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In permesso dopo aver "compiuto" 18 anni di galera
Di Tiziano Fabbian, febbraio 2000
Accidenti, ho pensato, se io, dopo "soli" sei anni di carcere, uscendo in permesso per la prima volta non riuscivo a camminare diritto, ma sbandavo tutto a sinistra, A.R., membro "virtuale" (l’ha detto Fini) dell’esclusivo club "Fine pena: mai", uscendo in permesso, per la prima volta dopo 18 anni di "gabbia", sicuramente si sarà trovato a girare su se stesso come una trottola; e se, da parte mia, mi sono limitato a toccare, con espressione beata, la corteccia rugosa di un albero, sicuramente per la fame di "verde" che prende tutti noi, qui nel cemento, A.R. avrà iniziato a rosicchiare come un castoro il fusto del primo albero capitatogli a tiro; e se… Finiti i "se", saputo che era rientrato dal permesso l’ho chiamato subito in socialità, in modo d’avere l’occasione di intervistarlo "a caldo" e risolvere così, i miei condizionali, con un indicativo. - Racconta, come è stato?, gli ho subito chiesto, pronto a lasciarmi sommergere da una valanga di emozioni-ricordo, e invece… - Normale!, ha risposto, raffreddando la mia attesa. M’è bastato incrociare il suo sguardo per capire che quello che stava seduto sul mio letto (di giorno ci fa da divano) era solo il corpo di A.R., la sua mente non era ancora rientrata dal permesso, stava fuori, a casa, con i suoi affetti. E allora, addio impressioni a caldo, mi son detto, decidendo di rinviare di alcuni giorni l’intervista per dare il tempo alla sua anima di ricongiungersi con il resto. Così, per qualche giorno, mi sono limitato a cercare nei suoi occhi un segno dell’avvenuta riunione, senza più affrontare la questione. Dopo un paio di giorni ho notato che, contrariamente a quanto aveva fatto dal suo rientro in carcere, ora iniziava a parlare dell’esperienza premiale al passato e non più al presente come fosse in corso, e lì ho capito che ora l’intervista si sarebbe potuta fare, accontentandosi di registrare le sue impressioni… a tiepido.
L’intervista - Bene, parti dall’inizio e raccontami tutto!, l’ho assalito, armato di penna e taccuino. - Devo partire dal mio concepimento o passiamo direttamente al complesso di Edipo?, m’ha chiesto. - Fan’culo, gli ho risposto, con questo tuo atteggiamento non contribuirai certo a farmi vincere il premio Pulitzer, quindi, fai meno dello spirito e raccontami tutto ciò che ritieni interessante, anche per chi leggerà questa intervista. - Ma a chi vuoi che interessi la mia uscita in permesso premio? E poi, avete già pubblicato racconti su quest’esperienza…: cambiano i personaggi, cambiano i tempi e i luoghi, ma, in definitiva c’è sempre una persona che esce dal carcere e qualcuno che, all’esterno, lo sta aspettando. Storie diverse che diventano uguali, nel racconto; sono uscito - ho incontrato i miei affetti - sono rientrato: questo è il leit-motiv… - Guarda che nel nostro giornale non abbiamo mai messo in primo piano il racconto di come s’è svolto un permesso premio; l’aspetto che abbiamo evidenziato è come la persona ha vissuto emotivamente questa esperienza: anche se detenuta, è persona, individuo con le sue particolari emozioni, sentimenti particolari e particolare modo d’interpretarli e quando, dopo anni, può "uscire", non vive "l’esperienza" del permesso premio, ma la "sua" particolare esperienza ed è questo che rende il racconto diverso da altri simili e sempre nuovo. - Ma non capisco ancora l’utilità… - Accidenti, sei il primo "intervistato" che trovo a fare tante domande… - Gli altri, invece, che fanno? - E che ne so, sei il primo che intervisto (e anche l’ultimo, per quanto mi riguarda)… tu li leggi i giornali, vero? La guardi la televisione? E allora: un detenuto non rientra dal permesso… tutti i detenuti sono inaffidabili! Un altro commette un reato essendo agli arresti domiciliari… tutti i detenuti lo farebbero, perché… sono tutti uguali! Non capisci? Chi per vantaggi elettorali, chi per incompetenza, chi per tornaconto economico, ha tutto l’interesse ad alimentare la convinzione che tutti siano usciti dallo stesso stampo, merce avariata da buttare, non da recuperare. E, in questo, noi con il nostro giornale cerchiamo di andare controcorrente, dando voce anche a quelli come te, che per il comportamento corretto, notizia non la fanno, questo pur essendo rientrato da un permesso ottenuto dopo 18 anni di carcere, e fa in modo che qualcuno inizi a chiedersi: quanto può essergli costato rientrare in carcere? E allora, cosa l’avrà spinto a rientrare? E, dalle domande, alle considerazioni che non possano portare a credere che siamo tutti uguali... basta con ‘sto comizio e tu smetti di fare domande, che l’intervistatore lo faccio io; non mi pagano apposta per questo. Ora, vai con lo scoop e… solo cose interessanti, ok? E lui, di cose interessanti deve averne dette tante, ma io, contrariamente all’intenzione, già alle prime sue parole mi sono fermato, perso nella considerazione di quanto m’aveva appena detto, e non l’ho più ascoltato. Questo il suo inizio… - Quando, nel corso dell’ultimo colloquio, il Magistrato di Sorveglianza m’ha detto che aveva acquisito fiducia in me e, per questo, avrebbe dato seguito alla mia richiesta di permesso premio, accettandola, ho fatto una promessa: "Non avrà motivo di pentirsene!", gli ho detto. Ecco le parole che mi hanno mandato in trance: "fiducia" e "promessa".
Quell’asilo nido per adulti chiamato carcere Di fatto, la prima cosa che ti viene tolta quando commetti un reato è la fiducia, non sei più credibile. Contravvenendo alle norme che regolano il vivere sociale, hai dimostrato mancanza di responsabilità morale e ciò significa che, su di te, non si può fare affidamento. Ne consegue una declassificazione, per deficienza d’apprendimento, da adulto a bambino, quindi, come tale d’ora in poi verrai trattato. Ritornerai in quell’asilo nido per adulti chiamato carcere e lì, ci sarà chi deciderà per te, ciò che puoi mangiare, ciò che puoi vedere o leggere, ciò che potrai indossare. Deciderà dove potrai andare, quando e quanto ti potrai lavare, quanto e come potrai camminare. Deciderà chi potrai vedere, quanto e come gli potrai parlare; inoltre quando sarai ammalato e, se lo sarai, quale è la tua malattia. Deciderà quando e dove dovrai parlare, quanto e come potrai pensare. Come un bambino, dovrai chiamare perché ti accendano la luce o ti aprano la porta (un posto così, noi che la dignità l’abbiamo perduta ma la possiamo ritrovare, la chiamiamo "galera", chi invece la dignità se l’è venduta, lo chiama Grand Hotel). Tutto questo si deciderà per te, e il suo contrario. Quindi, una dichiarazione di restituita-fiducia-in prova, da parte dei dirigenti penitenziari, equivarrà al riconoscimento, in prova, di una ritrovata maturità e, di conseguenza, la restituzione, s’intende in prova, della dignità di persona che avevi perduto. Attribuzione di responsabilità: puoi nuovamente "promettere", impegnare te stesso, il tuo comportamento, mediante la tua parola ed essere creduto (in prova). Riappropriarti di un futuro: tu che hai cercato di vivere giorno per giorno, perché non sei stato padrone del tuo domani, da quando sei entrato in carcere. C’è stato un filosofo, che ha visto nell’essere messo in condizione di far promesse la causa di tutti i mali per l’uomo; un altro, antecedente, ha individuato la causa dell’angoscia nella possibilità di operare scelte; avessero provato il carcere probabilmente non avrebbero perso tempo nella formulazione di simili concetti, e… - Allora, ti è sembrato abbastanza interessante il racconto? - Cosa?… sì, sì… - Non mi sembri molto entusiasta… te l’avevo detto, a chi potrà mai interessare il racconto di un detenuto in permesso premio!? - Già, a chi?
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