Racconti di socialità - Terza puntata

 

“Ero preoccupato per la reazione  dei miei genitori  nel venire a sapere che avevo rubato e ora mi trovavo al minorile. Se avessi avuto i miei abiti, sarei scappato subito”.

 

“Come t’ho detto cumpà, dopo essersi convinti che ero veramente minorenne, da San Vittore m’hanno portato al Beccaria”. “Tipo prigione anche quello?”, chiedo mettendo una pentola lavata nel lavandino, “Macchè!! Un edificio piuttosto lungo, a quattro piani  e con le finestre ….senza sbarre”, dice, ricordando beato.  “E’ la prima cosa che hai notato”. “Certo cumpà, ma in quel particolare momento non certo per il motivo al quale stai pensando; in seguito sì, ma allora ancora no, non pensavo a scappare”. “E allora ....?”. “Vedi fratello mio, dopo l’esperienza di S. Vittore ....lì le sbarre e i cancelli ....sembrava mi fossero state impresse direttamente sugli occhi e nell’anima; le vedevo dappertutto ed ero arrivato a pensare che non sarei stato  più capace di cancellarle”. Bei ricordi per un quattordicenne, penso, e mi pento d’averlo prima preso in  giro riguardo all’età alla quale è finito in galera la prima volta; lui continua: “....dall’esterno, sembrava più una scuola che un carcere minorile, un’impressione che s’è dimostrata azzeccata, ma andiamo con ordine ....non ti dispiace se prendo un altro po’ d’uva, vero no?”, “Fai pure”, gli rispondo litigando con la padella nella quale ho fatto saltare la pasta con i broccoli. Qualcosa mi si attacca sempre ! “Dove posso lavarla ?”, chiede, facendomi dondolare il grappolo davanti agli occhi; “Mah! Qui abbiamo solo il lavandino e la tazza del water… vedi tu ..”, gli rispondo ; “ma nel lavandino ci sono le pendole  da risciacquare”,   mi fa; “Semplice! Sciacquale e poi lava l’uva” , “… ma se prima avevi detto..” mi guarda scuotendo la testa e poi apre il rubinetto dell’acqua ed inizia . “M’beh, allora ‘sto  Beccaria?”, lo sprono a riprendere il racconto ed intanto gli passo la padella lavata, “allora, entro e m’accompagnano subito all’ambulatorio medico. Lì c’è un tipo in camice bianco, mi visita…”. “Il medico”, lo interrompo, “no, il commesso di un negozio di elettrodomestici !, sì, il medico chi vuoi che fosse?! E smettila d’interrompermi cumpà, mi fai rompere il filo del discorso. Allora, il tipo …”, fa una sosta per vedere se ribatto, poi, soddisfatto “... mi visita, e fa un po’ di domande sulle malattie avute in precedenza …., poi dice alla suora che tutto è a posto”; “Alla suora?”,  chiedo stupito; “Sì c’erano anche le suore, poi ti dirò. Questa mi prende, mi accompagna diritto alle docce  (è la prima cosa che facevano quando entravi lì), mi caccia in mano una saponetta e un asciugamano ordinando : “Sfrega bene, mi raccomando”. “Mi sembra il tipo che dopo che ti sei lavato t’ispeziona anche dietro le orecchie e cosi sfrego bene, come vuole lei. Esco dalla doccia asciugandomi e, al posto di ciò che indossavo, trovo un cambio di biancheria pulita e una tuta blu,  tipo metalmeccanico, capito cumpa? ti fregavano gli abiti «civili» in modo che non potessi scappare. Dopo, vestito, mi consegna ad un tipo che si presenta come... il mio educatore; quest’ultimo m’accompagna per un lungo corridoio, si ferma davanti ad una porta e mi dice: “Questa è la tua stanza....”, poi, con un gesto circolare... e questa è la sezione A, osservazione, qui sei assegnato per il momento”; mentre sbircio dentro la stanza, una bella stanza con due letti, lui mi mette al corrente del regolamento e d’altre cose che non sto a sentire, incantato dalla finestra senza sbarre e dalla possibilità che mi offre . Sìi cumpà, questa volta pensi giusto, già mi vedevo in notturna mentre lo scavalcavo”; “Con la tuta da meccanico?”, intervengo nel racconto; “Infatti, quello costituiva il vero problema e per quello ho dovuto procrastinare i miei propositi di fuga. Poi ci sono riuscito, dopo quasi un mese “. “Spiega un po’ le attività, l’ambiente lì dentro”. “Lasciami lavare  l’uva, visto che t’ho liberato  il lavandino, poi ti racconterò”, fa l’offeso-prezioso. E’ vero, sono un mostro  d’ingratitudine, piglio un canovaccio ed inizio ad asciugare le stoviglie. Lui si appoggia al muro, stacca un acino dal grappolo

 

“L’ambiente? quello che comunemente si definirebbe sano, tolti naturalmente noi ospiti; vi si svolgevano corsi scolastici e professionali, come falegnameria e meccanica. Subito mi sono iscritto a quest’ultimo corso: i motori erano la mia passione a quei tempi.

I pasti li consumavamo in refettorio e avevamo anche una sala ricreazione con la tivù. Poi c’era una palestra con il suo istruttore e....”, “le suore che facevano? e oltre a loro chi si occupava di voi ?”.

“Le suore si occupavano della gestione economica del Beccaria e della cucina; c’erano gli educatori che ci facevano da tutori e ....gli insegnanti, visto che c’erano i corsi, e don G., il cappellano che oltre a dire messa ci portava indumenti  e scarpe da ginnastica; gli assistenti volontari a quei tempi non entravano ancora,. insomma, non si stava malaccio ....”, “Ma?”, chiedo; “Ma eravamo sempre in prigione, una prigione soft ma sempre in una prigione! Limitati da un regolamento che facevamo fatica ad accettare  a qui tempi, a quella età. E poi era come essere ritornati al collegio, ma non avevo più sette anni, ne avevo 14 e t’assicuro cumpà  che sulla strada si cresce  molto in fretta”. Si ferma, finisce di mangiare l’uva e poi mi guarda  come a dire “domanda cumpà”. E io di domande ne ho tante da fare. Guardo l’orologio, sono le sette, abbiamo ancora un’oretta  di socialità, vediamo di metterla a frutto, “andiamo a sederci di là, qui non c’è più niente da fare”. Dal bagno-cucina ci trasferiamo al soggiorno-letto , ci sediamo ai lati opposti del mio “divano-letto” l’uno di fronte all’altro.

 

Mi accendo una sigaretta, “Ma l’ambiente? non quello fisico, che aria tirava tra voi ragazzi?”.

“Ti dirò, fratello mio, lì alla sezione A, dove m’avevano portato, non conoscevo nessuno e appena entrato ne hai di cazzi tuoi per la testa  e nessuna voglia di fare amicizia. Pensavo solo  come fare ad andarmene . Ero preoccupato per la reazione  dei miei genitori  nel venire a sapere che avevo rubato e ora mi trovavo al minorile. Se avessi avuto i miei abiti, sarei scappato subito, arrivato a casa avrei raccontato loro una bella storia ....che ne so ....credevano fossi stato io a rubare la macchina  ma poi, risultato innocente, mi hanno chiesto scusa e lasciato andare.….cumpà, la solita storia dell’errore giudiziario”, “Tanto, con tutte le volte  che hai usato questo espediente., oramai  sulla carta d’identità ci sarà scritto: Professione errore giudiziario. A proposito, i tuoi genitori come hanno preso la faccenda?”. “Bene no di certo, come puoi immaginare. I caramba,  la sera del mio arresto, sono andati ad avvisarli che mi avevano  preso alla guida di  una macchina rubata. Mia madre  s’è messa a piangere e mio padre s’è incazzato come una jena: “Quand’è che me lo riportate a casa  ‘sto disgraziato che lo voglio sistemare per bene?”, aveva chiesto convinto che di lì ad un paio d’ore m’avrebbero rilasciato. Dopo tutto ero un ragazzino  e, pur considerando grave quanto avevo fatto, lui  l’aveva già  messo in cima alla graduatoria delle “cazzate” che avevo fino ad allora compiuto .Ma quando i caramba alquanto imbarazzati dissero  che il giudice m’aveva fatto portare in prigione, la «stupidaggine» si trasformò in un macigno che li schiacciò lasciandoli lì senza parole”, conclude abbassando lo sguardo, poi nel silenzio inizia a togliere una inesistente macchia di polvere dai pantaloni. Lo turba ancora il ricordo di quell’episodio, penso; anche se si trova cosi indietro nel tempo, non l’ha ancora superato. Nella vita di tutti, c’è un primo giorno di scuola, il primo amore, e in quello di qualcuno il primo reato, la prima volta che sei finito in galera; un ricordo indelebile al pari dei primi due, ma che ti segna e condiziona  più di questi. Troppo silenzio. Gli chiedo: “Ma al minorile, potevi avere colloqui con i tuoi?”. Si riaccende , “certo fratello mio, i giorni di colloquio erano il sabato e la domenica. Ho visto mio padre il sabato successivo al mio arresto, lì al Beccaria. Si era messo il suo vestito migliore, quello della domenica grigio chiaro, e ti assicuro che faceva la sua bella figura così vestito. Quando mi ha individuato, in mezzo a tutti gli altri, mi ha sorriso ed io sono ritornato bambino; gli sono corso incontro per abbracciarlo e chiedergli di portarmi a casa con lui ….gli volevo bene, sai? Ero quasi arrivato a toccarlo, quando…. vengo investito da un tram! Perlomeno, questa l’impressione che ho ricevuto dopo che un suo sganascione m’ha capottato, poi, mentre ancora tra me recitavo la tabellina del nove (riflesso condizionato dagli sganassoni scolastici), tirandomi su da terra mi ha abbracciato dicendomi di non aver paura, che adesso c’era lui e le cose si sarebbero sistemate. Cumpà, se li sistema come ha sistemato me, sono apposto, ho pensato. Ha continuato dicendomi che alcuni suoi conoscenti, che ne capivano di legge, il barbiere e il macellaio (avevano dei figli in galera) gli avevano parlato di “cauzione”: bastava lui pagasse ed io potevo uscire, quindi, il giorno era andato alla posta e aveva ritirato tutti i risparmi di famiglia. Naturalmente, i soldi ce li restituirai lavorando, mi aveva detto, il lavoro te lo trovo io, e penserò io a non farti più fare di queste stupidaggini a costo di strapparti  la pelle della schiena a cinghiate.

Mentre mi sta dicendo così, si avvicina a noi l’educatore; gli si presenta, lo invito a seguirlo nel suo ufficio. A me, dice di aspettare lì, mio padre sarebbe ritornato subito. Seguendolo, mio padre girandosi verso di me ammiccava sorridendo, ci penso io stai tranquillo, sembrava mi volesse dire, e io in effetti mi sentivo più tranquillo. Ho iniziato a guardare in giro, gli altri ragazzi al colloquio con i genitori, c’era chi piangeva, chi rideva, chi stava muto e i bambini che correvano tra i tavoli facendo una caciara infernale. Non  trovando niente d’interessante, mi metto a guardare la porta dalla quale sarebbe riapparso mio padre, l’ho fissata per una decina di  minuti, cosi senza un pensiero in testa, mi ero spento. Finalmente s’è aperta ed io mi sono riacceso vedendolo venire verso di me, preoccupato ma senza voler darlo a vedere.

Arrivato mi mette una mano sulla spalla e mi dice :Figll mie , a rumane angor pe tanta  temp. M’han dit tanta  cos stran pe fat ascii , ma jii mm venn puer u vistit pt purt a chess” .

Cumpà, non ho provato delusione,  ma tristezza per la sua…”, “Senti, vedi se riesci a farla provare anche a me ….”, lo interrompo, “non ho capito un architrave di quanto hai detto!”. “E’ dialetto delle nostre parti”, mi dice come se questa precisazione bastasse a farmi comprendere tutto di botto. “In poche parole,  ha detto che devo rimanere ma lui farà di tutto per portarmi a casa. Non ero “cauzionabile”, gli aveva detto l’educatore. Poi s’è seduto di fronte a me e quando i nostri occhi  s’incontrarono vi leggevo: Ho fatto il possibile, poi li abbassava, a disagio”. “Papà, come sta mamma e la famiglia”, gli ho chiesto per distrarlo dal suo stato d’animo. Pian piano si riprende e dice ok, che stanno tutti bene, “ti salutano tanto e non vedono l’ora che tu torni a casa.  Naturalmente mamma è preoccupata perché non sa come ti trattano in questo posto, per cui ti ha mandato una borsa di cibo in previsione del fatto che qui non ci sia quella famosa nebbia nutriente”.

Poi, mi chiede spiegazioni sull’accaduto e naturalmente, cumpà, io minimizzo; non vorrei che passassero altri “tram” da questi parti.

Gli parlo d’un gioco, un semplice scherzo, l’auto  l’avrei restituita al proprietario ….ecc. Dopo un po’ scade l’orario per i colloqui, e lui, dandomi appuntamento per il sabato successivo, mi abbraccia e se ne va .

Lo seguo con lo sguardo pensando che se per l’istituzione non sono “cauzionabile” mi auto-cauzionerò  da me e molto presto. La prima cosa da fare è cambiare di sezione, all’osservazione ci stanno solo i novizi e questi ne sanno quanto me su come funzionano le cose qui dentro . I più svegli, i più duri stanno alla “F” e lì devo riuscire a farmi mettere.