Carcere ad effetto serra...

 

Ovvero: primo permesso a Festambiente

 

Di Tiziano Fabbian, ottobre 1998

 

Dopo quasi sei anni, trascorsi in carcere, grazie ad un permesso premio giornaliero ho potuto lasciare l’istituto per recarmi alla manifestazione promossa da "Legambiente" e tenutasi nell’area dell’ex macello di Padova. Premetto che sto scrivendo di questo parecchi giorni dopo che è accaduto, il tempo necessario affinché la ridda di sensazioni terminasse e potessi tentare una prima analisi di questa esperienza. Posso dire che non è stata un’esperienza facile, ne sul piano fisico ne su quello emozionale.

Cosa ci si aspetta faccia una persona che dopo tanti anni vede aprire davanti a se le porte del carcere? Che si prostri a terra e baci il suolo; che allargando le braccia al cielo, quasi a volerlo contenere tutto, si riappropri dello spazio che per tanto tempo gli è stato precluso, che lanci un suo grido al mondo, come a voler dire: "eccomi sono nuovamente in te!".

Per quanto mi ricordo, non ho fatto nessuna delle cose sopra descritte, non ho provato nessuna emozione, non ne ero in grado, dato lo stato di rimbambimento nel quale mi trovavo. Avevo l’impressione d’essere stato "spento" nella reattività e vi assicuro, non è piacevole. A livello di sensi sono stato subito colpito dall’odore acre dei gas di scarico emessi dalle auto, odore al quale non ero più abituato, che mi ha procurato una bella emicrania, fortunatamente scomparsa dopo una rapida assuefazione.

Durante il tragitto percorso in auto per la strada trafficata guardavo sorpreso il gran movimento di automezzi e di persone che si spostavano velocemente, affaccendate, guardavo i negozi, le edicole dei giornali, i semafori, i motorini che si affiancavano, la città.

 

"Il mondo esiste ancora!"

Sembra un pensiero stupido per chi non ha visto per anni ed anni, dalla finestra sbarrata della sua cella, che un unico scorcio lontano d’autostrada con pochi mezzi che la percorrono, punti di colore sul nastro grigio ed arriva al punto di pensare che stiano proiettando a ciclo continuo sempre lo stesso filmato senza sonoro.

Ma allora, è da capire chi sembra osservare il mondo come un sopravvissuto del "day after", il quale sta scoprendo che qualcun altro continua a vivere, oltre la desolazione.

Tra pensieri di questo tipo, siamo arrivati al luogo nel quale si teneva la manifestazione.

Tutto verde, alberi, arbusti e cespugli, sentieri sterrati che girano attorno ad un enorme capannone, l’ex macello, contenente i vari stand, tra i quali il nostro di "Ristretti Orizzonti".

Un’aria di sonnolenta attesa su tutto, sono le 15.30 e il sole picchia ancora, c’è poca gente sfaccendata. Da parte mia osservo, mi abbevero di tutto e… riconosco le cose. Gli alberi dalla corteccia rugosa, gli ampi cappelli di foglie, come mi sono mancati; i giardini di pietra grigia, non di cemento; i portoni di legno, non di ferro; i vetri alle finestre senza sbarre, le ombre delle cose frammiste alla luce, un tappo di bibita affiorante sul terreno, un coccio di vetro verde…

Andiamo a visitare l’area, mi dicono, e mi avvio sul sentiero di terra battuta, inizio a sbandare; come un’auto con la ruota sbilanciata "tiro tutto a sinistra"; che sia un affioramento del retaggio progressista?

Penso, e per darci un contegno metto un braccio sulle spalle di Nabil, dicendogli di proseguire come niente fosse perché se non mi "aggrappo" a lui, le mie gambe prenderanno la scorciatoia che mi porterà, inopportunamente, a fare il bagno nel corso d’acqua che pigro passa lì vicino, "non preoccuparti fratello, è successo anche a me, la prima volta che sono uscito", mi dice, Nabil solo dopo un certo lasso di tempo il cervelletto riprende il controllo, la postura ritorna eretta, quella tipica dell’essere umano.

E qui penso alle varie persone che mi hanno detto che la prima volta che esci hai l’impressione che tutti guardino te, alla luce di questa esperienza non m’è difficile crederlo.

Chi non guarderebbe un tizio che deambula con aria stranita, "tirando tutto a sinistra", e si ferma a toccare con aria beata il tronco di un albero, che si china su un coccio di vetro e soprattutto che possiede un colorito, tipo "bianco - medusa"?

"Candido", mi ha definito una "straordinaria" ragazza lì presente; "candido" non in senso volteriano, presumo, dal momento che non ho avvertito alcuna inflessione francese nella sua pronuncia. Quindi, chi non si volterebbe ad osservare con curiosità una persona così?

Aggiungete a tutto questo l’incessante strizza mento delle palpebre, dato dal fatto che non riuscivo a mettere a fuoco rapidamente persone e cose. Questo è quanto mi ha causato il maggior disagio fisico, poiché dovevo fissare continuamente lo sguardo sul terreno a pochi metri di distanza.

In una successiva occasione la sempre "simpaticissima" ragazza mi ha chiesto come fosse la percezione dello spazio; "tutto mio e non sempre nel modo appropriato", avrei senz’altro potuto rispondere.

Questo per quanto riguarda l’esperienza "fisica", e quella emozionale? STUPORE! C’è stata l’intervista per il telegiornale su "Ristretti Orizzonti", la registrazione per la TV di un dibattito sulla nuova legge Saraceni-Simeone, e nuovamente una presentazione della nostra rivista. Sono intervenute tante persone importanti

della vita pubblica e tante altre, egualmente importanti, sono venute allo stand. Tutte ci hanno manifestato calore, simpatia, complimenti per quanto eravamo riusciti a realizzare, incoraggiamento, disponibilità… STUPORE!

 

"Come…, pensavo, "Signori, forse dimenticate che sono un detenuto, per qualcuno un malvivente?"

Non avverto astio nei miei confronti e in quelli delle persone nelle mie condizioni, non mi evitate, vi stringete a me, stringete la mia mano, ci complimentate per il nostro giornale, ci intervistate, ci incoraggiate, ci invitate, ci mettete a disposizione, ci ospitate e date spazio alle nostre istanze..." Confusione!

"Questo non è un semplice giornale, è un miracolo", ho detto durante la presentazione, e l’avete capito anche voi. Questo "miracolo" ha fatto sì che la gente come voi, e le autorità, come voi, ci vedessero anche per quanto di buono possiamo e vogliamo fare quando troviamo qualcuno che crede in noi.

Questo "miracolo" ha fatto capire a me, e spero a tutti gli altri, che il carcere in se stesso non è un deterrente al comportamento deviante, il vero deterrente è la vostra disponibilità, di voi che vivete "fuori", l’incoraggiare uno scopo socialmente utile in chi uno scopo non l’ha ancora trovato e butta via se stesso in tanto squallore, vero deterrente è il sentirsi considerato, il sentirsi utile, non l’emarginazione.

Grande è stata la vostra parte ed il vostro merito in questo "miracolo", continuate, continuiamo insieme, facciamo in modo che più persone ne vengano toccate.

 

*Serra: Ambiente chiuso, di solito protetto da grandi vetrate... ove si coltivano piante in condizioni climatiche particolari. Ho paragonato il carcere ad una serra, protetta da grandi inferriate ed alte mura, analoga come ambiente. Anche nel carcere si coltivano sentimenti in condizioni emotive particolari, anche in questa "palude" di passati comportamenti devianti possono nascere orchidee, profumate.