Omar: il primo permesso premio

 

Omar: il primo permesso premio di un ragazzo marocchino a una "strana" festa analcolica. Tante emozioni e poi, dopo due anni e otto mesi, il piacere di risentire la voce di sua madre

Di Omar Ben Alì, ottobre 2000

 

Quando domenica mattina sono uscito dall’istituto diretto verso la piazza del mercato di Torreglia, dove c’era la Festa Analcolica organizzata dai Club ACAT, erano due anni e otto mesi che non sentivo la voce di mia mamma.

A Torreglia, piccola cittadina sui Colli Euganei, questa festa è nata tredici anni fa, praticamente come proposta di uno stile di vita diverso senza alcol e come forma di protesta contro la grande produzione di vino che avviene in zona: così mi ha spiegato Denis, in un modo scherzoso. Denis è l’anima della festa: insegnante servitore nel Club ACAT, impegnato come cuoco e come animatore, al fianco ha sempre suo padre, che gli ha insegnato i "trucchi del mestiere".

Per Torreglia, la Festa Analcolica è oramai diventata una tradizione e vi partecipano quasi tutti gli abitanti del paese, dividendosi i vari compiti di organizzazione e di ospitalità verso gli invitati che provengono dall’esterno.

"L’esterno", in questo caso, era rappresentato dal Club ACAT del carcere Due Palazzi, con dieci detenuti in permesso e alcuni operatori, tutti intervenuti per la terza ed ultima giornata della manifestazione.

Al mattino, mentre gli altri assistevano alla Messa, io ho cominciato a cercare un telefono per chiamare mia madre e ho trovato una cabina a circa 200 metri dalla piazza del mercato, ma non riuscivo proprio a mettermi in contatto con lei perché in questi anni il numero telefonico è cambiato e questo io non lo sapevo.

Dalle dieci del mattino fino a mezzogiorno riprovo varie volte a chiamarla, inutilmente; verso l’una del pomeriggio decido allora di fare, a caso, un numero del distretto telefonico in cui sta mia madre e per combinazione mi risponde una ragazza che abita a circa un chilometro da casa mia.

Mi presento, spiegandole chi è mia madre e che non le parlo da tre anni perché sono detenuto in Italia, quindi le chiedo di trovarmi il nuovo numero di casa mia. Mi sembrava una richiesta semplice da soddisfare, invece lei va in confusione e comincia a lamentarsi che è sola in casa con il fratellino piccolo e deve aspettare che sua madre torni.

Io insisto, finché lei mi dice che è disposta ad andare direttamente da mia madre, per rassicurarla sul fatto che sto bene e per portarle i miei saluti. Ma questa soluzione non mi va per niente bene, perché a casa scrivo spesso e adesso vorrei invece sentire la sua voce e farle sentire la mia, che è una cosa diversa rispetto a mandare un messaggio tramite una terza persona.

Alla fine riesco a convincerla di cercarmi il numero che mi serve e rimaniamo d’accordo che la richiamo dopo mezz’ora. Quando riprovo a sentirla, mi dice che non l’ha ancora trovato e di chiamare di nuovo.

Andiamo avanti così fino alle quattro del pomeriggio: le avrò telefonato almeno otto volte, consumando tutte le schede che avevo con me. All’ultima telefonata le dico che devo rientrare in carcere entro un’ora e quindi mi serve subito di parlare con mia madre, altrimenti non posso più farlo per tanto tempo. A questo punto lei scoppia a piangere e io mi arrabbio anche, perché non capisco come mai si complica tanto la vita, quando le basterebbe guardare sull’elenco per trovare il numero.

Per fortuna, in nostro "soccorso" arriva sua madre, che capisce ciò che voglio e mi dà subito il sospirato numero di telefono. E così alla fine riesco a parlare con mia madre, con grande felicità di entrambi e lacrime di gioia (da parte sua).

Durante tutto questo tempo, andavo avanti e indietro dalla Festa (oramai sapevo a memoria quanti passi dividevano la piazza dalla cabina) e ascoltavo spezzoni degli interventi dei vari relatori: primo il Sindaco di Torreglia, che ha ringraziato la cittadinanza per l’accoglienza e la continuità data alla manifestazione; poi i rappresentanti dell’ACAT, a ravvivare l’ambiente con i racconti delle esperienze maturate nei Club, che coinvolgono anche i familiari nelle attività di sostegno alle persone che hanno problemi con l’alcol.

Il Club del carcere Due Palazzi è presentato dagli amici che svolgono la loro attività nell’Istituto ed il pubblico accoglie con calore la nostra presenza. Aldo, Gredina e Francesca spiegano che all’interno del carcere c’è molta vivacità e che noi detenuti siamo persone normali, impegnate in un difficile percorso di reinserimento tra le ristrettezze che caratterizzano questo ambiente. Ad un certo punto, vedo che Nicoletta, la psicologa del Club, ha in mano il nostro giornale e che mi guarda, invitandomi a prendere la parola: "Omar, vieni a raccontare ai nostri amici la vostra attività!". Sono molto imbarazzato e devo fare un bel respiro prima di prendere la parola, poi descrivo cos’è il giornale, la Rassegna Stampa e tutto il resto. Nicoletta mi tratta come un figlio e così posso essere a mio agio nel rapporto con gli altri, riuscendo anche ad esprimere quello che sento senza troppe difficoltà, né avere vergogna d’essere detenuto.

Terminati gli interventi, viene l’ora di mangiare, ma in quel momento per me c’è la preoccupazione di riuscire a telefonare e devo dividermi tra il profumo che sale dalla grigliata e la "famigerata" cabina telefonica: finché, finalmente, dopo aver parlato con mia madre con tanta fatica, posso tornare alla festa con un enorme sorriso sulle labbra, anche se il tempo della telefonata mi è sembrato insufficiente, dopo tanto tempo che non ci parlavamo.

Come do la bella notizia a Nicoletta, lei mi abbraccia forte ed io mi coinvolgo subito nello spirito della giornata, anche perché ho l’occasione di conoscere tante persone interessate alla mia esperienza, alla vita in carcere e all’attività giornalistica che noi vi svolgiamo.

L’ultima immagine che mi viene in mente, della giornata di festa, è quella dei due bambini che mi rincorrono dicendomi: "Giornalista, compra i biglietti della lotteria!"… e non sanno che non ho nemmeno una lira in tasca…