Pensieri in libertà sulla comunità

e sull’affidamento dei tossicodipendenti

 

Di Renzo, gennaio 2003

 

Per i detenuti tossicodipendenti il raggiungimento dei termini, oltre ai quali si comincia a pensare alla libertà (o a un suo surrogato), è fissato a 4 anni di pena residua. Solo allora puoi chiedere di essere affidato in prova ai Servizi Sociali. In pratica da detenuto a tutti gli effetti diventi un malato in cura con una pena da scontare.

Dopo aver concordato con il tuo Ser.T (tutti i tossici che si rispettino hanno il loro Ser.T. di riferimento) un programma terapeutico, se quest’ultimo viene accettato dal Tribunale di Sorveglianza, vi si accede. Per la maggior parte dei Ser.T. vuol dire che hai la libertà di trovarti una comunità convenzionata e iscritta nell’apposito album regionale (più sarà "terapeutica" e maggiori saranno le chance che avrai davanti al Tribunale). C’è però da tener conto del fatto che questo percorso, se per noi italiani tossicodipendenti è difficile, per uno straniero diventa quasi impossibile, perché il Ser.T. per lo più non si fa carico delle spese.

Una volta individuata la comunità è buona norma tenere una sorta di corrispondenza, diciamo di conoscenza. E agli operatori si racconta la storia che è un po’ la stessa per tutti; che sei infognato dentro a un tunnel e non vedi come venirne fuori, una vita rovinata da scelte sbagliate, in pratica vuoi uscire quanto prima dalla droga e dalla galera. Io personalmente non saprei dire quanto valga questa corrispondenza, anche se gli interessati, Ser.T. e comunità, sono pronti a giurare che è essenziale.

Per chi ha i requisiti necessari, sarebbe comunque sufficiente che il Ser.T. contattasse la comunità e sbrigasse la pratica, che è puramente burocratica, come ho avuto l’impressione che sia anche la Camera di Consiglio che si tiene presso il Tribunale di Sorveglianza. Quando va bene, dura infatti il tempo che ti siedi e ti rialzi. Sfido qualsiasi detenuto a capirci qualche cosa su quello che dicono Pubblico Ministero e relatore. Cerchi di farti un’idea dall’espressione del Presidente, che in genere "si riserva" e tu stai lì come un deficiente, e resti poi sospeso ad aspettare anche per qualche settimana con i nervi a fior di pelle.

In realtà è ben difficile che non ti concedano l’affidamento presso una comunità, specie se è la prima volta (ne puoi avere 2) e in linea di massima la cosa è buona. Quello che invece non va, secondo me, è che SOLO nelle comunità si intravede la soluzione dei problemi; addirittura, e malgrado il fatto che ci siano anche numerosi fallimenti di queste strutture, ci sono politici che le vorrebbero come unico strumento di cura, negando validità e possibilità ad altre forme di intervento, sicuramente non meno adatte alla realtà e alle vicissitudini dell’emarginazione. Come, per esempio: essere seguiti da associazioni che si occupano dei tossicodipendenti, dando risposte ai problemi immediati di casa e lavoro e di sostegno psicologico e sanitario, il cosiddetto "accompagnamento". A Padova ci sono alcune associazioni, tipo "Noi. Famiglie padovane contro l’emarginazione", che fanno egregiamente tutto questo.

Innegabile che tante responsabilità dello stato di cose attuale ce l’hanno anche i servizi pubblici, soprattutto là dove si sono appiattiti nella distribuzione del metadone e a fare da anticamera delle comunità, sbrigando il loro servizio alla stregua di una qualsiasi pratica burocratica, salvo poi dire "che ogni caso è diverso da un altro, e ha bisogno di risposte diverse". Ma le risposte, invece, sono troppo simili: sarà forse per questo che sta affiorando l’idea di far gestire una ex struttura carceraria da una comunità, così come simili alle comunità sono le sezioni a custodia attenuata dentro al carcere.

Sinceramente ho avuto esperienze di ambedue, comunità e custodia attenuata, e ho sempre avuto la sensazione che il concetto rischi di essere quello di alzare un muro intorno al tossicodipendente, non si sa se per salvare lui dal mondo o il mondo da lui. Sono stato in quattro comunità. Quella nella quale mi sono trovato peggio è l’ultima, tanto da preferirvi il carcere. In altre mi sono trovato meglio, perché le modalità erano diverse, il lavoro ed il reinserimento erano al centro dei programmi. Quindi non solo piccoli divieti e grandi teorie… ma fatti.

La comunità però è un’esperienza che non vorrei più ripetere. Penso che possa essere utile per tante persone, ma non lo sia per me. E spero che non si voglia a tutti i costi dare solo questa alternativa.