|
Un cammino per il superamento dell’odio che ci ha portati in carcere È possibile arrivare a una riconciliazione? Si può riparare un danno se si riesce ad avere anche l’umiltà e il senso della collettività necessari per ammettere i propri errori
di Prince Obayanbon Maxwho, luglio 2008
Sto imparando a non odiare”: da questo momento in poi questa frase non ha più solo un valore “letterario” per me, ma coinvolge direttamente la mia esistenza, perché voglio davvero confermare questo cambiamento con le mie azioni e i miei pensieri e soprattutto con una percezione diversa di tutto ciò che mi circonda. Ma credo che in tanti abbiano percepito che qualcosa stava cambiando, perché nessuno si è azzardato a pensare che un avvenimento così importante, come il confronto tra vittime e autori di reato, potesse avere avuto origine da una ragione di convenienza a senso unico. No, quel convegno è stato importante perché ha parlato di come ritrovare una ragione di vita, di pace esistenziale, di responsabilità individuale, in modo disinteressato, senza mai far entrare in gioco benefici particolari, convenienze, calcoli o tornaconti personali. Mi ricordo quando per la prima volta la questione dell’odio è stata discussa in redazione proprio a partire dalle nostre esperienze più dure. Per me è stato subito un segnale positivo, se si pensa che nella società odierna i messaggi di tutti i giorni sono basati sull’odio verso il diverso, sul potere di apparire, sull’usa e getta dei sentimenti, e soprattutto sull’egoismo dei propri bisogni e dei propri sentimenti che schiaccia i bisogni e i sentimenti degli altri. Solo se riusciamo a cogliere, in questo discorso sulla necessità di spezzare la catena dell’odio, il vero senso del convegno, noi in prima persona, gli autori di reato, e poi le vittime sofferenti senza nessuna colpa, e quelli che si sono sentiti di operare volontariamente nell’ambito della mediazione, liberi da ogni costrizione, allora capiamo anche che tutti abbiamo da guadagnarci, e possiamo davvero continuare un dialogo, che per ora è solo abbozzato. Credo che, per iniziare, sia fondamentale capire che succede a tutti di sbagliare, a volte di farlo in modo pesante, ma si può riparare se si riesce ad avere anche l’umiltà e il senso della collettività necessari per ammettere i propri errori, e di conseguenza saper chiedere scusa e, soprattutto, capire se ci sono dei gesti possibili da fare per arrivare a una riconciliazione. Io credo allora di poter parlare di successo del convegno per tanti motivi:
Mi sono anche reso conto che il convegno poteva rappresentare una speranza futura per tutti senza distinzione, se veniva vissuto come l’inizio di un cammino assai faticoso, ma degno di essere percorso, verso il superamento di quell’odio, che ha spinto tanti di noi qui dentro. Spero di essere perdonato se sembrano troppo utopici o moralistici i miei ragionamenti, o se possono dare l’idea di uno che sta cercando di salvarsi dai suoi errori e dalla sua tragedia, perché prima di ogni altra cosa ha timore di un giudice al di sopra di tutti e di ogni cosa, a cui non può nascondere nulla! In realtà per me una cosa è certa, ed è la presa di coscienza del significato di una vita che deve andare oltre la pena e il carcere, per ragionare in profondità su quello che è il concetto di responsabilità. Riguardo agli interventi al convegno non mi reputo in grado di fare delle osservazioni critiche sulle cose dette dai partecipanti, perché ero lì soprattutto per ascoltare e per imparare, e per capire in che direzione c’è da procedere per tentare una mediazione concreta tra gli uomini. Forse con il tempo potrò dare un contribuito mio, quando le condizioni me lo permetteranno, ma in questo momento mi ritengo già privilegiato per aver partecipato a questo convegno, che mi fa sperare davvero in un domani migliore! |
|