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Racconti di socialità - Sesta Puntata
La strana storia di un rapinatore a cavallo. Continuano i racconti di quei momenti di “socialità”, nei quali le persone in carcere si ritrovano a cenare insieme e a parlare di sé e della propria vita sentendosi “quasi normali”. “Il cavallo?”, sorpreso penso, “tu hai avuto un cavallo?”, gli chiedo, e in questa mia domanda è implicito l’invito a raccontare; invito, naturalmente, che il “malefico” volutamente non raccoglie. “Sì! Decisamente, questa del cavallo è un’altra storia!… un giorno o l’altro te la racconterò, cumpà!”. Lo strozzerei; sa benissimo che il suo accenno al quadrupede ha acceso (innescato) in me quel tipo di curiosità che esige immediata soddisfazione e non la provocazione del “un giorno o l’altro”. E se ne sta lì come un Buddha sorridente in attesa di godersi la mia reazione che, questa volta, mi giuro, non sarà quella che s’aspettava. “Hai ragione”, gli dico, “in fondo che mi frega del tuo stupido cavallo?…”. Lo guardo: Fregato! Se il Buddha aveva raggiunto l’illuminazione, con questa mia uscita devo avergli spento qualche lampada: il sorriso gli è letteralmente “caduto” di bocca e cadendo deve essersi fatto anche male dall’espressione che ora M. ha assunto. “La mia Sciuellen non era uno stupido cavallo!”, risponde indignato, poi tra sé, ricordando “…Magari un po’ zoccola … ma la più intelligente tra tutte le cavalle che ho conosciuto!”, conclude con voce roca alta tornando a me. “È fatta!”, penso pregustando il racconto di quest’ennesima tragicommedia, ed infatti, lui continua, “e non perché lo dica io, ma questa era opinione comune tra quanti, come me, frequentavano il maneggio. E poi, pensa ...”. “Vai con ordine”, lo interrompo, “fammi capire, come t’eri trovato ad avere un cavallo ?”, “e se ora mi ripeterai che questa è un’altra storia”, penso tra me, “ripeterò che il tuo era uno stupido quadrupede”. “Va bene, fratello caro, racconterò ora la storia di Sciuellen, così capirai anche tu quant’era intelligente. È andata così. Dopo che mi hanno sequestrato la ‘Giulia’, e, tra l’altro, denunciato per guida senza patente, ormai abituato agli spostamenti di ‘lavoro’ in macchina, ho dovuto procuramene un’altra. Così sono tornato dal “Tarocca” che in quel periodo non aveva granché da propormi. Altre Giulia, neanche a parlarne, così ho dovuto ripiegare su un Fiat 1500, hai presente quelle auto che sembravano le sorelle maggiori della Prinz? Sì, pareva una barca ma il motore era buono. Non ricordo cosa o quanto ha voluto in cambio, d’altronde, dopo aver avuto il cuore infranto in seguito al sequestro della mia ‘Giulia’, tutte quelle che ho avuto poi, 1500 compresa, le ho considerate dei semplici mezzi di trasporto. “Niente furti d’accessori, allora?”, intervengo nella sua pausa. “Macché! L’unico accessorio che spesso le cambiavo era la targa; una per ogni furto che facevo … sai com’è ?! non si sa mai! Te l’ho detto, la consideravo un semplice mezzo di lavoro, quindi, quando mia madre (che per la vicenda precedente, era stata denunciata per incauto affidamento), ha minacciato di buttarmi fuori di casa se non me ne fossi sbarazzato al più presto, mi sono messo subito alla ricerca di un compratore. Ma non era facile a quei tempi vendere un’auto di quella cilindrata e mia madre, pensando prendessi sottogamba la serietà delle sue intenzioni, stava quasi per metterle in atto. In quei giorni, dopo un lavoro andato male, per riuscire a seminare la ‘madama’ m’ero ritrovato nei pressi di un maso di montagna, nel bergamasco. Stentavo a prendere la strada di casa per timore dei posti di blocco, ed avevo fame…”. “Quando mai?”, penso ad alta voce, “Quando mai?”, scimmiotteggia lui, “perché? Ti sembro forse grosso? No! Solo robusto! Sembra mangi tanto, ma più che altro consumo frutta”, “Sì, la mia …”, ripenso ad alta voce e ne ricevo un suo sguardo scocciato. “Quante storie, cumpà”, taglia corto, “…era sera ed avevo fame come capita alla maggior parte delle persone normali, e allora ho imboccato il vialetto sterrato che portava alla casa. L’intenzione era di chiedere ai proprietari di vendermi qualcosa da mangiare ed invece, ho venduto io qualcosa a loro: la 1500. Al contadino piaceva, ma sebbene gli avessi fatto un ottimo prezzo, questo era fuori dalle sue possibilità. Alla fine, cumpà, ci siamo decisi al baratto: gli ho ceduto la 1500, in cambio di Sciuellen, un sacco di patate e una mezza pancetta steccata”, e sorride soddisfatto! “Ma allora”, replico sconsolato, “non sei diventato così con il tempo, la scoppiatura ce l’hai nei geni! Parti in macchina e torni in cavallo …”, “Cumpà, mi serviva un mezzo di locomozione, ma per ottemperare alle direttive della genitrice, questo non doveva possedere ruote, ma non s’era mai parlato di zoccolo, no? A casa mi ci ha accompagnato un conoscente del contadino, con uno di quei furgoni per il trasporto dei cavalli …”, “Tu stavi dietro, vero? “, “No! Spiritoso, dietro stava Sciuellen!”. “Ma i tuoi che hanno detto vedendoti arrivare con il cavallo ? “. “Bah! I miei fratelli ne erano veramente entusiasti, l’hanno vista come una compagna di giochi ...., mio padre l’ha vista unicamente come una provvista di carne per un anno, e mia madre… la guardava con sospetto ed anche un po’ d’ostilità; non mi pareva convinta…”. “Forse pensava a dove avrebbe dovuto collocarsi un “altarino”?” gli dico ridendo, figurandomi la madre mentre cerca di operare riti di esorcismo su di un cavallo recalcitrante. “Ma quanto siamo spiritosi, stasera cumpà!”, dice con un sorriso che equivale a dire: ma quanto sei coglione!, poi serio riprende: “E come talvolta succede tra persone:, simpatia o antipatia a prima vista ...”. “Gelosia tra donne!”, butto là guadagnandomi uno sguardo di compatimento. “Così, l’ho parcheggiata ... alloggiata nel box. Inizialmente ci passavo tutto il mio tempo libero, la portavo al maneggio ed è così che ho imparato a cavalcare e ...”, con un’espressione alla Fantozzi eccitato, “tu non sai, cumpà, quanto si ‘cucca’ in un maneggio! Dapprima con la scusa di una galoppata assieme ... Ma potevo avvicinare solo ragazze che montassero cavalli maschi, Sciuellen proprio non ne voleva sapere di avvicinarsi a quadrupedi del suo stesso sesso ... e mentre me la facevo sull’erba con la ragazza, lei flirtava con il suo cavallo ... sì! Era un po’ zoccola ....”, e rimane a pensare, con affetto suppongo dalla sua espressione, a Sciuellen. “Ma che significa Sciuellen, dove l’hai pescato ‘sto nome?”. “Ma dove vivi?”, sembra volermi dire lo sguardo che mi dà. “Ecchè, cumpà?, non dirmi che non hai mai sentito questo nome? Sciuellen, la moglie di Gear in Dallas!”. “Sue Ellen, intendi”, “Ed io, che ho detto? Sciuellen, anche lei un po’ zoccola, come personaggio, no? Come la mia cavalla ...”. “Associazione d’idee, vero? ... Ma che testa hai?”, e scuoto la mia, sconsolato. “Non parlarmi d’associazioni, cumpà, neanche d’idee, m’hanno sempre portato in galera ... ed anche lei, m’ha fatto finire dentro”. “T’ha scoperto J.R. mentre te la facevi con lei?”, “Lei chi?”, chiede confuso. “La cavalla!”, rispondo io. “Fan’culo!”, termina lui. “Senti M., con te mi sto abituando a vedere il surreale navigare nella surrealtà… Adesso mi verrai a dire che Sue Ellen era uno sbirro travestito da cavalla? .. no!”, cerco di blandirlo, ha preso male la battuta di prima, ma poi sorride. “Stiamo parlando di cose serie, fratello mio, comportati di conseguenza!”, ammonisce e penso abbia ragione; “anche ciò che può risultare comico, ha un suo sfondo serio ... e viceversa, però. Mi costava una cifra mantenerla e non potevo più permettermelo, quando è iniziato il cosiddetto periodo di ‘austerità’, ricordi? Caro petrolio ... targhe alterne ... centri storici chiusi al traffico, e lì m’è venuta un’idea. Ho preso Sciuellen e le ho fatto un discorso da uomo a cavalla, le ho detto: Sciuellen! In questa casa tutti devono guadagnarsi la pagnotta, o biada che sia, per cui dovrai farlo anche tu! Sembrava avesse capito, per cui l’ho portata dal maniscalco a mettere quegli aggeggi di gomma sotto gli zoccoli, sai? per non scivolare sui cubetti di porfido e poi, quando il traffico al centro non c’era, io andavo a cavallo. C’era un mucchio di gente che girava a cavallo la domenica per il centro, ed era anche chic”. “Embhè? Poi che facevi? La affittavi ai pedoni?”, intervengo non capendo il ‘guadagno’. “E stai calmo, cumpà, ti sto spiegando! ... Allora: ‘puntavo’ qualche negozio interessante, poi arrivavo lì con Sciuellen, entravo, arraffavo e scappavo a cavallo. E chi mi prendeva più?!”. Accidenti! Per poco non mi soffocavo dal ridere al pensiero che lui entrava in un negozio mentre il cavallo lo aspettava in strada con il ‘motore acceso’. “E magari ...”, riesco a chiedere tra un singulto e l’altro, “... avevi pure il passamontagna ...”. “Ridi, ridi cumpà! Intanto la cosa ha funzionato per un certo tempo. Polizia e Carabinieri a volte mi inseguivano in auto ma io mi buttavo nella campagna e loro dovevano fermarsi per forza. M’ero fatto anche un nome, sai? Iniziavano a chiamarmi ‘Il bandito a cavallo’...”. “Rimbambito a cavallo sarai tu!”, mi dice. “Ma non ho detto niente!”, protesto. “Si, ma l’hai pensato, cumpà! Poi, la polizia ha deciso di attrezzarsi per potermi prendere. Faccio l’ennesimo colpo, scappo a cavallo, arrivano due pattuglie ed io mi butto in campagna. Mi giro per fargli ‘Marameo’ e vedo che una s’è fermata, mentre l’altra ha proseguito e mi sta raggiungendo. Una campagnola, cumpà, la seconda pattuglia stava su di una jeep, hai capito? Riparto al galoppo con Sciuellen ed inizio a fare slalom tra gli alberi e quelli, perdono sì terreno, ma sono sempre dietro. Mi giro per vedere se la distanza è aumentata o meno e ... cumpà, una craniata contro il ramo d’un albero mi sbalza di sella e mi ritrovo a terra, mentre Sciuellen continua a galoppare. Come effetto della botta presa, inizio a recitare la tabellina, non quella del nove, ma quella che moltiplica il numero degli anni di galera, per quello dei reati commessi e il risultato, fratello mio caro, sebbene intontito mi fa mettere le ali ai piedi. Prima che la ‘madama’ raggiunga il posto dove sono caduto, non visto riesco ad infilarmi in uno di quei tubi di cemento posti nei canali d’irrigazione e sopra ai quali passa la strada, sento che mi cercano, ma senza risultato, e in capo a una mezz’ora se ne vanno. Avevo preso una tale paura che sono rimasto lì fino a sera inoltrata. Solo con il buio e usando circospezione mi son deciso a far ritorno a casa”. “E Sciuellen?”, chiedo curioso. “Sinceramente, cumpà, prima per la paura, poi per il mal di testa (m’era venuto un bozzo in testa che sembrava il cervello avesse aperto una succursale), a lei non avevo più pensato. M’è tornata in mente quando a casa ho rivisto il box e subito sono andato a vedere se per caso c’era … Per fortuna era lì e in compagnia”. “C’erano i tuoi fratelli?”, chiedo. “Non proprio, cumpà, c’erano persone che, in effetti, m’erano molto ‘attaccate’… ma solo quando m’inseguivano … c’erano gli sbirri, fratello caro!”. “Finale nella norma!”, penso, e lui prosegue, “in campagna non avevano trovato me, ma Sciuellen. S’erano limitati a seguirla fino a casa e lì mi avevano aspettato, manette in mano”. “E tu?”, “Beh, cumpà! Naturalmente sono sbiancato, poi ripresomi… la solita storia: li ho ringraziati per avermi riportato il cavallo che m’avevano rubato in mattinata e tutto questo prima che facessi denuncia di furto”. “T’hanno creduto?”, “No! Ma si sono divertiti: sorridevano mentre m’ammanettavano!”. “Tante storie, tutte a finale scontato, vero?”, c’è passata la voglia di ridere; ogni tanto capita così come ora, all’improvviso. … Diciannove e quarantacinque, fine socialità. L’agente apre i cancelli, M. alzandosi, sorridente di nuovo, aggiunge: “M’hanno ammanettato e portato dentro …”, ed è già all’uscita della cella. “E Sciuellen? Che fine ha fatto?”. Non può lasciarmi senza dirmelo. “Lei non è stata arrestata, cumpà. A domani!”, e se ne va rapido alla sua cella.
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