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Un tentativo di risposta a una persona che ha subito una rapina Per una volta mi sono trovato col pensiero dall’altra parte di un’arma Non vi è ragionamento che possa compensare lo stato di malessere di una vittima, si può solo provare un totale smarrimento di fronte a lei. E non c’è neppure nessuna scusante che giustifichi da parte dell’autore il suo reato
di Sandro Calderoni, febbraio 2008
Sono un detenuto e svolgo attività di volontariato all’interno di questa redazione da ormai parecchi anni. E tra le varie cose che di solito si fanno in un ambiente dove si produce e si riceve informazione, visto il contesto particolare in cui ci troviamo, cerchiamo anche di far conoscere come realmente è il carcere e chi ci sta dentro. Quattro anni fa è iniziato il progetto “Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere”, proprio perché si voleva dare ai giovani un’idea del carcere come è visto da chi lo vive da dentro e inoltre fornire delle conoscenze che permettessero loro di valutare e considerare il carcere senza tutti quei luoghi comuni che media, film e altri tipi di informazione tendono a disegnare. Man mano che il progetto andava avanti, mi rendevo conto che ha mutato molto anche il mio atteggiamento, perché la curiosità e la voglia di conoscere dei ragazzi è disarmante, al punto da portarmi spesso a confrontarmi con il mio passato. E mi sono accorto così che anch’io avevo i miei luoghi comuni, le mie convinzioni e i miei falsi idoli, e, importante per me, mi sono reso conto che questa esperienza mi sta arricchendo molto, proprio grazie al fatto che nel confrontarmi con persone che vengono da fuori, come gli studenti e gli insegnanti, scopro dei punti di vista, dei ragionamenti e delle esperienze che mi pongono in una prospettiva che, sotto molti aspetti, oltrepassa il senso egoistico e opportunistico della propria visione della vita. Questo pensiero si è rafforzato quando ho letto l’articolo di Elena Baccarin, un’insegnante che ha raccontato la sua esperienza come vittima di una rapina in banca, ha descritto il suo stato d’animo quando era in ostaggio del rapinatore, i pensieri che le passavano per la testa e il timore di morire… per una volta mi sono trovato dall’altra parte di un’arma e sono stato davvero male. Mi sono reso conto che persone, che conducono la loro vita serenamente, si vengono a trovare a volte in situazioni totalmente al di fuori dai loro schemi, in balia di un’altra persona, che per raggiungere un suo scopo non esita a rompere l’armonia altrui. Non vi è ragionamento che possa compensare lo stato di malessere di una vittima, si può solo provare un totale smarrimento di fronte a lei. E non c’è neppure nessuna scusante che giustifichi da parte dell’autore il suo reato. Quello che c’è invece quasi sempre é solo una leggerezza, un’ indifferenza al valore della persona che possono unicamente mortificare e deludere chi subisce reati. Prima non vedevo questo, ero un rapinatore, in particolare un rapinatore di banche, e nonostante la gravità del reato in sé, ero convinto che prelevando denaro, con un’arma in mano per spaventare gli altri, in sostanza non recavo un particolare danno psicologico alle persone che assistevano al fatto, anche perché, con una certa presunzione, ero sicuro che non avrei mai fatto del male se non fossi stato in pericolo io stesso. Ora non sono certo di questo, ora capisco che solo per il fatto di avere un’arma in mano vuol dire che mettevo in conto anche di doverla usare. Non so se questa mia consapevolezza, riassunta in queste poche righe, che mi è stata donata dal racconto della professoressa, possa ridare un po’ di serenità e tranquillità a lei, credo che non vi sia una ricetta per questo, ma so comunque che grazie a lei forse ho cominciato a capire come si sente una vittima di un reato. |
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