Finalmente la detenzione domiciliare per una madre che ritrova le due figlie

Cosa vuol dire lasciare i figli a casa per andare in carcere

Si dice che sia contro natura separare i genitori dai propri figli. Ecco, io ho sentito la violenza di tutto ciò su ogni millimetro della mia pelle

 

di una mamma ex detenuta, ottobre 2008

 

Come’è stato lasciare i figli a casa per andare in carcere? Bella domanda… Al pensiero di risentire ciò che accadde allora, ricado in un terribile vortice di panico, disperazione e abbandono. In quel momento vedevo davanti a me solo le sbarre e mi sono detta: “La mia vita è finita e quella delle mie figlie è seriamente compromessa!”.

Ti crolla il mondo addosso: lasciare le mie bimbe in asilo per andare a costituirmi è stato come se mi stessero asportando un polmone senza anestesia. Le gemelle avevano compiuto cinque anni da appena un mese e i loro occhioni che quella mattina mi guardavano fissi, perché sentivano che c’era qualcosa di molto triste e disperato in me, mi sono rimasti impressi come un marchio indelebile. Non respiravo, non sentivo più i rumori ed i suoni intorno a me. Le persone erano solo ombre, soffi in movimento. Il mio unico pensiero era: le rivedrò mai più? me le porteranno mai a far vedere? che ne sarà della famiglia che ho costruito e perché devo pagare il mio debito dopo nove anni dall’accaduto? Perché proprio ora che ho dato un senso ed un valore alla mia vita, perché proprio ora che ho capito quanto ho sbagliato… tanti perché… tanta rassegnazione. La disperazione allo stato puro. Si dice che sia contronatura separare i genitori dai propri figli. Ecco, io ho sentito la violenza di tutto ciò su ogni millimetro della mia pelle e non so spiegare a fondo con le parole il dolore e la sofferenza per questo distacco!

In quei lunghi tre anni e tre mesi che sono stata in carcere, le mie bambine sono cresciute con il loro papà, il quale non è mai mancato ad un colloquio (salvo uno o due imprevisti dovuti a cause di forza maggiore) e che ha cercato di mantenere vivo il ricordo della mamma, non come una persona che si va a trovare quasi ogni settimana, ma come “LA MAMMA”, presenza indispensabile per ogni creatura della terra, una presenza che sarebbe tornata e che veniva inclusa in ogni discorso di progetti futuri. Per esempio: “Quando tornerà mamma si farà la camerina nuova, quando tornerà mamma ci farà la pizza fatta in casa”. Ha sempre parlato a loro di me come una presenza che c’è e ci sarà di nuovo anche fisicamente. Da parte loro ho avuto la certezza dell’amore, so che mi amano e mi hanno amata anche quando non c’ero, ma qualcosa in loro, almeno per adesso, si è fortemente “leso”. Hanno sofferto talmente tanto da “adeguare la realtà” a ciò che le faceva stare meglio e cercare di difendersi da essa. Un po’ è stata anche colpa di noi adulti che inizialmente avevamo “rattoppato” l’assenza dicendo che quello era un ospedale… ma anche nel momento in cui pian piano si è chiaramente manifestata la parola carcere, da parte loro c’è stata una reazione sconcertante, durissima, di isteria, una negazione assoluta “…perché mamma non è cattiva!”. Con l’aiuto di una psicologa per i minori si è cercato di capire cosa fare per tutelare le loro piccole menti, sentimenti ed emozioni… ma i bambini sono molto più “giudiziosi” di quanto non lo sia un adulto dopo anni di esperienza ed è grazie alla loro purezza d’animo e semplicità nel dire ciò che sentono che riescono a spiazzare le migliori menti!

Per tirare le somme, l’hanno vissuta male, continuando però a “maturare” e a sviluppare il loro percorso psicomotorio in maniera eccellente e gratificante per chi si è fatto in quattro per “proteggerle” dal mondo esterno, dalle critiche, da eventuali commenti umilianti che fortunatamente non ci sono stati o comunque le mie piccole non hanno recepito!

In tutto questo “cammino” c’è stato l’impegno costante di mio marito che ha saputo dare il meglio di sé, farle partecipare anche nei momenti di sconforto, di pianto, spiegando loro il perché e non dicendo “perché sono stanco”. È stato inevitabile vedere “babbo” soffrire, vederlo stanco o disperato e drammaticamente rassegnato ad ogni rigetto… perché ne ho avuti ben quattro prima di riuscire ad ottenere il beneficio della detenzione domiciliare.

 

I primi giorni a casa ero confusa, mi sentivo “inadeguata”

 

Il rientro a casa è stato bello… la mia avvocatessa credo abbia azzeccato il termine migliore che si potesse ricercare: “Un parto, sì, mi sembra di aver partorito, è una cosa meravigliosa”. Ecco, proprio così, io l’ho inteso come “un ritorno alla vita… o una rinascita” accanto a chi amo ed a chi mi ama, accanto a chi ha sofferto per tanti anni.

Per la mia famiglia d’origine sono stati dodici lunghi anni: dall’inizio di tutto, fino al 21 agosto 2008, data in cui mi hanno concesso la detenzione domiciliare speciale, ex articolo 47 quinquies, o meglio definita “la legge delle detenute madri”…

Per mio marito sono stati dieci anni, durante i quali mi ha sostenuta in tutta la mia angoscia, durante l’attesa con la spada di Damocle inesorabilmente puntata sulla testa!

I primi giorni a casa ero confusa, mi sentivo “inadeguata”, fuori luogo, come se stessi “usurpando” le abitudini che ormai i miei tre amori si erano creati “per sopravvivere più che potevano”. Piangevo notte e giorno, vedevo intorno a me un accampamento, tutto sottosopra, quando invece loro erano abituati all’ordine quotidiano, alla pulizia giornaliera, ad orari “umani” per consumare i pasti eccettera. Non mi sono disperata perché sono psicopatica ed ho l’ossessione delle pulizie, ma perché davvero mi è crollato il mondo addosso a sapere che in questi ultimi tre anni si sono dovuti “arrangiare alla meglio”… e non è umano. Loro tre non hanno commesso nessun reato, mio marito è il più onesto e preciso, scrupoloso cittadino che possa esistere… e le due bambine poi! E invece loro hanno pagato quasi come me!

Mi sono resa conto di quanto hanno sofferto le mie bambine e mio marito ed ho avuto delle giornate di profonda IPERSOFFERENZA, al limite della pura depressione, anche se mi sono rimboccata le maniche ed a loro di tutto ciò non è arrivato nulla… o meglio, non ho lasciato trapelare nulla prima di riprendermi definitivamente. Ho capito che sono sopravvissute, tra un aiuto di una nonna e l’altra che, povere donne oramai di una certa età, non potevano certo rimediare a tutto in due giorni di saltuaria permanenza in casa con loro tre, a volte ogni due mesi! Però in tutta questa disperante sopravvivenza c’è stato un sentimento di amore e reciproca attesa, che li ha aiutati ad occuparsi delle cose belle e sopperire dunque alle “necessità di cui quotidianamente si occupa una donna… si occupa la mamma”!

Comunque al mio ritorno la reazione è stata più o meno per tutti e quattro uguale. Un sospiro di sollievo! Le mie bambine avevano dei tic facciali piuttosto gravi ed accentuati: praticamente spariti! Mio marito è più sereno, riesce a fare tante cose e dedicarsi un pochino di tempo… se lo merita davvero tanto! Tutti e tre mi gironzolano intorno come le api con il miele, a tutt’oggi sembra sia il primo giorno che sono tornata. Mi riempiono di attenzioni, mi rendono partecipe a ciò che fanno, l’inizio della scuola è stato fantastico… beh, vi lascio immaginare. Io finalmente sto riuscendo a capire “DOVE SONO” e piano piano sto prendendo il ritmo di casa e non quello “inframurario” che mi era entrato nell’anima come un organo vitale aggiuntivo!

“Ci vorrà tanta pazienza… non sarà tutto rose e fiori…” queste sono state le parole della suora quando sono uscita dal carcere… e devo darle ragione! Le bambine “mi puniscono” molto spesso per la mia assenza, con una sottile, pungente ma spontanea frase che ricorre spesso “…perché quando tu ci hai lasciate sole con babbo…” che mettono sempre più spesso in tanti discorsi. Quasi sempre è una reazione ostile ai rimproveri che, come mamma, ho ripreso a fare loro ogni qual volta combinano marachelle che vanno corrette e va spiegato il perché non si fa una data cosa!

 

Credo che la legge delle mamme detenute sia un atto dovuto al bambino

 

Evito di sgridarle e far finire lì il rimprovero, voglio parlare con loro, aprire il confronto e dare spiegazioni dei “perché”. Sono brave, intelligenti, ed ascoltano volentieri i nostri discorsi, i miei e quelli di mio marito, ma quando sentono la necessità di dovermi ricordare che io non ci sono stata per tre anni e tre mesi, allora lì è tremendo… e per adesso è necessario che loro sfoghino tutto il loro risentimento e la rabbia per tutto ciò. È triste, tanto, la sera quando le metto a letto mi ritrovo spesso a piangere con mio marito, che mi sostiene sempre di più dicendomi che pian piano passerà anche questo! Credo sia un’arma di difesa, hanno ancora paura che io vada via e che i carabinieri mi portino “IN QUEL POSTO ANTIPATICO”… È così che descrivono il carcere!

Le rassicuro continuamente, spiegando che questo non accadrà se rispetterò tutto quello che mi è stato “chiesto” di fare… È un po’ difficile far capire loro “gli orari di uscita e rientro” ma va bene, sono davvero molto brave e pazienti… povere piccole, di più non si potrebbe pretendere, non dimentichiamo che hanno SOLO otto ANNI… ed affettivamente mancano all’appello tre anni della presenza materna! Loro ai compleanni, in oratorio, al parco giochi ci farebbero la firma pur di tenermi fuori casa!

Certamente se non fossi tornata a casa sarebbe stata una tragedia. Negli ultimi tempi manifestavano il dolore per la mancanza della mamma, con urla, tic facciali, aggressività e pianti notturni. Era comparsa la figura della “morte”. Mi ha raccontato mio marito, e l’ho constatato le prime due settimane del mio ritorno a casa io personalmente, che di notte si svegliavano spesso piangendo e dicendo: “IO NON VOGLIO CHE ANCHE TU MUORI”, rivolgendosi a mio marito, angosciate all’ennesima potenza… credo che i danni sarebbero stati tanti e gravi!

Purtroppo spiegare queste cose è difficile e se siamo noi mamme detenute a raccontarle è ancora peggio, potrebbe apparire un tentativo squallido di sfruttare la figura del bambino per i propri scopi, motivo per cui ho sempre evitato, durante i colloqui con gli operatori, di andare in certi particolari drammatici… le mie bambine sono mie, punto e basta! Mai avrei potuto utilizzare le loro figure come strumento di facile uscita dal carcere… credo che non ci sia bisogno di scendere in particolari drammatici davanti a persone che, per esperienza acquisita o perché anch’esse madri, sanno bene quanto sia indispensabile la figura materna per un bambino!

Ho pregato tanto affinché le mie figlie stessero bene, in salute e con “la mente” libera da paure e tormenti… ho pregato infinitamente affinché potessi tornare da loro prima possibile, prima che potesse accadere qualcosa da cui non si sarebbe riusciti a “fare ritorno”, sempre riferito alla loro crescita.

La loro mancanza in questi anni passati è stata lacerante. Ancora faccio incubi notturni dove sogno di essere lontana da loro, da mio marito, ed al risveglio provo quella sofferenza terribile che mi lascia senza fiato per ore! È lacerante il ricordo di tale sofferenza… ringrazio Dio, il mio avvocato e coloro che hanno voluto bene alle mie bambine… credo che la legge delle mamme detenute, oltre a dare un senso alla vita di una donna che ha sbagliato e che con la maternità può esprimere nel migliore dei modi il reinserimento nella società e l’impegno nel prendersi cura e responsabilità di una vita che cresce, sia un atto dovuto al bambino, il quale non può capire né sapere, specialmente nei primi anni della sua vita, quale o quanto sia grande il prezzo da pagare da parte della “sua mamma”! Il bambino esige la madre, esige la sua figura, la sua presenza… e purtroppo è una delle più severe leggi della natura. Per cui, più che un premio alla madre detenuta verso la quale è giusto e moralmente ineccepibile  dovere fare gli opportuni ed indispensabili accertamenti, e indicare il percorso che la stessa deve compiere, è un premio nei confronti di un bambino che deve crescere accanto ai genitori.

 

 

Perché nessun bambino varchi più le soglie di un carcere

 

Quanti sono i bambini di età inferiore a tre anni, che insieme alle loro madri vivono nelle carceri italiane, figli di donne detenute in attesa di giudizio o in esecuzione di pena? Dai dati del 5° Rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, a cura dell’associazione Antigone, sarebbero 2.385 le donne detenute, 68 le madri con figli in carcere e 70 i bambini di età inferiore ai tre anni reclusi con loro.

È stata la legge 40 del 2001, riguardante le misure alternative alla detenzione “a tutela del rapporto tra detenute e figli minori”, che porta il nome dell’allora Ministro per le Pari Opportunità Anna Finocchiaro, a dare la possibilità di evitare la detenzione in carcere a donne con figli minori di 10 anni. Tutte le detenute, anche se hanno commesso reati gravi, possono oggi usufruire del provvedimento, a condizione di aver scontato un terzo della pena e, nei casi di ergastolo, aver scontato almeno 15 anni. Per essere ammesse alle misure, non ci deve essere pericolo di commissione di ulteriori reati.

L’applicazione della legge Finocchiaro è risultata in questi anni difficile, soprattutto per le mamme straniere, e sono ancora troppi i bambini reclusi. A Milano, per permettere almeno alle donne, che non hanno la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare, di vivere la carcerazione con i loro bambini in modo più umano, è stata aperta una Casa famiglia, grazie alla disponibilità della Provincia.

L’impegno delle associazioni, che si occupano di madri e bambini detenuti (fra le quali una delle più attive è ARomainsieme), è volto a far sì che vengano apportate alcune modifiche alla legge Finocchiaro perché “nessun bambino varchi più le soglie di un carcere”.