Da Ristretti allo sportello di “Avvocato di Strada”

Ristretti: un sogno realizzato

Ci sono cose che forse possiamo raccontare solo noi, che il carcere lo conosciamo veramente sin nelle sue viscere

 

di Nicola Sansonna, giugno 2008

 

Riuscire a parlare alla gente di temi impegnativi, e di cui spesso non vuole neanche sentir parlare, con un taglio attento, preciso, ma anche aperto all’autoironia: questa era la scommessa che dieci anni fa abbiamo fatto, e penso che l’abbiamo anche vinta.

Ricordo sempre con gioia il primo incontro che ebbi con Ornella Favero, nell’affollatissima aula nel carcere di Padova, tra ragazzi di tutte le etnie intenti a ritagliare e selezionare articoli da pubblicare nella rassegna stampa, e poi i primi incontri, le prime discussioni. La considerazione che ci fece muovere fu proprio il fatto che, leggendo quegli articoli inerenti il carcere, ci rendevamo conto che la realtà veniva continuamente distorta, manomessa, adattata forse ai gusti dei lettori.

Sul carcere fanno notizia sangue e sesso. Scandali, notizie truculente. Non interessa ad un giornalista “normale” scrivere di un laboratorio di teatro di gran qualità, dei corsi che si tengono, dei sacrifici che fanno i detenuti per seguirli, spesso rinunciando alle ore all’aria aperta, dell’impegno degli agenti e degli operatori che gestiscono le attività, del grandissimo ed insostituibile lavoro del volontariato. Tutto questo pensavamo che avremmo potuto raccontarlo solo noi, che il carcere lo conosciamo veramente sin nelle sue viscere. Lo abbiamo fatto grazie alla fiducia che siamo riusciti a conquistarci, e abbiamo potuto così dare il nostro apporto alla conoscenza di un mondo sovente racchiuso in se stesso, con i suoi riti, le sue gerarchie, i suoi punti di debolezza e di forza. Lo abbiamo fatto, e credo bene, e non è un’autocelebrazione ma la constatazione di fatti precisi, chi ci legge sa dei convegni a livello nazionale che organizziamo ogni anno e dell’interesse che suscitano, sa dell’impegno che c’è nell’essere sempre sulla notizia con approfondimenti, con riscontri incrociati, pur dovendo operare, cercare le notizie, approfondirle, verificare le fonti stando dentro a una galera.

Un punto di forza del nostro lavoro sono poi le storie raccontate da uomini e donne detenuti, uno spaccato di vita dura, dolorosa, faticosa che ha fatto da sfondo, insieme alle nostre ricerche, come quella sui suicidi in carcere, ad un gran numero di tesi di laurea.

Io oggi, dopo trent’anni, ho chiuso con la “mia” galera, ma ancora mi occupo di quella degli altri: lavoro infatti allo Sportello di Avvocato di Strada, e siccome il travaso dal carcere alla strada è continuo, incontro tanti ex detenuti e li aiuto a cercare lavoro e a risolvere i problemi del “dopo carcere”, che sono davvero una marea. Perché il carcere, per quanto cerchi di scrollartelo di dosso, ti resta sempre lì, attaccato, e non te ne liberi mai del tutto.

Ristretti è ormai una macchina rodata, anche se abbiamo bisogno ora come allora, e anche di più, di essere sostenuti con abbonamenti e sottoscrizioni. I risultati comunque sono importanti, e si vede. Il sito di Ristretti è il più visitato sul tema del carcere e delle pene, la nostra rivista si è ormai faticosamente, millimetro per millimetro, conquistata uno spazio non da poco a livello nazionale nel campo carcerario.

Questo lo abbiamo potuto realizzare sì grazie al nostro impegno, ma soprattutto grazie ad Ornella e a quanti ci hanno sostenuto e hanno creduto in noi e in questo progetto. Personalmente sono orgoglioso di far parte “da sempre” della Redazione.