Un giornale dove si impara a dare peso e significato alle parole

“Ristrettamente” lungimirante

Una rivista che non guarda solo il suo “orticello”

 

di Sandro Calderoni, giugno 2008

 

Parlare di un traguardo raggiunto è sempre una bella soddisfazione, anche per chi si è aggregato lungo il percorso. Se poi parliamo di un viaggio di ben dieci anni di un giornale, per giunta ideato e scritto in un carcere, questo è un evento quasi eccezionale.

La sua eccezionalità sta proprio nel fatto della durata, perché mantenere per così lungo tempo originalità e freschezza in una rivista prodotta in una galera non è cosa semplice. Lo dico con una certa cognizione di causa, perché nella mia lunga permanenza nelle patrie galere ho avuto modo di conoscere varie realtà di un circuito detentivo dove ogni istituto, a suo modo, aveva e ha tutt’ora una sua peculiarità, o per meglio dire un suo regolamento che lo governa, e dove all’interno di esso sono nati e si sono spesso dissolti una miriade di giornali e giornaletti, che avevano comunque caratteristiche simili: o guardavano solo il loro “orizzonte” limitato, proponendo dei contenuti e delle esperienze che non andavano oltre il “ristretto” confine di un carcere, racchiuso fisicamente dalle mura che ne condizionavano ogni articolo; oppure andavano talmente oltre le sbarre, che finivano per scegliere argomenti che non c’entravano proprio nulla con il contesto carcerario.

Il merito della nostra rivista sta proprio nel non voler guardare solo il suo “orticello”, ma nel voler allargare i temi del carcere e delle pene oltre questo “ristretto orizzonte” e renderli presenti anche nella società. Lo sforzo più grande è di cercare, attraverso le esperienze dirette di chi ci scrive, di portare all’esterno questo problema, di non ghettizzarlo come vorrebbero in tanti, ma di puntare a dare un’informazione, che permetta di far conoscere più da vicino una realtà, che riguarda tutti e con la quale bisogna convivere e farci i conti.

Sicuramente la qualità, la completezza delle notizie, la mancanza di condizionamenti di un giornale dal carcere dipendono da molti fattori, ma se la gestione di una rivista del genere è soggetta alla supervisione di un educatore o dello stesso direttore, è prevedibile che gli argomenti che si affrontano non possano essere trattati con quella completezza di approfondimento e quello sguardo critico, che sarebbero necessari per garantire di realizzare un giornale più “libero” possibile.

Qui, dieci anni fa, la fortuna è stata invece di trovare una persona, Ornella, che, con un gruppo di detenuti e volontari, ha deciso di uscire da questi schemi, assumendosi la responsabilità di gestire il giornale in prima persona, responsabilizzando, con questo gesto, anche tutti coloro che hanno partecipato e partecipano alla sua realizzazione, perché quando si sa di essere abbastanza liberi di scrivere, ma di dover rispondere di quello che si scrive, si impara a dare peso e significato alle parole.

Attraverso questa esperienza ho imparato molto, sia sul piano della capacità di sostenere le mie idee che su quello umano, perché sono finalmente riuscito a capire che vi sono diversi punti di vista su uno stesso problema e che non sempre il proprio è quello “giusto”.

L’augurio che faccio alla nostra rivista è che possa durare a lungo e che possa contribuire concretamente alla realizzazione di una federazione di tutte le realtà “giornalistiche” all’interno delle carceri, in modo da lavorare insieme per “correggere” all’esterno tutta la malainformazione dei giornali che scrivono di carcere e da avere degli obiettivi comuni, perché sarebbe veramente miope ritenere che il proprio orticello sia quello più bello.