti alle compagne, è una cosa che non sopporto, tutte hanno problemi e soffrono. Poi ho smesso di prendere la terapia e ho avviato dei colloqui con quella che sarebbe stata la mia psicologa durante la permanenza in carcere. Lì ho cominciato a risvegliarmi, a prendere coscienza dei miei problemi, del mio passato e di dover fare qualcosa. Ho cominciato a lavorare e a conoscere l’ambiente che, mio malgrado, mi ospitava. La cosa più difficile è stata telefonare a mia figlia, ci ho messo mesi prima di farlo, avevo paura di piangere e invece avrei dovuto rassicurarla, dirle che sarebbe andato tutto bene, per lei il papà e la mamma erano via per lavoro e finché non avessi avuto la possibilità di dirle la verità, doveva rimanere così. È stata dura, molto dura, ma con l’aiuto della psicologa e delle mie sorelle che venivano a colloquio ce l’ho fatta, da quella difficile esperienza è scattata una molla che mi ha fatto crescere, maturare e responsabilizzarmi su quella che sarebbe stata, da allora in avanti, la mia vita, affrontare i miei problemi, le difficoltà anche quotidiane mi ha dato una forza che, senza il carcere, non credo avrei capito di avere. Ho frequentato dei corsi che mi hanno aiutata a passare il tempo, ho ripreso in mano il mandato di esecuzione, il Codice di Procedura Penale e l’Ordinamento Penitenziario, mi sono cercata gli articoli che riguardavano il mio reato e ho cominciato a esaminare le varie possibilità per un reinserimento, una misura alternativa, le varie richieste, domandine, gli operatori a cui dovevo fare riferimento, mi sono documentata e ho partecipato alle attività che più mi stimolavano, come per esempio far parte della Redazione di "Ristretti Orizzonti", un’esperienza senza dubbio positiva, che mi ha fatto crescere, comunicare, confrontare e conoscere molti aspetti del carcere, delle persone che ci vivono e dei problemi che ci sono.
Quante volte ho immaginato come sarebbe stato il mio ritorno a casa
I colloqui con la mia famiglia, le lettere con il mio compagno e le telefonate a mia figlia mi hanno spinto a fare sempre meglio, certo i momenti brutti in carcere ci sono sempre e se non trovi un modo per sfogare la tensione, la rabbia, l’impotenza perché sei chiusa e più di tanto non puoi fare, puoi andare fuori di testa e diventare quello che in realtà non sei. In carcere vieni a conoscere i mille aspetti, le mille reazioni che l’essere umano ha dentro di sé. Ci sono problemi di convivenza, malumori per delle notizie ricevute, battaglie personali per tutto quello che non funziona all’interno di un Istituto, e se non trovi il giusto equilibrio il primo a rimetterci sei tu… sempre. Quello che certamente mi ha aiutato è sapere che la famiglia stava bene, che mia figlia, nonostante tutto, cresceva bene e andava a scuola felice e con ottimo profitto, beh… queste sono le cose che ti fanno sperare in un futuro, in una vita fuori assieme a loro, e allora penso che quello che faccio per me stessa lo faccio anche per loro, per ritornare da loro. Con il passare dei mesi si avvicinava anche la possibilità di accedere a una misura alternativa al carcere, avendo una figlia minore di 10 anni potevo ottenere la detenzione domiciliare, quante volte ho contato i mesi presofferti, preparato la richiesta di liberazione anticipata per lo sconto di pena (previsto nel caso di buon comportamento e partecipazione al trattamento rieducativo) e calcolato il periodo in cui avrei potuto presentare l’istanza! Ecco dove cominciano l’agonia e la tensione, ma anche la speranza e la voglia di riscatto e la fiducia, quando c’è la possibilità di raggiungere una meta, un obiettivo, quando c’è un qualcosa per te che ti aspetta fuori, e lo sai che meriti un’altra possibilità… speri! Quante volte ho immaginato come sarebbe stato il mio ritorno a casa, l’abbraccio con mia figlia, come avrebbe reagito, e il percorso che avrei dovuto fare per riprendere quel rapporto affettivo interrotto più di due anni prima, ma la realtà come sarebbe stata? Insomma, si può lasciare una realtà, ma dopo qualche anno tante cose possono cambiare e se non ti tieni in contatto anche "dentro" con il "fuori" puoi trovarti disorientata, provare angoscia e terrore. Sono uscita dal carcere prima di Natale, alla notizia mi è balzato il cuore in gola, la tensione e il nervosismo accumulati nell’attesa della risposta da parte del Tribunale si sono dissolti in un attimo e sono subentrate la felicità, lo stordimento, e in uno stato di agitazione ho cominciato a fare i bagagli. La cosa più difficile? Lasciare le compagne con cui, durante quel lungo periodo, avevo condiviso tantissimo, ma è inevitabile che succeda. Arrivo a casa, non sento nemmeno il peso della valigia, cammino ma mi sembra di stare ferma, cerco di capire se chi mi aspetta a casa sta notando tutte queste mie sensazioni, mi sento persa e mi chiedo: "Cosa ci faccio io qui?". Ripenso a dentro e ho voglia di piangere... ma c’è lei che mi osserva dalla finestra, io però non me ne sono accorta, lo dirà lei più tardi alla nonna che mi ha vista arrivare. Salgo in casa e la vedo, un groppo in gola e gli occhi che bruciano, ci abbracciamo senza dire niente, non è molto a suo agio e per questo nemmeno io, mi osserva moltissimo ma non dice niente, io la guardo, le faccio qualche complimento, cerco di sciogliere quel misto di tensione e imbarazzo ma ho paura di dire o fare qualcosa di sbagliato, per fortuna che ci sono i miei suoceri… Ho cominciato subito a sistemare casa perché non volevo pensare, avevo bisogno di un po’ di tempo, poi tra una cosa e l’altra è cominciato il dialogo tra me e lei, adesso va abbastanza bene e, sono sicura, andrà sempre meglio. Sono passati 2 anni e 5 mesi dal giorno dell’arresto e quello che ho pensato, sentito e imparato in quel periodo non lo dimenticherò di certo, ci sarà sempre qualcosa che mi farà ricordare quell’esperienza, il carcere sembra un mondo a sé, lontano, ma in realtà è molto vicino, fa parte della società, e ricordare può fare solo che bene, per me almeno è così.
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