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Immaginate che all’età di dodici anni figuravo già come padre di famiglia
Morto mio padre, ero infatti l’unico che portava a casa quel poco che serviva per soddisfare i bisogni dei miei fratelli
Di Omar Ben Alì, ottobre 2001
Quello dei minori che commettono reati è un tema non poco preoccupante, e il fatto che tra gli immigrati ci sono sempre più spesso dei "quasi bambini" che finiscono dietro le sbarre appena arrivano in Italia la dice lunga su come un ragazzino può diventare sua malgrado un "pericolo sociale", e sono tutti ragazzini che hanno alle spalle storie di infanzie particolarmente angoscianti. La storia per me era già cominciata a Tunisi, quando avevo appena otto anni, allora vedevo la difficile condizione della mia famiglia, e il fatto che nonostante la povertà i miei volevano ancora qualche figlio. Mio padre era già anziano, e faticava a coltivare l’orto, quindi andavamo tutti a dargli una mano, all’alba mi svegliava e partivamo a raccogliere le cassette piene di verdura, per poi metterle sul carretto e portarle fino al mercato. Andare a scuola mi piaceva, ma non avevo la minima concentrazione per seguire le lezioni: pensando alla dura giornata che mi aspettava, mi chiedevo spesso perché i miei mi avevano fatto nascere… a casa dormivamo accanto a nostra madre, mentre nostro padre dormiva con la sua adorata bottiglia. Sulla strada che portava all’orto c’erano officine di meccanici, carrozzieri, elettricisti, lì lavoravano un paio di ragazzini, uno in particolare era un mio caro amico, che mi aveva chiesto parecchie volte di andare con lui, a imparare un mestiere, ma mio padre non era mai d’accordo con quello che volevo io. Un giorno ci siamo svegliati come al solito, ma non ci siamo mossi dalla casa, papà stava troppo male, nel frattempo i nostri vicini avevano chiamato un medico, che dopo averlo visitato aveva mormorato qualcosa a mia madre nell’orecchio, e a quel punto avevo capito che non c’era più nulla da fare, l’alcol gli aveva consumato il fegato, e qualche giorno più tardi l’abbiamo abbracciato per l’ultima volta. A scuola non mi sono neppure più affacciato, e ho cominciato un nuovo lavoro in officina.
Lavori mal pagati, piccole truffe per la sopravvivenza, la voglia di andarsene Nell’officina il capo mi trattava molto bene, ed era un vero artista, era capace di aggiustare qualsiasi auto sfasciata. Io mi mettevo spesso vicino a lui, e rimanevo anche fino a tardi per imparare: nel giro di due anni sono diventato il suo sostituto, quando lui andava a lavorare da qualche altra parte, ma l’unico rammarico era il fatto che più aumentava il mio rendimento, più mi accorgevo di venire sfruttato. Anche se lui sapeva tutti i particolari della mia situazione economica, continuava a pagarmi quel poco o niente di salario dei primi tempi, ma nel frattempo io avevo cominciato a "decifrare" i trucchi usati dal mio capo, che spendeva poco per acquistare i pezzi di ricambio e guadagnava parecchio, in pratica scambiando i pezzi originali con quelli a basso prezzo. A volte mi capitava l’occasione di guadagnarmi due soldini, perché i clienti cominciavano a fidarsi di me, mi affidavano le loro auto e mi pagavano di nascosto qualcosa di extra. Nel frattempo avevo smesso di andare all’orto, mio padre, e avevo cominciato a immaginare una officina tutta mia, ma non era affatto facile, perché gli attrezzi costavano un casino e in più dovevo trovare un posto "strategico" per poter affrontare la concorrenza degli altri carrozzieri. Per giunta ero ancora minorenne, e la patente non sapevo proprio come procurarmela. Un giorno, mentre saldavo la capotte di un’auto, con la coda dell’occhio ho visto una macchina di lusso che si fermava, e l’autista era un mio vecchio compagno di scuola. Ci siamo abbracciati, poi io gli ho chiesto dove era finito in questi ultimi anni, e alla fine ci siamo messi d’accordo di incontrarci più tardi. Alla sera ci siamo incontrati e io ero imbarazzato a chiedergli dove si era procurato tutta quella fortuna, invece lui mi ha parlato subito di un suo progetto: aveva deciso di prendere un locale in affitto per aprire un bar, e di metterci dentro tutte attrezzature importate dall’Italia. Pensando a questa occasione che mi avrebbe permesso di migliorare la mia vita, mi sono messo d’accordo senza pensarci due volte con lui, e di fatto due settimane dopo ero il cassiere del bar. Siamo partiti subito con il piede giusto, il locale accoglieva un sacco di clienti, ed ogni sera si mettevano da parte i soldi per le spese, e di quello che rimaneva mi spettava il 20%. Amir, era il nome del mio amico, era molto soddisfatto di come andavano le cose e del rendimento del bar, i clienti venivano attirati perlopiù dalla qualità del tabacco che veniva scelto per il narghilè, in pratica Amir comprava il migliore dei tabacchi, a caro prezzo perché veniva importato solo dall’Egitto. Io intanto avevo cominciato a mettere un po’ di soldi da parte. Nel frattempo Amir aveva assunto baristi e camerieri esperti nello svolgere il loro lavoro, ma lui non sapeva che questi ultimi del mestiere se ne intendevano anche troppo. In pratica che cosa facevano? "Taroccavano" il tabacco, ed anche altre cose. Di fatto era difficile che i clienti si rendessero conto di quello che stava accadendo, ma a me venivano i brividi, pensando ai trucchi che giravano nel locale. E’ la miseria che produce solo altra miseria, pensavo. Quindi taroccare era diventata un’arte e gli "onorevoli truffatori", baristi e camerieri erano i padroni che dettavano le regole del gioco. Io avevo due strade, la prima era quella di fingere che tutto fosse normale, la seconda era di trovarmi un altro lavoro per continuare a vivere senza ansie. A quel punto avevo gia deciso di andare all’estero, magari sarei riuscito a realizzare il mio piccolo progetto di officina, quindi ho dovuto sopportare altri tre mesi di "manipolazioni", sempre in quel bar, per potermi procurare i soldi che mi servivano per viaggiare. Era dura partire verso l’Italia a quella età, pagare un milione e poi aspettare un paio di settimane nascondendo tutto a mia madre: ma nonostante ciò ho dovuto partire. Durante il viaggio eravamo come sardine nelle scatole, in tutto una trentina su una barca da pesca, con dei panini e qualche bottiglia di acqua. Partiti di notte, avevo l’impressione di non arrivare mai a vedere la terraferma, con quei mezzi su cui viaggiavamo. Sentivo il rumore del motore e il legno che batteva il mare, dopo due lunghe giornate e mentre accarezzavo l’acqua con la punta dei piedi ho visto una motovedetta che si avvicinava alla nostra barca. Siamo stati subito portati alla questura di Lampedusa, con il capitano che si è spacciato per uno di noi, e il giorno dopo siamo stati rilasciati con i fogli di via. Io avevo appena sedici anni, e non mi ricordo nemmeno più come ho fatto per arrivare a Torino, o perché proprio Torino, e non mi ricordo neanche quante volte, negli anni successivi, sono stato fermato con la droga in tasca, allora ero un minorenne, quindi finivo spesso al carcere minorile, il Ferrante Aporti. Ero impulsivo, per cui non andavo d’accordo con nessuno e non riuscivo a spiegarmi, spacciare era la via più veloce per tornare a casa. Immaginavo fosse tutto facile, e invece stavo diventando solo un perdente, oggi ne ho ventisette, di anni, e problemi di dipendenza. Il carcere è ormai il posto unico in cui riesco a vivere senza droghe, quindi qui sono decisamente diverso, di certo sono ancora impulsivo, è il mio carattere, però nel momento che precede la mia reazione trovo istintivamente la forza di fermarmi, e quindi mi "autocontrollo" quasi senza fatica. Sto scrivendo questa mia storia in una notte fonda di autunno, anche se faccio a finta che sia primavera. Immaginavo che oramai, essendo maturo, avrei potuto confrontarmi con la realtà come è, nuda e cruda, e invece si tratta solo di un’illusione, mi sento di nuovo un fallito, il peggio del peggio, soffia il vento e mi sembra che mi arrivi un messaggio: "Sei bravo ma ti manca la cultura, non puoi farcela da solo". Con tutti i miei difetti ho imparato almeno ad ascoltare e riflettere, e a rispettare ogni cultura esistente su questa terra. So però di avere un equilibrio particolarmente fragile, mi capita spesso di avere tanta voglia di ridere ma di scoppiare poi a piangere, in quei momenti faccio cose di cui poi mi pento, ma non vorrei più, davvero, essere condannato solo ai pentimenti.
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