Il mio zio italiano

 

Dall’Ucraina in Italia, a fare la schiava di uno "zio italiano"

 

Di Olga, giugno 2000

 

Il mio nome è Olga, sono nata in Ucraina. A diciassette anni sono andata a Mosca per studiare, ho frequentato una scuola tecnica e poi mi sono sposata. Mio marito era un uomo buono, lavorava forte e con lui stavamo benissimo, io e i nostri due bambini. Il suo lavoro stava al primo posto, al secondo posto stavano i bambini e al terzo io. Cinque anni fa ebbe un incidente, e io rimasi sola con una figlia di nove anni e un figlio che dipendeva ancora da me. E questo a Mosca nel 1995, dove nel frattempo da tre anni o più regnava l’anarchia e la vita diveniva di giorno in giorno più difficile.

Mia sorella nel frattempo conosce un italiano, un certo Mario. Ed è grazie a lui che ho ricevuto un visto e immediatamente mi sono ritrovata in Italia.

Un giorno infatti Mario mette per me un annuncio breve su un giornale italiano: "Donna tranquilla, 38 anni, cerca calore e attenzione, richiede poco. Non parla italiano". Arrivano 150 risposte. Mario le seleziona. Gli chiedo di scegliere un uomo maturo, preferibilmente con una casa in campagna. Spero che un uomo un po’ vecchio, all’infuori di un po’ d’atmosfera, di aiuto nell’orto, un buon pasto e una casa pulita, non pretenda tanto. Alla fine la scelta di Mario cade su un uomo di 60 anni, robusto e con occhi penetranti. Desta fiducia. Vado con lui, con quello che io chiamo "il mio zio italiano".

Lui ha una casa abbastanza grande, un orto, mucche, polli, cani alle catene e conigli in una gabbia di legno. Questo posto si trova un po’ fuori città. L’abitazione e le dipendenze sono vecchie e mantenute abbastanza male, piene di cianfrusaglie e oggetti fuori uso.

Penso che il mio italiano sia innamorato. Mi porta in giro per negozi, e naturalmente lui stesso sceglie e acquista le cose più urgenti, tutto a buon mercato. Le cose di prima necessità come la carne, le verdure e le uova provengono dalla produzione della fattoria.

Il modo italiano di mangiare è tanto diverso da quello russo. In Italia mi sembra che mangino pochissimo, ma grazie a Dio non sono una gran mangiatrice. Però in casa non c’è neppure il sapone e tanto meno lo shampoo: scopro che non gli piace lavarsi le mani e raramente fa la doccia.

Mia sorella mi consiglia di chiedergli di portarmi ad un grande magazzino per comprare qualche vestito e nel frattempo prendere anche sapone e shampoo. "Se ti farà fare questi acquisti senza storie, vuol dire che è un buon uomo", mi dice mia sorella.

Scelgo roba a buon mercato, un paio di scarpe economiche e anche il sapone e lo shampoo, arriviamo alla cassa, lui si volta. Io stessa devo pagare, e lì se ne vanno i miei ultimi soldi.

Il primo mese che viviamo insieme scorre veloce. Spero che voglia ospitare a casa mia anche mia figlia. Il periodo di prova è proseguito bene, lui mi accompagna anche alla polizia per regolare la mia presenza in Italia. Dopo, essendo in regola, faccio la visita dallo specialista, il quale mi assicura che devo mangiare di più, sono troppo magra.

Per colazione posso prendere solamente un caffè. Fa più freddo adesso, non ci sono più frutti, i polli che ha sono piccoli, ma fanno abbastanza uova. Le uova grandi si vendono, le piccole le mangiamo. Quando ne cuocio due, lui ne prende uno e lo butta tra i polli che l’hanno fatto, e quando voglio versarmi ancora una tazza di caffè, non mi da il permesso: "Costa troppo".

Un giorno arrivano ospiti. Lui esce. Ritorna con un pezzo di formaggio e delle salsicce. Magari, arrivassero tutti i giorni ospiti, penso rallegrata. Finalmente qualcosa di buono a casa. Non posso aspettare e prendo subito un pezzo di salame. "Fa sempre così", dice lui agli ospiti. Loro abbassano gli occhi. Sprofondo nella vergogna e non oso toccare più niente. Gli ospiti partono. Ciò che resta viene riposto.

Quando esce di casa, il giorno dopo, vado a cercare il formaggio. Non riesco a trovarlo da nessuna parte. La fattoria è grande, ci si può nascondere qualsiasi cosa facilmente. Trovo solamente una confezione di polvere su cui è stampato un teschio, e nello stesso armadio trovo anche una pagina di un vecchio giornale polacco. Per me, che vengo dall’Ucraina, è facile leggere il polacco. Vedo lui a figura intera. Una delle sue donne polacche racconta quali incubi ha vissuto e avvisa le altre di non avere fiducia in questo mascalzone.

Vivo come uno zombie, non so dove cercare, non so cosa devo fare. Ho fame e sono ammalata. Se mi gettassero un pezzo di pane sul pavimento lo mangerei come un cane. Ma questo non succede.

Quando gli chiedo qualcosa da mangiare, mi dice: "Levati dalle scatole. Ci sono tante altre straniere".

La fame è una sensazione terribile, ma ancora più spaventoso è che vuole sempre fare all’amore. Le poche volte che lui mi lascia fare la doccia esige di toccarmi e di fare altre porcherie. Mi vergogno a subire queste cose, mio marito non mi ha mai chiesto cose del genere. Mario, invece, mi spiega che sono una straniera e se racconto quello che lui fa nessuno mi crederà, e aggiunge "Basta che dica che mi hai rubato soldi, e andrai in carcere".

Siccome mangio troppo poco e dormo poco, divento insensibile. Per la prima volta ho pensato ad una corda. Non posso ritornare in Russia ed essere di peso ai miei figli, è meglio se m’impicco qui. Ma ho paura. Piano, piano, metto un po’ di veleno nel caffè e nel brodo. Per lui questo brodo è così gustoso che ne mangia tutti i giorni una mezza pentola. Le sue unghie diventano blu. I suoi capelli cadono. Un giorno si stende sul divano e dopo poco inizia ad uscirgli una schiuma bianca dalla bocca e gli occhi gli si rovesciano indietro. Ho avvisato la vicina di casa. Ora mi trovo in carcere.