Stranieri in depressione, tra avvocati d’ufficio

e documenti da firmare senza averne capito una parola

 

Di Marianne, ottobre 1999

 

Quando uno straniero viene arrestato e messo in carcere, a volte può accusare solo se stesso, soprattutto quando si tratta di reati di droga.

I corrieri della droga lo fanno per lucro, oppure perché amano la vita rischiosa, ma il più delle persone lo fa per la molta povertà che c’è nel loro paese.

Queste persone, pur sapendo il pericolo a cui vanno incontro, accettano di rischiare pur di riuscire ad aiutare i propri familiari a procurarsi il minimo necessario per sopravvivere.

Così, sono in molti come me a ritrovarsi lontani dalla propria casa e famiglia, in un paese sconosciuto. Qualche anno fa, quando venni arrestata e messa in un piccolo carcere con altre venti donne, mi sentii doppiamente carcerata.

Le mura e le sbarre furono il primo duro impatto con il carcere, ma il secondo, anche più duro, venne dal fatto che non conoscevo nemmeno una parola di italiano e non potevo comunicare con nessuno: c’era una terribile barriera costituita dalla lingua.

Per quanto posso vedere stando in questo carcere, in Italia con il francese, o l’inglese, o il tedesco, non vai molto lontano. Io mi sono trovata handicappata in Italia, paese che vuole appartenere all’Europa, procedendo in mezzo a una grande burocrazia di domandine e documentazioni che ero costretta a firmare senza conoscerne il contenuto.

Ho avuto bisogno di cure mediche e per spiegarmi ho utilizzato il dizionario, non sapendo poi se il medico mi aveva capito. Per almeno due mesi mi ha prescritto della vitamina B per curarmi dei disturbi al cuore e la pressione del sangue alta: ero vicina alla disperazione.

Lo stesso vale per il mio primo interrogatorio: mi è stata affiancata una interprete francese, invece che olandese, così non ho potuto spiegarmi bene. Dietro richiesta del mio avvocato, che sottoponeva al giudice il problema dei documenti scritti in una lingua che io non comprendevo, il giudice rispose che io potevo ottenere i documenti scritti nella mia lingua pagandoli.

Come potevo pagare, essendomi stato sequestrato tutto il contante che avevo, e non avendolo più riavuto indietro?

Anche trovare un buon avvocato è stata per me una cosa quasi impossibile. Mi hanno affiancato un legale d’ufficio, il quale invece di prendersi cura della mia difesa, tutte le volte che lo incontravo mi spiegava che lui non poteva vivere con quello che gli passava lo Stato. Nel rimanente tempo dell’udienza mi parlava di una punizione da un minimo di dodici a un massimo di venti anni.

Tutte le volte che lo incontravo, con questi discorsi, alla fine mi sentivo depressa almeno tanto quanto lui e l’angoscia mi chiudeva la gola fino a togliermi il respiro.

In carcere le altre detenute mi hanno detto che la mia punizione sarebbe stata non più di sei-sette anni e mi hanno fornito i nomi di diversi legali a cui ho scritto chiedendo se volevano assistermi, ma con mia somma delusione nessuno si è fatto vivo per paura di non riscuotere la propria parcella, essendo io una straniera e non avendo famigliari vicino. Alla fine una mia cara amica mi ha presentato al suo legale, che ha accettato di difendermi.

Con questo avvocato potevo solamente "parlare" usando le mani, con la porta aperta e alla presenza di un’agente che poteva ascoltare tutto quello che dicevamo. È stata una grande sorpresa per me, questi metodi nel mio paese non sono in vigore, ma l’avvocato mi ha spiegato che in Italia sono normali. Di positivo ho trovato, circa due mesi dopo l’arresto, di poter frequentare un corso di lingua italiana. Imparare una nuova lingua è stato molto divertente (un po’ come ricevere una nuova personalità) e gli italiani sono tanto simpatici e mi hanno dato l’impressione che potevo parlare bene la lingua in pochi mesi.

Però ho perduto la mia lingua nella bocca: l’italiano è una lingua cantata, per me molto difficile. I miei pensieri, così semplici ed eleganti nella testa, escono piatti ed infantili, ma soprattutto senza colore ed espressione.

La sensibilità di scelta del tono giusto, tra l’ironia e il cinismo, non mi è chiara in italiano. Tutte le frasi hanno costruzioni che non sono le mie naturali. La consapevolezza di esprimerli in modo incomprensibile e la confusione delle mie idee mi fanno paura. Mi fanno pensare di essere strana, bizzarra, ingiusta o sentimentale, nel caso migliore di essere una straniera "divertente".

Ci sono momenti in cui capisco tutto quello che dicono gli altri, altre volte capisco solo la metà e il mio cervello non lavora.

Talvolta perdo totalmente la traccia e in questi momenti vorrei scoppiare in lacrime e scappare.

Nonostante trascorrano gli anni la solitudine pesa di più: mai poter parlare nella propria lingua mi sembra orrendo.

A conclusione di questa mia avventura penso che la legge debba essere uguale per tutti e non lasciar soffrire di più lo straniero, perché pene giuste dovrebbero prevenire la sofferenza inutile.

Mentre il carcerato italiano, comportandosi bene, può usufruire di pene alternative, di qualche permesso per andare a casa, di due telefonate al mese con poco costo, dei colloqui con i famigliari, lo straniero di tutto questo non può avere niente e può solo aspettarsi di essere espulso alla fine della pena.