Dal carcere di Padova alla Facoltà di Psicologia come "docente"

 

Tema della lezione: la rapina

 

Nella vita ne ho combinate di tutti i colori, ma non avrei mai pensato di "occupare" una cattedra universitaria e sostenere due ore di discussione e confronto in un’aula affollatissima di studenti.

 

Di Nicola Sansonna, ottobre 2002

 

"Lo scrivente chiede di poter partecipare a un incontro nell’ambito del Corso di Criminologia, insegnamento del quale è titolare il Prof. Gianvittorio Pisapia, presso la Facoltà di Psicologia per potersi confrontare con gli studenti universitari sul reato della rapina, argomento del Corso in questione".

 

Ore 10.30

Lezione "sulla rapina"

Ero convinto che il professore avesse sbagliato aula. Pensavo di dovermi confrontare con una decina di ragazzi o poco più, invece mi sono trovato in un salone gremito di oltre 170 studenti.

Un metodo coinvolgente ed originale, quello messo in atto dal titolare della cattedra di criminologia presso la Facoltà di Psicologia di Padova, il professor Gianvittorio Pisapia. L’argomento del corso è "La rapina". Il professore, partendo dal presupposto che esiste pochissimo materiale in materia, ha deciso di portare in aula tutte le figure coinvolte: la vittima del reato, la guardia giurata preposta al controllo dei beni, ed il rapinatore. Tre figure dai ruoli diametralmente opposti, ma che s’incontrano, si scontrano, al momento della rapina.

In tre momenti diversi la guardia, il rapinatore, la vittima del reato si sono prestati a narrare e a chiarire la loro esperienza. Questo ha consentito agli studenti di avere un quadro d’insieme completo. Ognuno ha portato il suo contributo, come ha sintetizzato, nella premessa al mio intervento, il professore.

Non è il primo incontro che ho con una classe di studenti, e tutte le volte l’esperienza lascia in me un segno nettamente positivo.

Dopo essermi presentato, ho lasciato che i ragazzi mi facessero delle domande. Ero di fronte a studenti di psicologia, ma le domande erano mirate, precise, "tecniche". Non è stata, comunque, tralasciata la sfera emozionale, dei sentimenti, degli stati d’animo. Le domande, dapprima poste con molta cautela, via via che si creava un coinvolgimento nella discussione, crescevano e per interesse e per la curiosità che destavano.

Ecco alcune di queste domande:

- Cosa provavi nell’attimo precedente la rapina?

- E mentre la commettevi?

- E subito dopo?

- Come si forma un gruppo di rapinatori?

- Come si distribuiscono i ruoli?

- Se ti trovassi al posto della vittima della rapina, come reagiresti?

 

Ho risposto a queste domande con sincerità e semplicità, conscio della delicatezza del tema trattato.

Ho parlato della scarica di adrenalina che si prova, in un certo senso la stessa che provavo prima di una partita importante quando, da ragazzo, giocavo a pallone all’oratorio San Luigi di Chieri (To), o prima di una gara d’atletica. Penso che sia una reazione chimica che avviene nell’imminenza di un grande impegno che in quell’ attimo ti appare come il centro dell’universo, un fatto da cui dipende il tuo futuro. In quei minuti avviene di tutto, può avvenire di tutto, puoi portarti via molti soldi, ma puoi anche rischiare di uccidere o di essere ucciso, la tua vita può essere rovinata, puoi beccarti un proiettile. La stessa cosa può accadere a chi si trova per motivi di lavoro o come cliente, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Di fatto è un salto nel buio per tutti. Avviene tutto in pochi secondi. Il tempo sembra dilatarsi.

 

Fare qualcosa perché le periferie non diventino la fabbrica dei detenuti di domani

Una cosa ho tenuto a sottolineare, ed è vera per me e per i molti rapinatori che ho conosciuto. La maggior parte, pur "calandosi il cappuccio", cerca di non utilizzare mai la violenza fisica, anche se la rapina in se stessa è violenza. Il presupposto è che, se in una rapina non accade altro che l’asportazione di soldi, difficilmente interviene la scientifica, sempre che la somma rapinata non sia estremamente rilevante, e l’accanimento investigativo è sicuramente minore rispetto al malaugurato caso in cui venga versato del sangue.

I vecchi rapinatori usavano dire, quando entravi in "batteria": "Ragazzo, noi andiamo a prenderci i soldi, non a far del male alla gente, tienilo sempre presente". Quello che penso e che ho scritto può essere certo ribattuto, ma perlomeno, per la maggior parte delle persone, imputate per rapina, che ho conosciuto era così. Sto parlando di rapinatori di banche.

Una parte delle domande degli studenti universitari era mirata alla conoscenza del carcere, di come si svolge la vita dentro, come è organizzata la giornata, le attività che svolgiamo. Ho cercato di spiegarlo in modo da far capire che cos’è il carcere, che è sì sempre sofferenza, ma può diventare, se uno cerca di non buttare del tutto il suo tempo, recupero, desiderio di reinventarsi una vita, un’esistenza. Ho spiegato anche la differenza tra carcere giudiziario e carcere penale: nel primo la qualità della vita è drasticamente bassa, nel secondo ci si riesce anche ad organizzare "una parvenza di vita".

Una domanda che ricordo perfettamente è la seguente: Pensi che sia utile il carcere così com’è?

Penso che la società ideale sia quella senza carceri. Negli anni settanta dicevamo: "Il miglior carcere è quello raso al suolo". Però allo stato attuale è impensabile una società senza carcere, non perché per qualche strana sindrome mi sia affezionato, ma per il semplice motivo che la società deve potersi difendere, ed il carcere per ora è la risposta al crimine ed alle azioni delittuose. Naturalmente deve essere l’ultima risorsa, per un ragazzo che commette un reato è controproducente per la società stessa inviarlo nell’università del crimine. Credo, e sono in compagnia di illustri studiosi e giuristi a sostenere questo, che la risposta più sensata stia nelle misure alternative, nelle comunità, nei lavori socialmente utili, nell’affidamento ai servizi sociali, nell’insegnare, al ragazzo che per la prima volta sbaglia, un lavoro, dargli delle alternative valide, fargli intravedere che c’è un altro modo per risolvere i propri problemi, quindi occorrono risposte sociali, per far sì che le periferie, i nuovi e vecchi disagi che portano all’emarginazione, non diventino la fabbrica dei detenuti di domani.

Personalmente ho ricevuto molto dall’incontro, e credo che sia stato proficuo per tutti. Anche se inizialmente ero molto restio ad accettare di parteciparvi, sono felice di averlo fatto. Un’iniziativa concreta, sicuramente utile per capire e non soffermarsi alla superficie delle cose.