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Filippini, i più "affidabili" tra gli immigrati, dicono
Ma è dura la vita in bilico tra legalità e illegalità, tra il lavoro nelle famiglie italiane e la voglia di far venire amici e parenti e magari, se possibile, di avere un po’ più di soldi
Di Baby, agosto 2000
Siamo cresciuti, io e due fratellini, in una piccola città delle Filippine. Non eravamo né ricchi né poveri. Dopo la scuola elementare, vado in una piccola città per frequentare la scuola superiore. Devo camminare tutte le mattine e le sere per due ore. Essendo una brava ragazza, ho sempre voti alti, così in breve tempo ottengo il diploma. Mia zia viene da noi per convincere mio padre a lasciarmi studiare ed abitare con lei a Manila. Lei è ricca e possiede una bella casa. Io vorrei diventare infermiera, ma comincio gli studi per diventare insegnante perché tale è il desiderio di mio padre. Faccio una bella vita: mia zia è gentile e mi fa fare tutto quello che voglio. Dopo un po’ di tempo così comincio a marinare spesso la scuola per andare al cinema o fuori città con amici. Al terzo anno conosco un ragazzo molto bello, John, con cui poi mi sposo senza informare mio padre. Mio marito fin dall’inizio lo vedo però pochissimo: è membro di un club dove sta tutti i giorni per ritornare a casa quando gli pare. Mi dà solamente pochi soldi per vivere e devo chiedere spesso aiuto a mio padre per mantenere i bambini. Quando mi ritrovo incinta per la quarta volta, scopro che John ha un’amica. Vivere con lui diventa insopportabile. Lavoro al mercato in un banco di pesce come commessa ma non guadagno soldi sufficienti a mantenermi. John viene a casa sempre più ubriaco, litigi infiniti e botte davanti ai bambini. All’improvviso arriva un invito dal padre di John di andare in America. Sono felicissima perché penso che così mio marito può lavorare lì e guadagnare per i nostri bambini. John parte. E’ difficile stare da sola con quattro figli. Lavoro sodo, per quattro mesi non ho notizie di lui. Dopo un po’ di tempo, tuttavia, comincia a spedirmi 25 dollari tutti i mesi. Dopo un anno ritorna a casa per passare le ferie, ma ritorna soprattutto per vedere la sua amica. Sono arrabbiata ma faccio finta di niente, fino al momento in cui comincia a chiedermi soldi. Litighiamo come prima. Dopo un mese ritorna in America. Di sorpresa ricevo un permesso dall’ambasciata americana per andare con tutta la famiglia in America. L’unica cosa che mi manca è la certificazione del suo lavoro. Lui mi telefona ed io gliela chiedo. Ma dice che non vuole che lo raggiungiamo. Piango tanto, poi telefono a mia cognata, anche lei in America. M’informa che lui vive con un’altra donna. Sono al culmine della disperazione. Ritorno con i bambini dai miei genitori. Cerco d’essere forte, ma mia madre mi rinfaccia in continuazione i miei errori e questo mi deprime molto. Per fortuna mio padre mi aiuta a riprendere gli studi nella scuola dove lavora come sorvegliante. Mi dà appoggio morale. Passo l’esame e l’anno successivo comincio a insegnare. Gli anni passano: due figli sono all’università e gli altri due alla scuola superiore. Le spese diventano più alte. Non voglio chiedere nulla a mio marito, il loro padre, che in ogni modo, non dà segno di vita. Arriva mia cugina dalla Giordania, dove lavora a contratto e mi chiede se mi piacerebbe lavorare all’estero. Non ci penso nemmeno un minuto, è la risposta ad un vecchio sogno: andarmene via. Felice arrivo in Giordania, con mia cugina che mi aspetta all’aeroporto. Mi porta nella casa dove lavorerò per due anni. Una donna filippina, che lavora lì, mi spiega tutto e capisco subito che il lavoro, dalle sei della mattina a mezzanotte, non sarà facile. Per colazione possiamo prendere solamente caffè. Il pranzo si fa alle tre e la cena alle undici. Devo adattarmi. Nascondo carote e cetrioli in tasca. Dopo due mesi voglio ritornare a casa, ma c’è il contratto che mi trattiene. La mia padrona è una donna crudele che inveisce contro di noi per niente. Devo prendermi cura dei suoi bambini che sono molto villani: mi buttano acqua in faccia quando faccio loro il bagno, mi maltrattano quando li porto a scuola. Non posso imporre la mia autorità e la madre grida che sono stupida. Odio queste parole. Un giorno mi vuole picchiare anche con una sedia. Chiedo il mio passaporto, ma risponde: "Non ti lascio andare, ti seppellisco a vita in questo paese". Un giorno, di fronte alla scuola dei bambini, una signora mi chiede se sono filippina e comincia a darmi dei consigli: "Conosco bene la famiglia dove lavori. Non puoi essere contenta di quella casa. Se riesci a starci ancora un po’, meglio, ma se vuoi fuggire, ti aiuto". Vado da lei e mi nascondo in casa sua. Zaida, la mia nuova amica, mi porta dalla polizia ed in sole due ore riesco ad avere indietro il mio passaporto. Vado via con lei. Trovo lavoro con il suo aiuto e, per la prima volta, ho del tempo libero per andare fuori con gli amici.
Guadagnare di più si può: basta mettere in piedi "un’agenzia di collocamento" per i propri compaesani Faccio conoscenza con Nazer, un giordano sposato con una filippina. Mi spiega che posso guadagnare parecchi soldi facendo venire gente dalle Filippine a lavorare. Faccio venire tre cugine e guadagno cinquanta dollari a persona. La mia amica mi consiglia di andare in un altro paese dove potrei guadagnare di più, e dove potrei vivere anche meglio. Mi racconta di sua sorella in Australia. Rispondo che l’Europa mi attrae di più. Mi dice allora che ha una figlia che vive in Italia. Con l’aiuto di suo marito riesco ad avere un visto e subito dopo prendo un volo per l’Italia. Arrivo a Roma decisa a superare tutte le difficoltà che s’incontrano in un paese dove non si conosce nessuno e nessuno parla la tua lingua. Da una persona di colore riesco a conoscere il luogo dove i filippini si radunano tutte le domeniche. Parlando con alcune donne del mio paese, vengo a sapere che forse mi converrebbe andare a Milano dove potrei trovare più facilmente casa e lavoro. Telefono a Zaida in Giordania, le spiego che ho deciso di andare a Milano e le chiedo di mettermi in contatto con sua figlia Nancy. Non ho mai visto una città come questa. Nel nostro paese e in Giordania non esiste la metropolitana. Sono impressionata. Nancy mi spiega come funziona l’autobus e il giorno dopo vado da sola al Duomo, dove lei mi ha detto che posso trovare tanti filippini. Trovo lavoro da una signora italiana, le tengo in ordine la casa con la speranza che tutto vada bene e comunichiamo a gesti. Guadagno 800.000 lire al mese e per di più trovo lavoro per il week-end. Il primo mese riesco a spedire più di un milione a casa, che è tanto per il mio paese. Dopo trovo anche un lavoro alla sera: pulisco uffici. Adesso posso mettere da parte una bella somma, e riesco a far venire mia figlia e mio figlio con l’aiuto di un amico che ha un’agenzia filippina per portare la gente in Italia. I miei figli così entrano in Svizzera e poi vengono da me a Milano. Ho speso tanti soldi per farli venire ma ne è valsa la pena perché anche loro trovano subito un lavoro tipo il mio. Poi una per una faccio venire tre cugine sempre passando per la Svizzera, e dopo ancora altre due, ma questa volta via Ungheria. Passata la frontiera sono fermate e imprigionate per due mesi. Vado a trovarle in prigione in Ungheria e mi danno il numero di telefono di Stefano, l’uomo che doveva portarle in Italia. Parlo con questo Stefano, ma mi dice che non c’è niente da fare. Con Stefano, che ha la solita agenzia illegale per portare gente in paesi europei, all’inizio comincio a lavorare soprattutto per portare altri parenti in Italia. Poi il lavoro si allarga… Devo andare in Malesia per far fare i visti per la gente che voglia venire in Italia. Stefano ha tutti i contatti giusti in Europa, soprattutto in Ungheria, ed io lavoro nelle Filippine ed in Malesia per fare venire la gente. Per questo lavoro, chiediamo la metà del pagamento in anticipo prima di partire ed il resto in Italia. Nel frattempo, continuo anche il mio lavoro legale di collaboratrice domestica. Anche una delle mie figlie, che è rimasta nelle Filippine, collabora nella nostra organizzazione. Quando arriva gente devo trovare il tempo di accogliere i nuovi arrivati. Mia figlia lavora bene e riesce ad avere i visti per l’Ungheria o la Cecoslovacchia. Alla fine l’organizzazione dei viaggi diventa davvero impegnativa e devo smettere il mio lavoro "legale". Mi piace viaggiare piena di comfort in tutta Europa: in Norvegia, in Francia, in Germania, in Olanda. Mi sento grandiosa, una donna rinata. Sono consapevole di fare qualcosa di illegale, che forse un giorno potrà portarmi in carcere. Anche mia figlia dice che ha paura per me e che la devo smettere. Ma mi sento così piena di me che non sto molto attenta a quello che faccio. Il mio primo pensiero è: guadagno tanti soldi; il secondo è: aiuto i miei amici filippini ad arrivare in Italia, dove possono trovare lavoro e guadagnare per la loro famiglia. In Italia i miei connazionali possono guadagnare più soldi rispetto al loro paese, fanno lavori semplici come i collaboratori familiari. Quando ritornano nel nostro paese possono costruirsi finalmente una casa in muratura e lasciare le baracche dove sono vissuti con la loro famiglia, ma, più importante di tutto, è che possono mandare i bambini in scuole buone… Sfortunatamente troppi filippini aprono agenzie di questo tipo e molta gente è arrestata e comincia a parlare e, una sera, quando arrivo a casa, è la polizia che mi apre la porta.
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