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Il ritorno in "quasi libertà"...
Ma il fallimento è dietro l’angolo, un passo falso è facile compierlo, la determinazione a dare una svolta alla propria vita a volte non basta
Di Nicola Sansonna, gennaio 2003
Il carcere rallenta i ritmi, tende a dilatare il tempo riducendo ai minimi termini lo spazio. Certo è un’occasione per ripensare alla propria esperienza di vita, e non mancano quelle notti interminabili, in cui il sonno si perde inseguendo i propri pensieri: la famiglia, il lavoro che ci aspetta in futuro, un pensiero ai guai combinati e che, certo, ripensandoci non avremmo mai commesso. Perlomeno per il prezzo che si paga. Un pensiero aiuta a superare quelle interminabili notti che si susseguono sempre uguali a se stesse: Ci sono almeno le misure alternative! La liberazione anticipata (45 giorni ogni semestre di galera espiata ti vengono detratti, se la condotta è buona), la semilibertà, calcoli quanto è il presofferto, quanta liberazione anticipata ti tocca e finalmente una notte i conti tornano! Sei nei termini per chiedere un beneficio. Già hai messo sottosopra il mondo per cercare presso qualche cooperativa sociale una richiesta di lavoro. Se sei fortunato la trovi, se sei ancora più fortunato guadagnerai anche qualche soldo, che ti permetterà di sopravvivere in semilibertà, senza dover chiedere alla famiglia un sostegno ad integrare il magro salario. Alcune cooperative pagano in maniera onesta e corretta, altre danno autentiche paghe da fame, gettoni di presenza, umilianti sussidi, ma chi vi lavora non vuole che se ne parli per la paura di perdere in tal modo la libertà. La Camera di Consiglio che decide la tua scarcerazione è una pietra miliare nella tua vita. Da domani il mondo, fatto di pochi metri, con tutti quegli oggetti ormai cari, quei volti, quegli amici, tutto cambia, si torna a vivere. Molti hanno paura di questo passo, non sono leggende carcerarie, molti non hanno riferimenti esterni e vedono l’uscita come un salto nel buio, perché lasciano questa triste certezza e vanno dove non si sentono più adatti. Ormai estranei. Da anni discutiamo tra noi della necessità di una struttura, di gruppi di sostegno pre-libertà. Si esce spesso con le idee confuse. Prendete la persona più lucida e cosciente, tenetela chiusa per alcuni anni, e poi misuratene "la lucidità": forse le carenze non sono evidenti, perché sono inconsce, a livello emotivo, ma non per questo meno dolorose, e certo un gruppo di auto-aiuto che prepari al dopo carcere potrebbe essere una buona risposta. Ma ecco, sei finalmente libero! O semi-libero, agli arresti domiciliari, in semi-detenzione, comunque puoi respirare, almeno in parte, la vita normale. Ma non dimentichiamo che a chi esce dal carcere si chiede di comportarsi secondo precise e tassative prescrizioni:
Qualsiasi trasgressione, come l’uso del cellulare quando non è espressamente concesso, equivale a ritornare in carcere e dire addio per anni ai benefici. Si può accettare ogni restrizione, se il premio è restare libero, ma sicuramente non è semplice rimanere perfetti. Una cosa che appesantisce ulteriormente la fruizione di misure alternative è l’esclusione completa da tutte le attività culturali. Se sei semilibero o in articolo 21, non puoi frequentare, nel tempo "libero" che devi trascorrere in galera, nessun corso che si svolga in carcere, ti è preclusa pure la possibilità di andare a messa la domenica, anche se sei di fatto ancora detenuto. Questa improvvisa esclusione da tutte le attività culturali e socializzanti, sostituita dal lavoro, con percorsi obbligati e regole rigide, per molti diventa, dopo un periodo di euforia iniziale, deprimente. Si dovrebbe pensare anche a qualche attività culturale per chi torna in istituto prestissimo e per giunta fa il sabato e la domenica in carcere senza poter uscire, e questo certamente aiuterebbe. Il fallimento è dietro l’angolo, un passo falso è facile compierlo, la determinazione a dare una svolta alla propria vita a volte non basta. Io sono uno di quelli che ha un fallimento alle spalle, sette anni fa fui assegnato al lavoro esterno e durai otto mesi, fui arrestato durante una rapina. Sbagliando cercai la strada più breve, il modo che conoscevo per risolvere il "problema soldi". Rapinai una banca. Il senso di frustrazione che ti cade addosso dopo un fallimento è enorme, sentivo di aver tradito chi si era fidato di me, la mia donna, i miei cari, le persone che mi avevano aiutato, educatori che avevano creduto nelle mie potenzialità, magistrati che si erano presi la responsabilità di farmi uscire. Feci la scelta sbagliata per risolvere un problema, che poi si sarebbe risolto ugualmente, ebbi fretta, non seppi attendere i tempi giusti: volevo recuperare il tempo trascorso in carcere, non avevo dato ancora alle cose il giusto valore. La libertà è forse il valore più alto, insieme alla famiglia e alla stima che hai per te stesso. Ma c’era ancora tanta confusione in me, dopo sedici anni di carcere. Risultato, ritornai nuovamente dentro. Oltre ai quattro anni di condanna per rapina, mi furono revocati altri due anni di indulto, non mi furono concessi sei anni di liberazione anticipata (un anno e mezzo di sconto di pena), mi è stato riaperto il cumulo e dichiarato errato il calcolo ed il metodo applicativo. Mi ritrovai alla fine con dodici anni e mezzo di pena definitiva, per un reato che ad una persona che non fosse stata nelle mie condizioni sarebbe costato al massimo un anno e mezzo di carcere, mentre io ho già scontato sette anni dal nuovo arresto ed il mio fine pena è ancora relativamente lontano. Non recrimino niente, perché chi ha sbagliato sono io. Le misure alternative e il ritorno alla società sono il vero momento di incontro con la realtà, dopo anni di una vita che non è vita. Superato questo gravoso percorso ad ostacoli, il premio ultimo è la libertà, ma spesso la realtà con cui andiamo a confrontarci, nella quale dobbiamo fare ritorno, ci appare esageratamente dura, e in molti casi lo è, ma è l’unica strada possibile.
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