In carcere ci scopriamo tutti un po’ poeti e un po’ artisti

 questo perché le nostre sole armi

di seduzione diventano carta e penna

 

Di Gena, maggio 2001

 

Dopo aver letto su Ristretti Orizzonti l’articolo di Francesco Morelli riferito alle corrispondenze fra detenuti maschi e femmine, ho voglia di esprimere il mio punto di vista in merito. Innanzitutto devo dire che quando l’ho letto mi è piaciuto molto, poiché sono anch’io dell’idea che bisogna fare una netta distinzione tra i vari tipi di corrispondenza. Volevo puntualizzare che molto spesso il rancore che esprimiamo noi detenute con i nostri giudizi verso gli uomini non è tanto dovuto al fatto che ci sentiamo forti fra sole donne, ma piuttosto perché la maggior parte di noi si sente spesso tradita o coinvolta suo malgrado in storie spesso gestite quasi esclusivamente dal compagno, e quindi tende a rinfacciare agli uomini di averci messo nei guai. Così, quando improvvisamente ci si trova rinchiuse e magari si corrisponde con il partner trovandolo improvvisamente cambiato, più disponibile e amorevole, succede di sentirsi prese in giro.

Una parola va spesa poi a proposito della corrispondenza fra sconosciuti. A quasi tutte noi, sentimentalmente libere o no, è capitato di intraprendere qualche "relazione epistolare" con detenuti sconosciuti, presentati magari dalla "corrispondente" vicina di letto… Questo perché la voglia di comunicare con altre persone è sempre forte, ed è a questo punto che arrivano le belle o le brutte sorprese. Non è facile instaurare un rapporto onesto e sincero con un estraneo, anche se la situazione di disagio che ci accomuna può creare dei legami particolari e rende più facile confidarsi reciprocamente le proprie angosce. Ci sono corrispondenze estremamente divertenti e talvolta interattive. Succede così che si rendono partecipi le compagne delle spiritosaggini del simpaticone che ha tanta voglia di approfondire le sue conoscenze sull’altra "parte del cielo".

Altre volte invece succede che la corrispondenza con il nuovo "amico" diventi estremamente intensa e privata. Molte di noi scrivono allo stesso uomo ogni giorno e sono le prime a fare la coda per la posta (ho deciso di essere altrettanto sincera perché convinta che a voi maschi capiti la stessa cosa), sono quindi pienamente d’accordo con Francesco quando dice che la corrispondenza fra detenuti sia comunque un fatto positivo, perché ci spinge in ogni caso ad una apertura verso gli altri e a guardare dentro noi stessi per trovare quelle emozioni spesso assopite dalla detenzione e che vogliamo invece comunicare.

Naturalmente, persone colte che hanno più dimestichezza con la penna avranno un effetto più sorprendente, ma non è necessario essere dei "Ciranò" per poter comunicare, può bastare un po’ di sincerità e dignità.

Anche le cosiddette "lettere spinte" rappresentano più che altro una necessità, e non mi sento quindi di giudicarle, sarebbe come scandalizzarsi quando qualche sera il telecomando gira improvvisamente su qualche emittente regionale… non siete d’accordo? Sta poi al carattere di ognuno accettare o no questo tipo di attenzioni.

In carcere poi ci scopriamo tutti un po’ poeti e un po’ artisti, questo perché le nostre armi di seduzione diventano carta e penna e non soldi o profumi e bei vestiti, e anche questo è un fatto positivo perché ci fa sentire più sensibili. Naturalmente un complimento o una frase piacciono, anche se sappiamo spesso dargli il giusto peso. Non sono d’accordo nel definire tutti gli uomini distratti e insensibili, è vero che spesso siamo proprio noi donne fuori che cerchiamo un uomo valutandolo attentamente anche riguardo alla sua situazione economica, cosa che però non succede qui dove i sentimenti prevalgono su tutto il resto.

Volevo poi spendere le ultime parole sulla parte finale dell’articolo, dicendo che Francesco ha ragione quando dice che la rieducazione carceraria tende a spegnere i sogni e ridimensionare le nostre aspirazioni, e questo non deve succedere, poiché ognuna di noi ha il suo sogno nel cassetto e nessuno ha diritto di togliercelo.