Un’ordinaria giornata... di carcere

 

Quinta puntata: la sera è pericolosa qui in carcere, se non presti attenzione nostalgia, rimpianti e rimorsi ti soffocano

 

Di Tiziano Fabbian, dicembre 1999

 

Tiziano ha raccontato a puntate la vita quotidiana in carcere, usando soprattutto l’arma dell’ironia. Insomma, qualche volta è vero che l’ironia "ti salva la vita", in carcere non te la salverà, ma almeno te la renderà un po’, solo un po’, meno pesante.

 

- Dove devo andare, Agente? - Non saprei, mi risponde, m’hanno solo detto di farla scendere alla Rotonda 2.

- Va bene, un attimo che mi metto le scarpe… G., tu stai qui, fai come fossi… a casa tua. Torno subito.

"Rotonda 2", certo deve aver avuto una bella fantasia la persona che così l’ha denominata.

Si tratta di un corridoio interno, sul quale si affacciano, da un lato e dall’altro, limitati da impressionanti cancellate a sbarre, gli atri delle scale che portano ai vari piani dell’edificio dove sono ubicate le celle. Proseguendo lungo questo corridoio si trova la porta del casellario, il magazzino del carcere, sulla destra il cancello che porta alle cucine, sulla sinistra, quello che porta all’area culturale, dove ci sono le aule nelle quali si svolgono le attività scolastiche e culturali.

Quindi, "rotonda 2", si presenta come un perfetto parallelepipedo, con i sui begli angoli a 90 gradi ed è illuminato dalle sue belle finestre, non ad oblò, ma parallelepipede, eppure, perché ti aprano il cancello, devi chiamare, a voce alta: "Rotonda 2!", come sto facendo ora io.

- Dove deve andare?, s’informa l’Agente.

- Non saprei… sono F., m’hanno detto di scendere.

- F., sì, l’hanno chiamata al casellario, dice, aprendomi il cancello. Attraverso il "parallelepipedo 2".

- Buona sera, sono F., m’avete chiamato?

- Buona sera, sono arrivate le scarpe da ginnastica che aveva ordinato, mi dice l’Agente responsabile, indicandomele sul bancone… costano 99.000 lire. Firmi per ricevuta dietro la domandina.

- Un attimo, che provo se vanno bene. Mmm, si, vanno… belle, no!?

- Sì, una bella scarpa.

Firmo la ricevuta, saluto ed esco. Rifaccio con andatura veloce i cinque piani di scale e, al cancello, chiamo ad alta voce "Terminale!", dando fondo all’ultimo fiato rimastomi.

"Terminale". Dev’essere questo un parto dello stesso "genio" di "Rotonda 2".

L’Agente mi apre il cancello e, prima che chieda lui, "casellario", gli dico, "scarpe nuove… belle…

- Dure le scale!?, mi fa, sorridendo.

- Vecchiaia, rispondo, e rientro in cella.

- Embè?, mi fa G. Mi siedo e gli passo il sacchetto con le scarpe.

- Casellario?, dice, tirandole fuori dal sacchetto… belle! …care?

Scuoto la testa. accendo una sigaretta, niente di meglio quando i bronchi sono ben aperti. "99.000", gli dico, mentre mi passa un bicchiere di tè, "pensiamo a te, non alle scarpe: a soldi, come stai? Hai bisogno di qualche cosa?".

- No, sono a posto, dice, questa volta non me li hanno sequestrati… è andata bene. Poi, quando li finirò, ci saranno quelli rimasti fuori che si occuperanno di me.

- Come no? , replico io, lo sai che ti mandano i soldi e ti pagano l’avvocato fino a quando, fatto il processo, t’hanno condannato e non hanno più paura tu faccia il loro nome, poi… ognuno per la sua strada, tu in galera, e loro fuori.

- Non tutti si comportano in questo modo, c’è gente seria anche in questo ambiente, e lo sai anche tu.

- Sì, lo so, e spero tu abbia trovato di queste persone. Sai quali sono i miei mezzi, quindi, se non hai bisogno di qualcosa, vieni pure da me.

- Coglione, mi dice, e ridiamo.

Mentre preparo qualcosa per cena, mi parla di chi ha visto fuori, di quello che ha sentito e di come stanno le cose "nell’ambiente". Esaurito questo argomento, passiamo ai suoi progetti per impiegare quel paradosso del "tempo libero", che in carcere certo non manca. Pensa d’iscriversi a qualche corso scolastico, di occuparsi di qualsiasi attività che lo impegni in altro che non sia il poter pensare troppo a dove si trova e per quanto tempo dovrà rimanerci.

Dopo cena, tra una sigaretta e una tazza di caffè, lo metto al corrente delle ultime novità riguardanti la vita in Istituto, poi, chi c’è ancora e chi è uscito di quelli che anche lui conosce. Così tiriamo le 20, ed ha termine il periodo riservato alla "socialità".

G. se n’è tornato nella sua cella; l’Agente ha appena provveduto, come da regolamento, a chiudere per bene la mia, cancello e porta blindata, ed eccomi qua, rinchiuso in un cubo di cemento, solo con i miei pensieri, fino a domani mattina. Che ne dici se ci beviamo un buon tè?, mi dico mettendo per l’ennesima volta il bricco sul fornelletto. Mi piace diventare interlocutore di me stesso, allevia il senso di solitudine e poi, questo "sdoppiamento" impedisce ai pensieri, più di qualcuno che li raccolga, di rimbalzare, inutili, sui muri lisci di cemento della cella.

È già così angusta, mancherebbe solo che delle ideali palle colorate ci rimbalzassero dentro... accendo una sigaretta e il televisore, sempre d’accordo con me stesso, è bella la compagnia di un altro (?) con i gusti identici ai tuoi e che per qualsiasi cosa, usuale, gli proponga, sia sempre d’accordo.

Ma non è sempre così, nelle cose importanti il confronto diventa una lite; non posso mentirgli per pigrizia o per autogiustificazione, mi scopre sempre e non me ne fa passare una; in più, non è possibile ignorarlo.

Il telegiornale: identico a quello di questa mattina e del pomeriggio, come notizie, solamente un po’ più rimpinguate. La solita giornalista, che interpreta e commenta con l’espressione del volto le notizie che man mano ci propina.

Uso di proposito questo termine perché non si sa mai con sicurezza quanto ci sia di vero e quanto d’inventato per ogni servizio giornalistico che ci viene proposto. Si smentiscono da un giorno all’altro e senza sentire il bisogno di fare rettifiche o dare spiegazioni. E la gente accetta passiva; vive in quella verità virtuale più consona ai propri bisogni emotivi.

Bisogni istituzionali? TG1; di consapevolezza? TG2; bisogni sessantottini? TG3; di realtà spettacolo? TG5; bisogni fisiologici? TG4.

Il telegiornale sta per finire, velocemente mi sintonizzo su Canale 5 per seguire le previsioni del tempo per domani. Non che c’azzecchino più degli altri, del resto non abbiamo problemi di ferie al mare rovinate dal brutto tempo, qui dentro, ma le seguo per l’omino che le ‘tenta’.

Bellino, tutto compìto nell’immancabile abitino marrone, fuso nello sfondo come un personaggio da video games; con un bel paio di baffi e un berretto rosso, identico a Super Mario e così me lo figuro mentre, balzando di nuvoletta in nuvoletta, apre e chiude rubinetti della pioggia, secondo le previsioni meteorologiche.

Anch’io, come tutti, ho le mie fantasie ‘innocenti’.

- Matricola. Medico?, chiede l’Agente, affacciandosi allo spioncino.

- No, grazie, gli rispondo, non avendo istanze da presentare e, ringraziando Dio, la salute "sana".

Vediamo che c’è da vedere in TV questa sera un paio di film… ma stravisti… un programma a quiz... niente che mi vada di vedere. Metto M TV a basso volume, per un po’ di musica.

Scrivere, ho scritto; leggere, non ne ho voglia; che faccio?

Farei volentieri una passeggiata in "centro", ma non è prevista dal Regolamento Penitenziario... come valida alternativa, metto a scaldare l’acqua per lavare i piatti. Aspettando, mi appoggio alle sbarre della finestra e "sento" fuori, sì!, perché da guardare non c’è niente, ma appena cala la sera, come ad un segnale, ci si inizia a chiamare da un piano all’altro, e tutti ad urlare alla finestra, cercando di comunicare con chi non si vede. Ogni tanto si sente qualche voce di protesta per il chiasso, subito seguita da una serie d’insulti al suo indirizzo, più per dovere che per convinzione. Anche questo, è carcere!

L’acqua è oramai calda. Mi infilo un paio di guanti in gomma ed inizio a lavare meticolosamente pentole e piatti, non perché necessitino di un simile trattamento, ma per passare il tempo. Mi vedesse mia madre, penso, "che bravo ometto", direbbe lei, per la quale il cordone ombelicale non è mai stato reciso. M’invade un sentimento di tenerezza e di rimorso per quanto le ho fatto passare.

Cosa facciamo adesso?, mi chiedo, per sviare il pensiero da lei. La sera è pericolosa qui in carcere, se non presti attenzione nostalgia, rimpianti e rimorsi, come vampiri, ti zompano addosso e ti soffocano.

La notte è pericolosa, qui in carcere, quando sei solo con i ricordi e la coscienza.

M’accendo una sigaretta e afferro il primo libro a portata di mano. Letture leggere questa sera, penso considerando il titolo Genealogia della morale di Nietzsche. Sono arrivato al secondo saggio. "colpa", "cattiva coscienza", e simili argomenti consoni.Ho sottolineato una frase: "Se la forza e l’autocontrollo di una comunità crescono, anche il diritto penale si addolcisce: ogni indebolimento e ogni più profondo stato di pericolo porta alla luce forme più dure di questo". Ma allora, si creavano le "emergenze" anche 100 anni fa, non sono un’invenzione dei moderni politici per distogliere l’attenzione pubblica dalle porcherie che loro combinano, e la gente comune continua a cascarci, penso: e questo significa anche che il modo nel quale si viene trattati in carcere, il fatto di essere considerati esseri (o sub-) umani, il fatto che i benefici vengono applicati o meno, rispecchia il grado di forza e di autocontrollo della società fuori dalla quale viviamo.

Ogni famiglia italiana dovrebbe, accanto al barometro ed al termometro, appendere alla parete un detenuto, come indicatore di benessere o di crisi sociale. Su questo pensiero, visto il tipo di pensiero, decido che è giunta l’ora di mettermi a letto. Mi svesto, mi lavo, poi, prima di infilarmi sotto le coperte, decido di rimettere il Gled nella stessa posizione di ieri sera, chissà… Christine potrebbe decidere di venire a passeggiare nel bosco con me, anche questa notte, per la nostra "ora dell’affettività".

 

Fine