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Il prezzo che pagano i famigliari di un detenuto per salvare quel che resta della famiglia
Di Nicola Sansonna, marzo 2001
Che cosa sopravvive, dei legami d’amore e di affetto di una persona, al carcere e ai suoi disastri? L’esperienza del carcere? E’ distruttiva, a qualunque ceto sociale si appartenga. Si abbatte come un ciclone su chi vi finisce dentro, e su tutti quelli che sono a lui legati affettivamente. Colpevole o innocente, non ha importanza. Si è tutti ugualmente sottoposti alle stesse pressioni e meccanismi. E lo sono anche i nostri famigliari, e quindi gli affetti in generale, che pagano un prezzo molto elevato.
Cosa riesci a salvare dei rapporti affettivi e di amicizia che avevi prima dell’arresto? Penso che molto dipenda, naturalmente, dalla lunghezza della pena. I primi anni, bene o male, resta quasi tutto immutato, come se dovessi uscire da un giorno all’altro. I problemi nascono quando la pena è davvero molto lunga da scontare. Anche in questo caso però c’è da distinguere tra affetti ed affetti. Amici, fidanzata, buoni conoscenti, via via si perdono per strada… in maniera "naturale" perché la vita continua. Gli amici di gioventù diventano uomini, mariti, padri, e le responsabilità li portano a dimenticare, o perlomeno a mettere in… terzo piano l’amicizia con uno sfigato che si trova in galera da anni. La ragazza. La mia è durata "forse" sei mesi… ma davanti alla prospettiva di attendere anni e anni, non sono molte le donne o gli uomini che ti aspettano. Un discorso a parte penso che si possa fare solo se ci sono figli e si è sposati da tempo. Sono convinto che uno raccoglie sempre quello che semina, ed anche negli affetti è la stessa cosa, se uno fuori trascura la propria donna, si fa i fatti propri, poi penso abbia poco da recriminare se lei sceglie un’altra strada, una volta che lui finisce dentro. Personalmente non ho niente da recriminare perché ho raccolto quanto avevo, forse inconsciamente, seminato. I famigliari richiedono un discorso diverso: per il padre e la madre, puoi essere il peggiore serial killer, e non ti lasciano mai solo. Personalmente alla mia famiglia sono grato per quanto ha voluto e saputo fare. Alcuni anni fa chiesi ai miei famigliari di scrivere qualcosa su cosa provavano, come avevano vissuto il mio arresto. Ci fu un rifiuto quasi totale ad affrontare questo tema, a parte due mie sorelle e mia madre che risposero, pur ammettendo fastidio nel toccare un tasto così delicato e che ha provocato troppo dolore. Quasi che non parlarne esorcizzasse quel dolore trascorso. Ho rispettato il loro sentimento ed il loro pudore e lo capisco a pieno. Certamente sono ferite che non si cicatrizzano facilmente.
E quanto costa salvare i rapporti affettivi? Questa è un’altra domanda, alla quale mi sento di rispondere semplicemente così: se si ama si fa, ma ha pur sempre un prezzo molto alto. Colloqui, avvocati, magistrati, carabinieri, polizia, servizio sociale, ufficiali giudiziari, processi. Un universo, che sino ad allora si era pensato riguardasse solo gli "altri", si presenta prepotentemente alla porta di casa, entra nei discorsi quotidiani, nei pensieri. Persone "regolari", che mai avevano preso una multa, si ritrovano a doversi confrontare, per affetto o per amore, con la macchina giudiziaria, con i suoi burocrati, con le sue regole. Se l’affetto non è più che stabile e forte, non si regge e si abbandona! Con tutte le conseguenze che questo comporta. Così è successo a me. Quando nel ‘95, dopo quindici anni di carcere, sono uscito in articolo 21, lavoro esterno, mi sono ritrovato così a cercare di ricostruirmi una vita affettiva quasi dal nulla. Quando ho rivisto allora un mio "antico amore", è scoccata subito una scintilla. Da un punto di vista sentimentale, ero però incasinatissimo. Avevo una "fidanzata epistolare", cioè una donna colombiana, di Medellin, bella almeno in foto, conosciuta per lettera, perché le era piaciuto un mio articolo pubblicato su un giornale del carcere di Bologna, "Le Voci di Dentro". Ma non appena ho rivisto la mia vecchia fiamma, tutti i progetti fatti in tre anni di lettere infuocate sono svaniti e ho capito subito che non avevo più alcuna intenzione di vivere con la bella colombiana, perché il mio cuore batteva, e forte, per una persona in carne ed ossa, con la sua voce, i suoi problemi. Insomma, con la mia fidanzata epistolare ci eravamo costruiti un mondo tutto nostro, senza troppi riferimenti con la realtà, e la realtà ci ha messo poco a farlo crollare. Ma anche la storia "vera" non ha retto: più saggia di me, lei mi ha lasciato poco prima del nuovo arresto, quando ancora non avevo combinato niente. Erano sorti dei futili problemi, presi a pretesto per chiudere una storia che si faceva troppo impegnativa e troppo complicata. Alla fine, la storia affettiva più bella credo di averla vissuta con una come me! Una che il carcere l’ha conosciuto bene. E’ durata pochissimo, un mese o poco più, perché poi mi hanno arrestato per la rapina per la quale sto tuttora scontando la pena, però è stata veramente per me una bella storia. Pulita, senza secondi fini. Non servivano troppe parole, tra noi ci si comprendeva al volo, mi piaceva molto e forse mi stavo innamorando. Ma anche quel rapporto non è sopravvissuto al carcere: forse a causa mia, forse sua, o forse è solo la fine naturale di rapporti senza troppe radici. Stare vicino ad un detenuto costa fatica, e se non si è affettivamente molto legati, non lo si fa.
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