Racconti di socialità - Quinta Puntata

 

Il fare “socialità” ieri sera, ha sortito come effetto il permanere, anche dopo che M. se n’era andato, di quello sensazione di, sostenibilissima, leggerezza dell’essere (stato d’animo) che sdrammatizza la, altrimenti insostenibile, condizione di carcerati nella quale ci troviamo a vivere.

 

M. aveva appena finito di spararsi in bocca l’ultimo chicco dell’ultimo grappolo d’uva rimastomi, quando l’agente, diciannove e quarantacinque, aprendo i cancelli lo aveva invitato a tornare nella sua cella.

- Accidenti, Cumpà! Come passa il tempo…sono già le otto …, aveva detto M., provocando il non certo piacevole rientro, dalla realtà del racconto nel quale fino ad alcuni attimi prima eravamo immersi, a quella carceraria. Di seguito, fedele alla sua innata presupponenza (certamente l’avrei accolto a braccia aperte), alzandosi dal mio “divano letto” e dandomi una botta sulla spalla, da incriccarmela, aveva aggiunto, - Non preoccuparti, Cumpà! Ci vediamo domani sera! lasciandomi, mentre usciva, con il dubbio se considerare questa sua sortita come una promessa o una minaccia… consideravo l’esiguità  delle mie scorte di frutta.

Sono quasi le 17. L’agente sta aprendo le celle per la “socialità”; ad attimi sarà qui, mi sto psicologicamente preparando a lasciarmi investire dai suoi straripamenti di vitalità.

Hei, Scopinazzo!… Lo sento riprendere l’Orango-Valzer a proposito del pozzetto della doccia, quella centrale che solitamente lui usa, e che, a quanto sta dicendo, è intasato; di seguito lo sento predicare sull’opportunità di usare più candeggina nella pulizia delle piastrelle.

“Certo M. capito; possetto…varechina…”

Ecco, bravo lupacchiotto! Lo gratifica di una delle sue poderose pacche sulla spalla ed entra.

Sorriso “funarico” ed espressione di chi non ti vede dall’era paleozoica e non sa come ha fatto a vivere senza la tua presenza

-Cumpà! Sono qua…

-Ah si? Chi l’avrebbe detto?!

-Fratello mio, non dire che non hai sentito la mia mancanza – dice, sbirciando dentro il bagno-cucina. –

Lo squadro, -Hai appetito? Prepariamo qualcosa da mangiare? Gli chiedo.

“Fame fratello, fame non appetito! Pensa, non ho mangiato niente da mezzogiorno perché ho pensato: non vorrei il T. si offendesse se arrivassi da lui a stomaco pieno”- e mi guarda con la sua solita faccia da tola quasi a dirmi: “vedi quanto sono sensibile, cumpà!”- Mi sforzo di rimanere serio.

-Faccio un po’ di pasta al tonno, ti va?!  Ma senza pomodoro, ok! Tu intanto cambia la bomboletta di gas a quel fornello, che è finita… i biglietti sono lì sullo stipetto.

Non c’è permesso di tenere, in cella più di una bomboletta di gas a persona,  per motivi di sicurezza: il gas è infiammabile e le bombolette esplodono facilmente e, per l’idiota (eufemisticamente dicendo), abitudine di alcune persone di aspirare il gas per stordirsi e bruciare così i pochi neuroni che ancora funzionano nella loro ormai inerte mente. Quindi ci danno dei cartoncini plastificati, uno per ogni bombola di gas acquistato e, in cambio d’uno di questi e della bomboletta vuota, l’agente sul piano, ce ne da una piena. Mentre M. è andato a cambiare la bomboletta ho sbucciato tre bei spicchi d’aglio, poi li ho tagliati a rondelle e  messi in una casseruola bassa con un filo d’olio d’oliva e il contenuto di due scatolette di tonno. L’ho fatto andare pochissimo a fiamma vivace, poi, tolto dal fuoco, l’ho salato e aggiunto un cucchiaino colmo di origano e due peperoncini spezzettati. Un bel bicchiere d’acqua completa il tutto; ora la casseruola coperta, sta sul fornello, fiamma media. Ecco fatto! Mi dice finendo di avvitare il bruciatore del fornelletto – Ti serve altro?

-Vedi di prendere un po’ d’acqua calda per la pasta, gli rispondo. Se l’acqua è gia calda, risparmiamo un po’ di gas nel farla bollire. Piglia la pentola, ed uscendo si mette a chiamare il lavorante –Budrachegno,!Il lavorante arriva e li sento parlottare; più che altro M. dispone e l’altro assentisce.

Apro il pacco di fusilli e ne verso in una gavetta circa la metà, - Non ha neanche mangiato il pacchetto di cracker questa sera, penso… e lascio cadere un’altra generosa quantità di pasta nel recipiente, meglio abbondare…Mi sono rimaste solo un paio di banane e delle pesche noci. Torna con l’acqua calda – Sai cumpà, stanotte sono stato di un maleee… mi dice con espressione da panda sofferente, penso sia stata l’uva! Meglio non la comperi più, costa tanto e non è buona!

Ma vedi questo; penso, ma che ho fatto di male? Mi sono sempre comportato bene, mai un rapporto e come mi ricambiano? Affibiandomi quest’ aggravante, neanche generica,  bensì specifica! -Senti, gli dico, io la comprerò ancora; tu puoi anche fare a meno di mangiarmela!

-Fa come vuoi, cumpà, ma se poi stai male non dire che non ti ho avvertito!

Ed io che ci sto a discutere…L’acqua intanto bolle, verso la pasta nella pentola.

-“Prepara la tavola che tra dieci minuti si mangia”. Mentre lo aiuto un ragazzo mi chiama al cancello per dei chiarimenti riguardo ad un certo documento che oggi gli hanno notificato. -”Mi dai un’occhiata tu al sugo? che non restringa troppo, neh! – Fidati cumpà, mi chiamavano per le sagre per fare da mangiare.-

Lo guardo dubbioso:”Tu per le sagre andavi a mangiare” e vado al cancello; lui si approssima alle pentole. Dopo un po’ che sto parlando, si avvicina ed interviene nel discorso.

-“Il sugo a che punto è ?”- chiedo ricordando; va a vedere e torna. -“Papp-lia cumpà” dice, o cosa simile. –Cosa?- chiedo. -“Papp-lia cumpà: il sugo papp-lia” dice con aria serafica.

-Il mio sugo non ha mai fatto di queste cose prima! gli dico, - che cosa gli hai fatto, disperazione semovente? -“Niente gli ho fatto, cumpà; dicesi –papp-lia- quando il sugo è pronto e fa plop-plop! Capito adesso? Ed io ho spento il fornello, contento?

Questo mi sta tirando matto, penso, e subito dopo chiudo il discorso con il dirimpettaio per andare a vedere quella cosa strana dentro la casseruola. Sollevo con circospezione il coperchio, tutto mi pare normale: ha ragione quella disgrazia ambulante di M., il sugo è pronto.

Lui intanto ha scolato la pasta, condiamo e portiamo in tavola.

…………

Prima si è lamentato che ne ho fatta troppa, ora sta pulendo la pentola con il pane.

Mi accendo una sigaretta – Metto su il bricco del te? – chiede, “Fai pure” rispondo; si alza e portando i piatti sporchi va in bagno-cucina.

-“Posso prendere una banana?” chiede la sua voce. “Fai pure, purché non ti lamenti d’essere stato male, poi…” –“Non sono mica uva queste, e poi mi sembrano buone…  Allargo le braccia rassegnato: Ritorna a bocca piena e, dal momento che non può parlare, mi indica con gesto circolare del dito, quanto stà sulla tavola a chiedere “Sparecchiamo?”, faccio cenno di si, mi alzo ed iniziamo.

…………

Siamo seduti, stessa posizione di ieri, sul mio divano letto, riepilogando e ridendo  nel contempo delle vicissitudini da lui vissute negli anni ‘70’ e raccontatemi ieri sera.

“E così la prima volta sei finito dentro per una macchina? Chiamiamolo il reato del cuore, quello che non si dimentica mai, come gli amori adolescenziali…”.

“Proprio così, cumpà, macchine, moto… ero innamorato della velocità. Infatti, il primo acquisto importante della mia vita è stata una macchina: la Giulia 1300 Ti “ ripensandola, assume l’espressione da bradipo sorridente tipica dell’uomo innamorato. Rimango in silenzio; sta riavvolgendo il nastro dei ricordi e tra poco me ne farà parte.

“Una Giulia rosso-bordò, cumpà! Me ne sono innamorato appena l’ho veduta nell’officina meccanica di G. detto Tarocca; dal soprannome puoi immaginare quale, oltre a quello di meccanico, fosse la sua professione: raffreddare le macchine che scottano cambiando numeri di serie su motore e telaio; un vero artista del bulino!” – dice con tono ammirato.

 

 

-Ma allora, anche la Giulia era rubata?- Accidenti, rifletto, non perdo occasione per far sfoggio d’ingenuità, ed, infatti, mi guarda col solito sguardo:“Ti vedo marziano” e scuotendo la testa rassegnato continua spiegando: “E’ contro ogni etica professionale acquistare una macchina pulita! E poi, perché spendere tutti quei soldi quando puoi risparmiare? Cosi la pensavo a quei tempi… cosa ci vuoi fare?”

-In precedenza parlavi di acquisto importante, pensavo l’avessi presa da un concessionario…-accidenti idem come sopra, e per di più reiterato.

“Si cumpà, ho parlato d’acquisto, e che credi che  anche se taroccata te la regalino? M’è costata una dozzina di  stereo 8: erano appena usciti e quindi molto ricercati. Ho dovuto lavorare una settimana intera, di notte s’intende, per raggiungere la quota di pezzi quale c’eravamo accordati. Alla fine, come t’ho detto, mi sono ritrovato felice possessore di quella meraviglia della natura…scusa, tecnica, con il suo bel libretto di circolazione: tutto in regola insomma. Solo che, ero ancora minorenne e quindi non potevo intestarmi il gioiello. Così cumpà, ho dovuto rivolgermi alla cara genitrice, la quale, reticente all’inizio, dopo che le avevo spiegato i vantaggi che l’avere un’auto a disposizione avrebbe comportato  per tutta la famiglia e, in sovrappiù, dopo averle giurato solennemente che l’avrei portata in Puglia a far visita ai parenti, accettò di presentarsi dal notaio e registrare la “Giulia” a suo nome…banana?

-Che- gli chiedo, tua madre si chiama “Banana”? So gia dove sta andando a parare. -Sì! E la tua “fragola”, perche bisogna avere una gran “voglia” di procreare per fare una Pila come te! Intendevo chiedere se posso prendere una banana.

-E come no?! Vedi che alla sera sono pesanti…

-Ma no cumpà, poi io digerisco anche  i sassi…

-Escluso l’uva, vero?!

-Dove eravamo rimasti? “riprende chiudendo lo sterile battibecco”… Ah si! Ora potevo portare l’auto a casa, l’ho fatto il pomeriggio successivo; sono arrivato lì con il “gioiello” lucido di cera ed ho parcheggiato nel nostro cortile. Subito, dalla porta a pianterreno si è riversato buona parte del vicinato intorno all’auto ad ammirarla. Mia madre (la discrezione in  persona) aveva sparso la voce dell’evento e mezzo Cinisello, aveva accolto l’implicito invito. Così, ora erano tutti lì intorno, non limitandosi a rimirarla ma inzaccherandola d’impronte in ogni suo dove. Da parte mia, cumpà, stavo tra l’orgoglioso e l’incazzato, quando sempre dalla stessa porta, esce mia madre nel suo vestito delle feste, la folla si apre al suo passaggio e il ciarlare diventa brusio. Si avvicina alla “Giulia” con la stessa solennità di una vestale, alla sacra ara, e poi giaculando non so cosa, inizia a imprimere croci con il pollice su finestrini, carrozzeria, ruote e fanali. Cumpà, me la stava esorcizzando contro il malocchio! Immaginando la scena, scoppiò a ridere, lui non mi segue, come lo choc di un tempo, persistesse tutt’oggi.

-Ridi, ridi, fratello mio, continua sconsolato,” ma non è finita lì!”

Subito dopo, l’esorcismo, dalla porta escono le mie sorelle. Una tiene in mano un centrino di pizzo e un cuscinetto tutto lavorato, l’altra un involto di una trentina di centimetri.

Mia madre, apre lo sportello posteriore ed entra in macchina. Sul ripiano sotto il lunotto posteriore, stende il centrino che mia sorella le porge e, sopra questo, il cuscinetto lavorato. Naturalmente, cumpà, sto a bocca aperta sconcerto da tutto questo rito, e m’accorgo d’essere l’unico perché pare che tutti i convenuti sappiano di  cosa si tratti.

Poi, mia madre esce dalla macchina, afferra l’involto dalle mani dell’altra mia sorella e sollevandolo, sempre giaculando accompagnata dal pubblico, lentamente inizia a svolgerlo.

Ne immagineresti il contenuto, cumpà?!

E che ne so! – rispondo con le lacrime agli occhi “ Forse, un cagnolino, di quelli con la testa che va su e giù?

Ma che, cumpà! Una madonnina in gesso, dal manto azzurro e pieno di stelle. Naturalmente non mancava il serpente sotto il suo piede e il Bambin Gesù.

 

Tu capisci la situazione, fratello mio? Ero l’unico malavitoso in tutto l’hinterland milanese ad avere un altarino in macchina.  Potevi suggerisco a posteriori toglierlo dopo un po’, no?!

Solo se avessi aspirato al suicidio.Su queste cose, mia madre non transigeva.

-E allora? Chiedo curioso.

E allora, cumpà, mi sono tenuto l’altarino, anzi, ho fatto felice mia madre quando ho collegato una lucetta colorata di rosso, al fanalino dei freni della macchina, così quando frenavo si accendeva.

Ma non è finita li.

-Che altro potrebbe esserti successo? Pregusto il resto del racconto.

-Bene, cumpà, quando ami una persona, che fai? Ti piace vederla sempre più bella, le compri i vestiti, gioielli, quelle cose che  ne valorizzano la bellezza, no?  - Boh!

Mi guarda storto e continua….”Giulia” era sempre in ordine, bella, pulita, lucida, ne ero orgoglioso.

Senonche, vedo su un’altra macchina dei cerchioni stupendi, su un’altra uno stereo che sembra fatto apposta per la mia, e che faccio, cumpà, glieli nego forse? No che non glielo nego, me li “faccio” e così la mia “Giulia”, era sempre più bella.

Un giorno, mentre giravo con lei, vedo dei sedili in pelle stupendi. “Giulia, ti piacciono questi?” le chiedo, e lei sculetta di retrotreno tutta contenta.

Allora, la sera, torno li e “faccio” tutta la macchina. Non potevo caricarmi i sedili in spalla. La prendo e l’imbosco in campagna a Cinisello. La sera dopo, torno con la mia “Giulia” ed inizio a smontare i sedili, quando…

Arriva la madama!- completò il suo discorso.

-No, cumpà, arrivano i caramba! Non mi arrestano perché è trascorsa la flagranza del reato, ma mi sequestrano il “gioiello”. A poco servono le mie rimostranze, facendogli notare che l’auto era di mia madre, perciò in regola. Dicono che dell’auto in regola, originaria, c’è gran poco e che tutti gli accessori sono rubati.

Calma dico loro, in un impeto di rivalsa, l’altarino, madonnina e tutto l’ambaradan sono miei e non certo rubati.

-E allora prenditeli, mi dicono.

Ed è stato così che …altarino e madonnina, mi sono percorso a piedi un intero paese per arrivare a casa. E strada facendo vedendomi girare con l’altarino in braccio e credendo che lo facessi per qualche voto, (da parte mia non avevo nessun interesse a dire che mi avevano sequestrato la macchina) la gente s’univa a me. L’uno poi chiamava l’altro ed ecco, così in corteo orante, tra lo sbigottimento della mia famiglia richiamata dal vociare, sono arrivato quella sera a domicilio.

Beh, ti ha protetto dall’arresto, no! Lo sfotto.

Ridi, ridi cumpà, sapessi che tristezza per parecchi giorni nel vedere il box vuoto…

Il box? Chiedo.

-No, fratello, non proprio un  box, una tettoia appoggiata al di la della casa. Però poi ho potuto metterci il cavallo…ma questa è un’altra storia….