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Possiamo mettere a confronto una grande cella per i detenuti con lo scompartimento di un treno?
Ovvero: Come Marianne, olandese, detenuta alla Giudecca, descrive l’accoglienza riservata in un paese straniero all’immigrato, che è poi molto simile a come in carcere si accoglie un "nuovo giunto"
Di Marianne, agosto 1999
Nello scompartimento sono seduti due passeggeri. Sono diventati quasi intimi, hanno sequestrato gli altri sedili, i tavolini, le reticelle per i bagagli, gli appendiabiti. La porta all’improvviso si apre ed entrano due nuovi viaggiatori. Il loro arrivo non viene molto apprezzato, al contrario si percepisce nell’aria un’avversione evidente all’idea di doversi stringere per liberare i posti occupati. Nel frattempo i viaggiatori che già stanno seduti all’interno si comportano tra di loro, anche se non si conoscono, con evidente solidarietà e sembrano un gruppo compatto di fronte alla gente che è appena entrata loro si sentono sul loro territorio, autoctoni che hanno diritto a tutto il posto, i nuovi viaggiatori sono invece degli intrusi, appena tollerati, ma poi ci sì abitua anche a loro eppure restano "stranieri". Alla stazione successiva la porta dello scompartimento viene aperta da due nuovi viaggiatori. Da questo momento, lo stato dei due entrati prima di loro cambia, poco fa erano intrusi, estranei, adesso improvvisamente sono diventati "autoctoni", appartengono al clan dell’"ordine costituito". Anche loro sono stati "promossi" a proprietari dello scompartimento, con tutti i diritti che ne conseguono, anche loro hanno la sensazione dì dover difendere il "proprio" territorio. Dovrebbero avere un po’ di comprensione per i "novellini", dato che si trovano nella stessa situazione in cui erano loro poco prima, ma non se ne parla neppure: rapida e forte è infatti la smemoratezza. La "parabola" dello scompartimento di treno vale per il carcere, e per il "nuovo giunto" che arriva all’improvviso ad occupare un posto nella cella per sei o otto persone dove cinque o sei detenute si erano sistemate da tempo, appropriandosi di ogni spazio. Tutte, e anche io, si chiedono: come sarà questa "nuova giunta"? si adatterà a noi o porterà ancora più problemi? Ma questo atteggiamento, visto in piccolo per una cella del carcere, è lo stesso che si ritrova in situazioni più importanti, nei paesi dove improvvisamente arrivano gli immigrati stranieri, guardati a vista come "occupanti" del proprio comodo scompartimento. L’Homo Sapiens viene dall’Africa ed è per natura un animale migrante, la migrazione da territori poveri a territori più ricchi esiste da sempre. Eppure noi, che viviamo in un posto "comodo e ricco", non siamo in genere così generosi con i nuovi arrivati. Io in proposito posso solo raccontare qualcosa che riguarda il mio paese d’origine, i Paesi Bassi. Dopo la guerra, negli anni cinquanta è iniziato il rimpatrio di olandesi dalle terre dell’ex impero coloniale (l’attuale Indonesia). Tanti di loro hanno un colore diverso e occhi come nocciole, per questo gli hanno dato il nome di Katjang, cioè arachide, nocciolina. Le loro abitudini erano diverse, la loro cucina troppo aromatica e profumata per il naso degli olandesi. Il tempo però ha attenuato certi contrasti, e gli olandesi hanno finito per accettare in pieno l’uso delle spezie per profumare i loro piatti, i gustosi rysttafels, letteralmente "tavole di riso", un piatto tipico indonesiano, sono diventati una ricetta nazionale dell’Olanda, Poi sono arrivati gli anni ‘60, quando c’era troppo lavoro nel nostro paese, così cominciarono ad emigrare in Olanda turchi e marocchini, e più tardi, una ventina d’anni fa, iniziò l’emigrazione italiana. Gli italiani lavoravano come marmisti, mosaicisti, carpentieri, ristoratori e gelatai. Naturalmente il processo di inserimento non fu senza problemi, e forse agli occhi delle madri olandesi gli italiani, con le loro canzoni e i loro sorrisi, erano troppo seducenti per le loro figlie, ma oggi tante paure sono state sconfitte e la nostra è diventata davvero una società multietnica.
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